Spinsi la porta del Maxor e mi diressi agli ascensori. Scesi al sesto piano e alzai il mento mentre esploravo il corridoio in cerca degli uffici delle Williams & Associates. Li trovai proprio alla mia destra. Il mio appuntamento era alle nove, e mancavano ancora cinque minuti.
Eccoci. Il mio prima colloquio dopo otto anni. «Puoi farcela,» sussurrai a me stessa. Mi spuntai in mente tutte le mie qualifiche. Avevo lavorato come assistente legale in uno studio di alto livello di Dallas. Avevo un certificato di assistente legale in diritto processuale civile della TBLS1, una laurea con lode in scienze politiche presso la Texas Tech che avrebbe portato a una laurea in legge se non avessi deciso che era più importante sposare il mio bellissimo ragazzo colombiano. Ah, i rimpianti. Insomma, nonostante la mia discutibile scelta personale, ero più che qualificata per quel lavoro.
Un messaggio fece suonare il telefono. Armeggiai per prenderlo e lessi il messaggio. Era di Collin, il fratello della mia amica Kate: Nick a casa al sicuro. Katie mi ha chiesto di dirtelo.
Risposi in fretta: Grazie a Dio! Ottima notizia! Come stai?
Volevo chiamare Katie per parlare anche con lei, ma mi trattenni. Non sapevo dove diavolo fosse stato Nick, e se avesse fatto qualcosa di male, non avrei saputo cosa dire. Ero in parte responsabile per averli fatti incontrare, e non pensavo che lui fosse capace di ferirla. Ma era quello che avevo pensato anche di me e Rich. Le avrei scritto un’e-mail più tardi, quando avrei avuto più tempo per pensarci.
A dire il vero, però, solo vedere il nome di Collin apparire sul telefono mi fece provare un brivido di eccitazione. Collin faceva il poliziotto nel New Mexico e, secondo Kate, aveva sempre avuto una cotta per me. Era quanto più lontano da Rich un uomo potesse essere, il che mi affascinava molto in quel momento. Avrei potuto avere bisogno di qualcuno che mi facesse stare bene, ma chi volevo prendere in giro? Collin mi aveva sempre attratta. Lo avevo incontrato solo dopo aver sposato Rich. Aspettai un istante per vedere se arrivava un altro messaggio, ma poi guardai l’orologio. Quattro minuti alle nove. Il momento di darsi una mossa.
Entrai negli uffici e presi posto su un divano in tweed in una hall vuota eccetto per una scrivania su cui c’erano solo un giornale e una piccola campanella al centro. Il giornale era rivolto verso l’alto e intatto, come se nessuno lo avesse letto. Naturalmente, la notizia principale era ancora la caduta assistita di Spike Howard del New Mexico nella piscina di un hotel, nel pieno dei festeggiamenti di un matrimonio, per gentile concessione della sexy señorita dalla pistola fumante.
Andai verso la scrivania e passai la mano sulla foto di lei al balcone, poi abbandonai il giornale per esaminare il resto della hall. Stampe in stile Remington raffiguranti il rientro di mandrie e la caccia al bufalo decoravano le due pareti su tutta la superficie, e dietro la scrivania pendeva una scultura William & Associates in corsivo, in ferro nero. Rimasi in ascolto per alcuni istanti, ma udii solo il ticchettio di un orologio da qualche parte fuori vista. I miei piedi sfregarono il tappeto barbero. Era nuovo e molto carino.
«Chiedo scusa,» chiamai. «Sono Emily Bernal. Sono qui per il colloquio per il posto di assistente legale.»
Un tintinnio giunse dall’interno degli uffici, avvicinandosi a un ritmo sostenuto. Un minuscolo cane peloso e bianco attraversò l’ingresso. Un volpino. Quando arrivò da me, si alzò sulle zampe posteriori e posò quelle anteriori sui miei stinchi. Non poteva pesare più di due chili.
«Ciao, tesorino dolce. Come ti chiami?» Posai la borsa sulla scrivania e mi chinai per guardare il collare in strass rosa, scorrendo le targhette che ne avevano rivelato l’avvicinamento. «Snowflake. Ti sta bene questo nome.» Mi accovacciai di più per massaggiarla dietro le orecchie. «Dov’è il tuo padrone, Snowflake? O farò il colloquio con te?»
«No, quello dovrebbe essere il mio lavoro,» disse una voce familiare.
«Tu non sei Williams,» lo accusai.
Soffocai il guizzo di umiliazione che provai nel vedere Jack Holden e la sua maledetta fossetta. Quell’uomo sapeva tutto delle mie prove e tribolazioni e non aveva paura di farci riferimento in un modo meno che lusinghiero. Anche se forse mi ero meritata il modo in cui mi aveva parlato. Non ero al meglio quella sera. Mi tirai su, tirando la pancia in dentro e raddrizzando la postura fino a raggiungere tutto il mio metro e settantasei di statura sulle mie modeste decolleté da cinque centimetri.
«Io sono “e Socio.” William è andato in pensione. Dirigo questo posto per lui.»
Scossi il capo. «Lo hai fatto apposta?»
«Cosa?»
«Attirarmi qui con l’inganno?»
La fossetta si arricciò e il lato sinistro del suo viso si sollevò. La giacca era sparita, così come il cappello, rivelando quelli che sembravano colpi di sole tra i capelli scuri. A parte quello, sembrava lo stesso del sabato prima. Wranglers stirati, stivali vissuti, e una camicia vintage Larry Mahan a quadri rossi.
«Sono abbastanza sicuro di aver messo un annuncio sull’edizione domenicale dell’Amarillo Globe News. Non in un messaggio speciale destinato solo a te.»
Picchiai il dito sul giornale sulla scrivania. «Ma l’annuncio diceva assistente legale nelle controversie.»
«Già, trascorriamo molto tempo in tribunale.»
«Hai omesso la parte penale.»
«Senti, non ti ho costretta a venire oggi. Se non vuoi fare il colloquio, nessun rancore.» Scrollò le spalle.
Mi resi conto di aver dimenticato le buone maniere, come piaceva dire alla mia cara madre. «No, no, certo che no. Sono felice di essere qui.» Feci un cenno alla sedia vuota dietro la scrivania. «Credo di aver parlato con la tua segretaria per fissare il colloquio. È fuori per caso?»
Lui annuì. «Sì.»
La pelle intorno ai miei occhi si contrasse per lo smarrimento. Era la risposta alla mia domanda? Non sembrava.
Mi invitò a seguirlo con un cenno della mano. Snowflake gli andò dietro e io seguii entrambi per un lungo corridoio rivestito di boiserie e altri quadri Western. Superammo una porta sulla destra. La indicò con un gesto, girandosi e camminando all’indietro per alcuni passi. «Cucina. I bagni si trovano di là dopo l’ascensore.» Invertì di nuovo la rotta e continuammo ad avanzare, per poi varcare una porta sulla sinistra. «Il vecchio ufficio di Williams. Il mio ora.»
Tirai un respiro irregolare. La stanza rettangolare in cui entrammo era quasi mille metri quadri con finestre lungo tutta la parete esterna. Le altre pareti erano rivestite di pannelli, così come il pavimento e il soffitto. Una galleria fotografica era appesa sulla lunga parete interna al mio fianco, con al centro quello che sembrava in modo assurdo un vero Remington. Intorno, opere fotografiche minori — ma tuttavia splendide — erano intervallate con cura da titoli di studio e certificati incorniciati. Tra tutte, risaltava una grande foto in bianco in nero di una vecchia miniera abbandonata. Sull’ingresso della miniera, un’insegna sbilenca diceva Miniera d’argento. In basso a destra, il fotografo aveva scarabocchiato Vecchi sogni al Wrong Turn Ranch — Lena Holden. Una parente di Jack? Sulla parete era appesa anche la foto incorniciata di un vecchio indiano — che non potevo non riconoscere, visto che era la mia infatuazione indiana di quando era più piccola: Geronimo. Sotto la sua foto vi era una sorta di citazione, ma non ero abbastanza vicina per leggerne i caratteri piccoli.
Un tavolo da conferenza rotondo con sei sedie con rotelle in pelle imbottite occupava il lato più vicino della stanza. Al centro c’era una scrivania gigante, e la bellezza naturale del legno era sciupata solo da un gorgo di documenti. Portafoto allineati lungo il bordo più vicino della scrivania, il dorso verso la porta. Il lato opposto della stanza presentava mobili a incasso: armadietti sui lati esterni e scaffali su lato interno. Volumi bellissimi del South Western Reporter marrone chiaro, rosso e nero mostravano il dorso sugli scaffali. Un pezzo di tessuto sporgeva dal lato sinistro degli armadietti, come carta igienica sotto una scarpa. A parte quello, la stanza era perfetta.
«Accomodati al tavolo.»
Mi immersi nella sontuosa pelle marrone scuro e vi feci scorrere la mano. «Caspita.»
Jack prese posto sulla sedia di fronte a me con Snowflake ai suoi piedi. «Williams non badava a spese. L’ho avuto per pochi centesimi. Quello che gli interessava di più era che portassi avanti il suo retaggio. Per decenni ha fatto un lavoro impressionante per preservare la dignità umana e i diritti costituzionali, proprio in questo ufficio.»
«Quindi esercitava...»
«Diritto penale.»
«Difesa penale?»
«Certo. Qualcuno deve assicurarsi che i nostri diritti vengano protetti. Il signor Williams aveva una passione per i processi giusti — per la riservatezza, per l’innocenza fino a prova del contrario, e per la libertà.»
Un fremito patriottico si smosse dentro di me. Messa in quel modo, la difesa penale sembrava una vocazione nobile. «È per questo che lo fai?»
«Sono d’accordo con lui.»
Il fremito scomparve in un’ondata di irritazione. Jack aveva la capacità di non rispondere alle domande. Be’, non avevo intenzione di implorarlo. Presi una penna dalla borsa e un blocchetto giallo dalla valigetta.
«Puoi dirmi di più sul lavoro?» chiesi.
«Ho troppo lavoro, e ho bisogno di aiuto, un aiuto che però non richiede una laurea in legge. Ci sbattiamo molto per i nostri clienti, e ne abbiamo un bel po’.» Sghignazzò. «Ah, tra l’altro, avevi ragione sulla donna dell’hotel. Si chiama Sofia Perez, e ha bisogno di un avvocato — quello nominato dal tribunale. Io.»
Arrossii. Miss Diplomazia: sono io. Ma pensare che sarebbe stato lui a rappresentare l’assassina che avevo visto il sabato prima, la responsabile dell’omicidio di cui tutti parlavano in città, era alquanto eccitante, in un modo viscido da reality. E non ero immune dal guardare qualche episodio di The Real Housewives di Orange County.
«Per la miseria, sul serio?»
«Sul serio. Ed è un’immigrata clandestina, madre single di una bambina di sei anni che non si riesce a trovare. Sofia è un po’... In difficoltà. Non riesco a trovare il capo con lei.»
Avvertii una stretta la cuore. Provai qualcosa dentro di me e mi resi conto che si trattava di empatia. Per la bambina scomparsa, certo, ma anche per l'assassina, e quello mi sorprese. Forse Jack stava diffondendo qualche prodotto chimico per il lavaggio del cervello attraverso il sistema di ventilazione. Cercai di riportare l’attenzione su ciò che stava dicendo.
«E oltre a tutti i clienti che abbiamo e ai loro casi, abbiamo anche qualche riccone che vuole darmi un anticipo per difendere i suoi dipendenti e soci. Potrebbe rappresentare molto lavoro, perché operano in un settore di attività che li mette spesso a rischio di fraintendimenti con la legge.»
«Cos’è, la mafia?»
«Night club e importazioni dal Messico. Comunque, ho bisogno d’aiuto. Ne ho bisogno subito. Mi hai detto tutto quello che avevo bisogno di sapere su di te nella candidatura che hai inviato con il curriculum. Presumo che lo stesso stipendio che ti davano alla Hailey & Hart potrebbe bastare? In più, ho un piccolo programma di benefit per i miei dipendenti — le solite cose, medico, fondo pensione, ferie pagate. Posso darti una copia di tutte le scartoffie.»
Dipendenti? Quali dipendenti? Non avevo né visto né sentito nessuno a parte lui. I vantaggi e l’offerta erano insensati, ma era molto più generoso di quanto potessi aspettarmi ad Amarillo dove il costo della vita era molto più basso rispetto a Dallas. E cavolo se avevo bisogno di vantaggi con un bambino in arrivo.
«Io… Cioè, insomma, grazie,» dissi. «Sono molte cose a cui pensare.»
Fece rimbalzare la punta della penna contro il tavolo in vetro producendo uno schiocco netto. «Quindi è un no?»
«È un forse. Ma ho una domanda, se non ti dispiace.»
«Che domanda?»
«Snowflake è il tuo cane?»
Quella cosa mi aveva interpellata da quando ero arrivata. Un grosso cowboy e un cagnolino bianco con il collare rosa?
Il suo viso crebbe ancora di più. «Sono responsabile per lei.» Mise giù la penna e si alzò, e andò alla scrivania.