34. Io, Ted e Bruno solleviamo il corpo di Guido. Comprimiamo la ferita, la leghiamo con uno strofinaccio che recuperiamo in cucina. Il mio amico vicequestore respira, ma fatica a rimanere cosciente. Prova ad aprire gli occhi e le palpebre cadono pesanti sul suo sguardo vacuo. Lo teniamo a stento in tre e grazie al temporale riusciamo a uscire dal palazzo senza essere notati. “E adesso? Che cazzo facciamo fratello?”, dice Bruno ansimando un po’ per la fatica, un po’ per il panico che lo divora. “Dobbiamo portarlo in ospedale. Chiamare un’ambulanza. Non abbiamo altra soluzione”. Guido apre appena gli occhi, di nuovo, e rantola un “Negativo”; cerca di mettersi in piedi ma non riesce e precipita di nuovo nel torpore. È pallido, ha le guance scavate. Vedendolo così sento il magone salire e

