CAPITOLO DUE

958 Words
CAPITOLO DUE Potreste pensare che ho visto un sacco di fantasmi, con il fatto di essere un negromante e tutto il resto. Non ve ne faccio una colpa, è un malinteso comune. Sicuro, ho ricevuto il classico addestramento nel voodoo, ma la maggior parte della disciplina si concentra più sul corpo che sullo spirito. E poi, da parecchio mi sono spostato dall’arte haitiana alla stregoneria Taíno (persino più vecchia). Stessa isola, Caraibi diversi. Opiyel, il Cane dell’Ombra, si focalizza sull’illuminazione attraverso l’oscurità. E sì, anche gli aspetti dello spirito. Ma non vado in giro a evocarli, se posso farne a meno. E poi c’è un altro fatto e cioè che i fantasmi non si materia­lizzano dal niente come un genio liberato dalla lampada. Fun­zionano in modo più sottile di così. Un’incerta sensazione di paura, i peli che ti si rizzano sul collo. Be’, già, e qualche volta con elettrodomestici da più di due quintali. Ciò che importa qui è che i fantasmi esistono in un altro mondo. Il Buio. Un riflesso distorto del nostro. E gli spettri possono visitare il nostro soltanto temporaneamente e soltanto abitando qualcosa di fisico. Perciò niente lenzuola bianche fluttuanti. E a proposito di qualcosa di fisico, la lampada che levitava davanti a me strappò il cavo dalla presa e saettò verso la mia faccia. Era troppo solida e troppo grossa perché il mio specchio magico funzionasse contro di essa e, nonostante la sua luce si fosse spenta, il resto della casa aveva ancora corrente. Senza abbastanza ombre le mie opzioni erano limitate. Così feci ciò che qualunque altro vigoroso americano avrebbe fatto di fronte a un ostacolo del genere. La colpii con un pugno. La lampada di ceramica andò in frantumi. Così come le ossa della mano, per quanto ne sapevo, ma la mia pelle lacerata le tenne insieme. Gridai e scossi via il dolore, pronto al prossimo bersaglio. A quanto pareva avevo sottovalutato la tenacia delle abat-jour. Il filo si avvinghiò intorno al mio braccio dolorante, strin­gendosi e spingendomi giù. Lottai contro di esso abbastanza da restare in piedi. Con la mano libera afferrai il sacchetto dalla cintura e tirai fuori il coltello cerimoniale di bronzo – una lama piccola e ricurva, ricoperta di rune – e tagliai il cavo a pezzetti­ni. A proposito di multiuso: ottimo per oscuri rituali voodoo e per respingere poltergeist erranti. Dopo che tutti i frammenti furono caduti sul tappeto, calpe­stai ogni cosa più grande di un pugno con i miei stivali rossi da cowboy in pelle di alligatore. Prima mi sono definito un americano vigoroso, giusto? So che questi stivali sono un po’ eccessivi. La maggior parte dei cubani di seconda generazione neanche toccherebbe affari del genere. Che posso dire? Avevano cominciato a piacermi. Di colpo, tutte le luci si spensero di nuovo. Continuare ad alterare il mio campo visivo era più di un fa­stidio. Il poltergeist stava usando l’effetto come mezzo per inti­midirmi e distrarmi. E stava anche funzionando. Invocai ancora la mia vista dell’ombra, questa volta soltanto nell’occhio destro. Fatto curioso: molti pirati indossavano una benda anche se avevano tutti e due gli occhi. Quando venivano attaccati nel cuore della notte, spesso si trovavano a dover correre verso l’esterno velocemente, così tenevano un occhio abituato alla luce e l’altro alle tenebre. A seconda dell’ambiente circostante cambiavano posto alla benda. E così mi trovai a imitarli e misi una mano sull’occhio sinistro. Nell’oscurità, vidi di nuovo il pentacolo sbiadito. Notai an­che un leggero chiarore provenire dalla cucina. Quando tornò la luce, cambiai occhio. Ora le sedie della cucina tremavano. Senza esitare, afferrai un cuscino dal divano mentre gli og­getti sbandavano verso di me. Li deviai come avrebbe fatto un pa­dre in una battaglia di cuscini con un poppante. Le leggere seg­giole finirono innocue a terra. Quindi il tavolo stesso si sollevò a mezz’aria. «Uh oh.» Mollai il cuscino e caricai il tavolo, afferrandolo e cercando di tenerlo giù. Scoprii così che i poltergeist hanno una forza so­vrumana. I miei stivali scivolarono sulle piastrelle mentre spin­gevo contro il tavolo fluttuante. Quello si capovolse e mi schiacciò, costringendomi a inginocchiarmi. Eccomi lì, schiac­ciato dal bancone, con un occhio chiuso, quando notai il pavi­mento. Il tavolo rovesciato creava un’ombra netta su di me. Le ombre scattarono come una molla. Il tavolo si abbatté contro il soffitto. Frammenti di plastica mi piovvero addosso quando le luci fluorescenti esplosero. Il mio piccolo Quattro Luglio. Il tavolo ondeggiò avanti e indietro, incastrato nello spazio sovrastante. Ancora meglio, la cucina fu avvolta dalle tenebre. Sorrisi. Marciando nel salone, sollevai una sedia e la lanciai sulla lampadina in alto. Andò in mille pezzi. Anche se c’erano ancora diverse luci accidentali in giro, ora c’erano abbastanza ombre con cui lavorare e non avrei dovuto più preoccuparmi di essere accecato. Mi guardai di nuovo intorno, alla ricerca del fantasma. Avrei potuto dargli la caccia nella casa, ma preferivo rimanere nella mia bolla di oscurità. Sarebbe stato lo spirito a venire, e a me andava benissimo. I poltergeist non sono esattamente formidabili. Sono come bambini piccoli che hanno una crisi e quando vanno in berserk lanciano tutto ciò che trovano. Ero fortunato che la proprietà fosse stata pignorata e che quindi non ci fossero oggetti prezio­si come una grossa TV o un set di coltelli giapponesi. Lo sportello del forno si aprì. Sollevai un sopracciglio men­tre la piattaforma veniva scagliata verso di me dall’interno. Mi unii alle ombre e il grill mi superò, conficcandosi nel muro. Poi i piccoli piatti lasciati sui fornelli volarono verso di me. Finiro­no a destra e a manca. Tornando solido, scossi il capo. Patetico. Quella creatura stava diventando disperata. Fu allora che lo sentii. Un pesante suono metallico prove­niente dall’esterno. Sembrava come una lavatrice caricata con una singola scarpa. Traballante. Irregolare. Innaturalmente spa­ventosa. Il mio primo pensiero fu una lavatrice. Solo che veniva dall’esterno. Mi avvicinai lentamente alle porte scorrevoli. Il perfetto panorama della baia era rovinato da una vasca idro­massaggio che saltellava verso di me. Onde di acqua stagnante si rovesciavano oltre i bordi a ogni balzo. Ma come diavolo…
Free reading for new users
Scan code to download app
Facebookexpand_more
  • author-avatar
    Writer
  • chap_listContents
  • likeADD