Esordio
Well I’m running, police on my back
I’ve been hiding, police on my back
There was a shooting, police on my back
And the victim well he wont come back
The Clash, Police on My Back
Forse qualcuno si ricorda di me. Mi chiamo Matteo De Foresta e sono un giornalista. Non sono bravo con le armi, non ho mai fatto a pugni, mi sento male di fronte a un cadavere e ho la tenuta atletica di un giocatore di Curling. Eppure chi mi conosce sa che mi sono trovato, diverse volte, durante i miei casini, con una pistola piantata in faccia e solo qualche secondo di vita.
Di solito in quei momenti mi vengono in mente un sacco di cose: rifletto sul senso della vita e sui valori in cui credo, come l’amicizia e l’amore. E anche su un mucchio di paccottiglie senza senso.
Sono nel pieno di uno di quei momenti: adesso mi vengono in mente le tre cose che odio di più nei menù dei ristoranti. L’uso dei diminutivi e dei vezzeggiativi tipo: verdurine, raviolini, pestuccio. Non è che se li coccoli e li vezzeggi i tuoi piatti sono più buoni. Se fanno schifo, restano cattivi.
E poi odio l’utilizzo dell’articolo e del singolare, come il nostro raviolo o il nostro sugo. Ma se vengo da te a mangiare, di chi doveva essere? Di tua zia?
E poi c’è la cosa che più mi fa imbestialire: la parola polipo.
Certo, i polipi esistono. Stanno nel naso, nell’intestino, a volte nella vescica. Però sono tutte cose che fanno schifo e ti tolgono la voglia di mangiare.
Ebbene, quelli che sguazzano in mezzo al mare, invece, si chiamano polpi. Polpi, capito? Senza quella “i” inutile come un preservativo durante un ritiro spirituale in un monastero.
L’unica differenza rispetto al passato, questa volta, è che la testa contro la pistola non è la mia. Ma la sostanza cambierà poco se quell’arma farà fuoco. Io e Guido saremo entrambi morti.
Mentre penso ai menù dei ristoranti, infatti, il mio amico vicequestore Guido Rocchetti sta premendo la canna di una pistola contro la nuca del suo collega e pari grado, Ettore Salvaneschi.
Guido ha gli occhi gonfi dalla stanchezza, sgranati, il respiro corto e la mano che gli trema.
Sto provando a fermarlo, spiegargli che sta facendo l’errore più grosso del mondo: non si ammazza così un vicequestore. Non qui, non adesso. Sarebbe inutile come quella “i” di polipo nei menù dei ristoranti.
E poi a Guido mancano ancora dei tasselli. Non ha capito fino in fondo quello che sta accadendo e io inizio a tremare. Non solo all’idea che la testa di Salvaneschi esploda, ma per quello che accadrà dopo. Per la trappola in cui ci siamo infilati. Per le conseguenze che questa morte avrà sulle nostre vite.
La mia, poi, ammesso che ne avrò ancora una, è diventata davvero incasinata. In equilibrio tra il mio passato e un possibile futuro; tra due donne che amo allo stesso modo, o forse in modo diverso.
Una è dolce, profonda, morbida nei suoi modi di pensare e agire, ed è la madre di mia figlia.
L’altra invece è come una bomba che mi è esplosa nella bocca dello stomaco. È imprevedibilità, batticuore, follia pura.
Io le amo entrambe e non riesco a scegliere. Mi dico che sono il solito immaturo e non solo per questo: sto pensando alla mia vita sentimentale quando tra un’ora sarò sotto terra. O più probabilmente dentro a una colonna di cemento: visto chi si nasconde dietro a tutta questa storia. Colui che ci ha messo in trappola e ci ha ingannati fin dall’inizio.
Ecco allora che mi sale di nuovo il panico e ricomincio a pensare ai menù con le verdurine, l’arrostino e quel cazzo di polipo. Come vorrei saper usare le armi, oppure il karate. Forse riuscirei a fermare quel testone romano: un colpo secco e sarebbe a terra. Ma l’unica cosa di giapponese che conosco è il Sudoku. E non sono nemmeno bravo. Non mi rimane che la dialettica, provare a convincerlo a non farlo. Ancora una volta.
Guido stringe i denti, vedo l’indice sul cane diventare bianco per la pressione. Il colpo sta per partire.
“Guido, porca troia! Ascoltami, cazzo!”, gli dico.
Mi sento inutile come la “i” di polipo nei menù. Ma questa volta in padella ci stiamo finendo noi.