Fino all'ultima goccia-2

2009 Words
«Ciao Edoardo, come mai in ufficio oggi? Non mi avevi detto che restavi a casa?» «Si è vero, ma sono venuto a controllare se lavori o meno. Quando i gatti sono via i topi ballano» «Ma non dire sciocchezze! Comunque qui tutto normale. Hanno risposto dalla Giordania e dalla Tunisia. Sei tu che sei convinto che agosto è tale solo in Italia, mentre nella altre parti del mondo lavorano» Monica sapeva che la stavo prendendo in giro. Ci conoscevamo già da tanti anni e ci siamo dati del tu praticamente dall’inizio del nostro rapporto di lavoro. Era stata la donna di un mio amico che me l’aveva presentata per farla lavorare. Monica è bionda, un bel viso luminoso in netto contrasto con il suo carattere forte e talvolta ruvido, un corpo modellato dal suo continuo andare in palestra praticamente ogni giorno: una fissata! Due cosce ed un culo marmoreo, ma poche tette. Non ci ho mai provato, né lei lo ha mai fatto con me. Ho sempre evitato rapporti sessuali o sentimentali con le mie collaboratrici: troppo complicato! Ma avevamo una ottima sintonia professionale. Era la segretaria perfetta, molto efficiente, capace di risolvere i problemi, di difendermi, di conoscere anche la mia vita privata e le mie amanti, ma di sapersi fare i cazzi suoi. «Monica, scendo al bar a prendere un caffè, vuoi qualcosa?» «Ma se vuoi scendo io?» mi guardò con i suoi occhi severi «No, vado io. Allora non vuoi niente?» le dissi mentre mi avvicinavo alla porta principale del mio ufficio. «Un tè freddo, grazie» Stavo certamente esagerando con i caffè: era già il terzo della giornata. Risalì in ufficio con il tè freddo per Monica che appena mi vide mi tese il cellulare. «Edoardo, hai lasciato sul tavolo il telefonino. È arrivata una chiamata da una certa Marini che dice di averti intervistato stamattina. Ma è vero?» Monica sapeva tutto di me e rispondeva qualche volta anche alle telefonate del cellulare. Non le avevo detto che sarei stato intervistato da Angelica quella mattina, chissà perché poi. «Sì, è vero. Pensando di restare tutto il giorno a casa l’ho fatta venire lì. Sai… Mi ha chiamato stamattina stessa e mi sono fatto raggiungere a casa per togliermela di mezzo» «Ma mica l’hai fatta andare a casa tua per affascinarla con i tuoi modi di fare galanti e con la bellezza del panorama e della casa? Ma non cambi mai? Ti vuoi dare una calmata che hai una certa età?» si era versata il tè freddo in un bicchiere di plastica e lo sorseggiava piano con eleganza. «Ma smettila! È una ragazzina di 22 anni, ha l’età di mia nipote. Ci manca pure che vengano a sapere, in questa città di merda, che frequento una ragazzina di 22 anni per sputtanarmi ancora di più. Vescovo in testa! Pensi che sia matto?» «No, ma le donne ti piacciono terribilmente ed il bello è che molti pensano e dicono che sei gay. E poi quella non è una santarellina come pensi tu» «Senti, parliamo di cose serie. Richiamala e fatti mandare il pezzo che ha scritto perché le avevo detto che volevo vederlo prima che lo pubblicassero. Non si sa mai con questi giornalisti, soprattutto giovani». Monica fece proprio come le avevo detto. Angelica Un click e l’intervista era in contemporanea nella posta elettronica del mio direttore e di Conti. Accordarci per fargli leggere in anteprima l’intervista era stato il piccolo escamotage con il quale aveva accettato di concedermela in esclusiva. E a me era andato bene, tanto non avevo intenzione di scrivere niente di inventato. “Odio chi farebbe di tutto pur di vendere un’esclusiva!”. Quel genere di cose non mi apparteneva. In cinque anni non mi era mai venuto in mente di vendermi la dignità e la firma per un po’ di soldi o di popolarità. Un duro prezzo da pagare in un piccolo territorio dove le porte aperte sono sempre state limitate e si contano sulle dita di una mano sola. “Bene! Lavoro finito”. E mentre pensai questo, la suoneria del cellulare mi avvertì di un messaggio. Da: Numero sconosciuto Sono tornato. Il tempo di posare le valige a casa e ci possiamo vedere tra mezz’ora al bar sotto casa tua. Spero verrai. F. Un brivido in piena estate mi attraversò tutto il corpo e mi lasciai andare ad un lungo sospiro. Non potevo crederci. Ma quanto tempo era passato? Almeno un anno da quando aveva fatto le valige stufo di questa città che non la smetteva di spettegolare e di impicciarsi negli affari altrui. Lo avevo conosciuto tre anni fa, quando il direttore per il mensile per cui scrivevo me lo presentò. Un giornalista bello e affascinante trasferitosi qui dal Nord Italia che voleva mettere in piedi un sito di informazione. E nonostante abbiano provato a farlo cambiare idea, non ci riuscirono mai. Era diventato ricercatissimo e tutti volevano scrivere per il sito internet di cui era il direttore. E in poco tempo, era diventato anche il mio direttore. «Mi dispiace non posso proprio firmare» risposi quando mi presentò davanti un contratto annuale «Tu devi firmare. Ti voglio come mia corrispondente su questo territorio. Sei in gamba, giovane, sveglia e hai talento. In più hai l’arma che io non potrò mai avere» «Ecco, vedi! Mi vuoi nella tua squadra solo perché sono una donna». Me lo ripeteva in continuazione che le donne hanno un asso nella manica: possono far cadere ai loro piedi chiunque vogliono se sanno giocarsela bene. «No! Intendevo la bellezza»! Con queste parole mi lasciò senza fiato quel pomeriggio di metà marzo di tre anni fa, a casa sua. E firmai. Nella sua redazione affinai l’arte del giornalismo. Imparai a scrivere di inchieste, a fiutare un buon pezzo da una semplice bufala, mi cimentai nel settore dello spettacolo e della moda e quello fu il periodo per me più arricchente. Ero sempre in viaggio tra Roma e Milano per assistere alle sfilate e agli avvenimenti mondani, ma anche alle mostre d’arte, ai festival e alle manifestazioni di spessore. Riuscì ad avere il tesserino da giornalista, che per me rappresentava il primo grande traguardo nella mia carriera lavorativa. E lui era al mio fianco. Mi ero creata un nome, che qui tutti presto conobbero affiancato al suo. “La dolce ingenua Angelica che gioca a fare la giornalista e il misterioso direttore!”. Adesso dovevo cambiarmi. Non mi andava di indossare i vestiti di questa mattina. Scelsi dall’armadio una gonna non troppo lunga e un top ricamato color pesca che scendeva attillato sui fianchi. Ricordavo che diceva che i colori pastello ravvivano la mia carnagione chiara. Un messaggio di posta di conferma mi avvisò che Conti aveva ricevuto la mia mail. Ora ero pronta per scendere giù al bar. Edoardo Lessi il pezzo che Angelica aveva scritto: andava bene. Era stata fedele a quanto le avevo detto e lo aveva scritto con garbo, ma anche con un po’ di malizia che non guastava. Risposi personalmente alla mail dando la mia approvazione. Abbandonato sulla poltrona della mia scrivania fissavo il computer. All’improvviso feci uno scatto, aprii f******k e andai sul profilo di Angelica. Mi misi a guardare le sue foto. Erano bellissime. Credo che una volta, chattando, le feci i complimenti e mi disse che era il suo ragazzo che era bravo a fare le foto. Le osservavo come una sorta di voyeur. Guardandole che molta attenzione notai il piacere, direi la libidine che provava a farsi fotografare. Erano soprattutto primi piani con uno stile antichizzato, come le famose attrici del cinema muto. Non si doveva parlare: era l’espressione del viso che doveva dire tutto. In alcune era vestita con molta eleganza, in altre la si vedeva a bordo di una piscina o in spiaggia che entrava in acqua con un costume molto sexy ed era girata sempre di spalle. La libidine era la sua, ma voleva farla provare anche a chi la fotografava e a chi, come me, avrebbe guardato le sue foto su f******k . Infatti, anche questa volta il pene mi diventò duro nei pantaloni. Quella ragazza non me la contava giusta. Stavo sottovalutando la sua malizia e forse mi stavo facendo degli scrupoli eccessivi. Non era figlia di persone ricche o conosciute nella zona eppure era una giornalista già abbastanza affermata a soli 22 anni. Come aveva fatto? Non è che la ragazzina dal viso angelico l’aveva data a qualcuno? Divenni un po’ geloso e mi resi conto di quanto fossi ridicolo. «Allora, scendiamo insieme?» Monica mi fece prendere uno spavento e lo notò «Ma che hai oggi? Sei più rincoglionito del solito? Hai bisogno di un po’ di riposo e forse di qualche bella scopata con una delle tue squinzie. Puoi scegliere tra Gabriela, Roberta, Serena, Vicky, Anna, Sabrina e mi fermo qui. Italiana, esotica o dell’est» «Non avrei dovuto darti tutta la confidenza che ti ho dato in questi anni. Guarda come mi tratti. E il bello è che a fine mese ti do pure lo stipendio» presi la mia giacca e me l’appoggiai su una spalla, reggendola con la mano dal colletto. «Senza una segretaria come me saresti un uomo morto. E lo sai!» Scendemmo insieme in silenzio, un saluto e ognuno verso la propria auto. Monica andava di sicuro in palestra. Ed io cosa avrei fatto quella sera? Angelica Con una mano mi percorreva tutta la schiena. Ero in piedi davanti a lui con addosso solo il mio completo intimo color pesca. Con la stessa mano che fino a poco fa frugava esperta sul mio corpo ora mi tiene indietro i capelli e con l’altra mi inclina leggermente il collo. Il suo petto nudo preme sul mio e sento il calore della sua pelle che mi invita a toccarlo. Una alla volta fa scivolare sul braccio le spalline del reggiseno per poi lasciarmi a seni scoperti. Dopo, mi sfila le mutandine con la maestria di chi sa bene cosa vuole. Lo guardo davanti a me, mentre siamo entrambi nudi. Una scintilla si illumina nei suoi occhi e sul suo volto si forma un sorriso dannatamente eccitante. Mi spinge sul letto e io cado, bramosa fra le lenzuola di lino color crema. Grazie alla luce fioca dell’abatjour lo vedo mettersi su di me. Inizia a baciarmi i capezzoli che si induriscono sotto la sua lingua e inarco la schiena in un movimento di libidine estrema. Senza che abbia nemmeno il tempo di accorgermene è già dentro di me e si muove, dentro e fuori, e io non posso far altro che annullarmi e abbandonarmi al piacere. Mi stava aspettando, in piedi davanti la sua moto nera, con un piede a terra e l’altro piegato appoggiato al muretto dietro di lui. «Ciao Francesco» dico, senza sapere né come comportarmi né cosa fare «È questo il modo di salutare una vecchia conoscenza?» sul suo volto si espande un grande sorriso e mi abbraccia, dandomi un bacio sulla fronte «Dai, prendiamo un tavolo. Ho bisogno di un buon rum» e si dirige verso il bar «Alle sette di sera? Non ti sembra troppo presto?» Non sapevo dove era stato durante tutto l’anno. Non mi aveva mai scritto: né un messaggio, né una mail, né una chiamata. Niente di niente. L’unica cosa che sapevo era che aveva cambiato numero per non essere trovato. E allora come faceva ad avere il mio? Se lo sarà ricordato a memoria? Scegliemmo un tavolino appartato e ci sedemmo uno di fronte all’altro. Il cameriere ci venne incontro per prendere le ordinazioni e poi sgattaiolare di nuovo dentro il bar. «Dove sei stato tutto questo tempo?» di certo potevo trovare un argomento migliore per iniziare la conversazione «È inutile che me lo chiedi. Sai che non te lo dirò» e mentre si toglie gli occhiali da sole scuri mi lancia uno sguardo lancinante. Lo odiavo con tutta me stessa quando faceva il superbo. «Va bene. Allora perché sei tornato? O non vuoi rispondere nemmeno a questo» strinse la bocca per farmi capire che non avrebbe risposto «D’accordo. Allora aspetterò che parli tu di qualsiasi cosa tu voglia» mi stavo decisamente innervosendo «Mi sei mancata, piccola» con questa frase ero io a non voler più parlare adesso «Ok. C’è altro?» scoppia a ridere fragorosamente «Perché ridi?» «Sei sempre la solita. Mi hanno detto che sei diventata una brava giornalista. Ne ero sicuro che la tua curiosità ti avrebbe portato lontano» ridacchia ancora «Chi te lo ha detto?» «Vecchie conoscenze. Diciamo che non ho perso i contatti giusti» Sento il mio cellulare squillare. Lo prendo dalla borsetta e vedo che è Conti. «Scusami un secondo» mi alzo dal tavolo e mi allontano «Dottor Conti, ha ricevuto la mia mail?» «Signorina Marini, sono la segretaria del Dottore. L’articolo va bene, può essere pubblicato»
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