LA DOGANA Introduzione a “La Lettera scarlatta”
Fa un poco specie, che -sebbene sia restio a parlar molto di me e dei miei affari negli ambienti domestici e agli amici intimi- un impulso autobiografico mi abbia spinto per ben due volte nella mia vita a rivolgermi al pubblico. La prima ebbe luogo tre o quattr'anni orsono, quando favorii ai miei lettori, imperdonabilmente e senza nessuna ragione al mondo che il lettore indulgente o l'importuno scrittore possano immaginare, una descrizione del mio stil di vita nella profonda quiete d'un Vecchio Presbiterio ( casa clericale N.d.C ). Ed ora, poiché la scorsa volta fui contento di trovare un paio d'ascoltatori, peraltro immeritati, ecco che riagguanto il lettore per la giacca e discorro della mia esperienza triennale in una Dogana. L'esempio del famoso “P.P., Ecclesiastico di questa Parrocchia” non ebbe mai seguito più fedele. La verità sembra essere, comunque, che quando l'autore sparpaglia al vento i suoi fogli, non si rivolge ai tanti che getterebbero il volume in disparte, oppure non lo raccoglierebbero mai, bensì ai pochi che potrebbero capirlo meglio dei suoi stessi compagni di scuola o di vita. Alcuni autori, anzi, si spingono ben più oltre, e s'abbandonano a certe confidenze di carattere così intimo, che sarebbe lecito indirizzarle soltanto ed esclusivamente all'unico cuore e intelletto capace di perfetta empatia; quasi che il libro stampato e rilasciato in libertà nella vastità mondiale, sia destinato a scoprire la parte mancante nella natura dello scrittore e a completare l’emisfero della sua esistenza ponendolo in comunione con esso. Non sembra decoroso peraltro dire ogni cosa, anche quando si comunica impersonalmente. Ma poiché i pensieri si congelano e il proferire si intorpidisce, a meno che l’oratore non si trovi effettivamente in confidenza con l'uditorio, potrebbe esser sensato immaginare che un amico, un amico buono e comprensivo, seppure non il più stretto, stia ascoltando il nostro discorso; ed allora, un naturale riserbo fondendosi ad opera di questa benefica consapevolezza, ci sarà dato chiacchierare delle situazioni che ci circondano ed anche di noi stessi, mantenendo in ugual modo il nostro più intimo Io dietro il suo velo. Fino a tal punto, ed entro questi limiti, stimiamo che un autore possa essere autobiografico senza violare né i diritti del lettore né i suoi.
Sarà in ogni caso visibile, come questo bozzetto della Dogana abbia una certa proprietà d'un genere da sempre riconosciuto nella letteratura, in quanto spiega, come una gran parte delle pagine seguenti sia venuta in mio possesso, ed offre la prova dell'autenticità della narrazione in esse contenuta. Questo di fatti,-il desiderio di presentarmi nella mia veste reale di curatore, o poco più, del più prolisso tra i racconti che compongono il libro,-questo e nessun altro è il mio vero motivo di mettermi personalmente in contatto col pubblico. Nell'adempiere il proposito principale, è parso lecito, mediante alcuni ritocchi ulteriori, offrire la debole rappresentazione d'uno stile di vita mai descritto prima, insieme ad alcuni personaggi tra cui l’autore è capitato di trovarsi.
Al principio della mia città natale di Salem, all’incirca mezzo secolo fa, ai tempi del vecchio King Derby, c'era un molo vivacemente frequentato, ma che oggi è ingombro di cadenti magazzini di legno e presenta pochi segni di vita commerciale, tranne forse un tre alberi ( si tratta di un veliero. N.d.C .) o un brigantino ormeggiati a metà della sua melanconica lunghezza, che sbarcano pellami; ovvero, più a riva, una goletta della Nuova Scozia che butta fuori il suo carico di legna; all'estremità, dico, di questo molo in rovina che la marea spesso inonda e lungo il quale, alla base e sul retro della fila delle costruzioni, l'orme di molti languidi anni si scorgono su un margine d'erba sparuta,-qui sorge uno spazioso edificio di mattoni, le cui finestre anteriori guardano su tal prospetto non troppo confortante, e oltre di esso, sul porto. Dalla sommità del suo tetto ogni mattina, durante tre ore e mezzo precise, fluttua o langue alla brezza o alla bonaccia la bandiera della repubblica; ma non con le tredici strisce diritte, bensì orizzontali, a indicare che lì ha la sua sede un posto civile e non militare del governo dello Zio Sam. La facciata si fregia d'un portico composto d'una mezza dozzina di colonne di legno che reggono un terrazzo, sotto al quale una rampa d'ampi scalini di granito scende in strada. Sull'entrata si staglia un enorme esemplare dell'aquila americana con le ali spiegate, uno scudo sul petto e, se ben ricordo, un fascio di saette e di frecce acuminate in ambo gli artigli. Col notorio caratteraccio che lo distingue, il disgraziato pennuto mostra mediante la ferocia del becco e dell'occhio e la truculenza di tutto l'atteggiamento, di minacciar qualche guaio all'inoffensiva comunità; e specialmente di sconsigliare i cittadini a cui è cara la propria incolumità di accostarsi al fabbricato che giace all’ombra delle sue ali. Ciononostante, per bisbetica ch'essa appaia, molta gente sta cercando in questo preciso istante di rifugiarsi sotto l'ala dell'aquila federale; figurandosi, penso, che il suo seno sia soffice e confortevole come un cuscino di piume Ma costei non è troppo tenera neppure nel miglior stato d'animo, e prima o poi, più prima che poi, sarà incline a sbarazzarsi della nidiata con un graffio dell'artiglio, un colpo del becco o un'acerba ferita delle frecce aguzze.
Nelle crepe del selciato attorno all'edificio ora descritto, che tanto vale designar subito come la Dogana del porto, l'erba è sufficiente a mostrare come in questi ultimi tempi l'affluenza del traffico l'abbia completamente trascurato. Durante certi mesi dell'anno, peraltro, capita sovente un mattino in cui gli affari procedono con ritmo più animato. Tali occasioni possono rammentare ai cittadini attempati il periodo precedente all'ultima guerra con la Gran Bretagna, quando Salem era un porto bastante a se stesso: non già disprezzato com'è oggi dai suoi stessi mercanti e armatori, i quali ne lasciano andare in malora gli approdi, mentre i loro traffici vanno a gonfiare vanamente e impercettibilmente il flusso poderoso del commercio a New York e a Boston. In siffatte mattine, quando tre o quattro bastimenti arrivano al contempo, per lo più dall'Africa o dal Sud-America, o sono in procinto di salpare a quella volta, s'ode un viavai di passi più vivaci sugli scalini di granito. Lì puoi salutare ancor prima della sua moglie medesima, il capitano slavato dal mare, sbarcato poc’anzi, che reca sottobraccio una scatola di latta arrugginita contenente le carte di bordo. Qui giunge pure l'armatore, allegro o triste, affabile o arcigno, a seconda che il suo progetto del viaggio or ora compiuto si sia concretato in mercanzie facilmente cangiabili in oro, o l'abbia sepolto sotto un ammasso d'impicci, dai quali nessuno si darà pena di sbarazzarlo. Qui abbiamo del pari in embrione il futuro mercante logorato dagli affanni, con la fronte grinzosa e la barba brizzolata, vale a dire il giovane e brillante scrivano, che gusta il sapore del traffico come il lupetto quello del sangue, e già arrischia il suo sulle navi del principale, quando farebbe meglio a mandare barchette da ragazzi in una gora ( canale N.d.C. ). Un'altra figura della scena è il marinaio pronto a salpare, in cerca d'un salvacondotto; o l'altro sbarcato di recente, debole e pallido, che vuole un certificato per l'ospedale. Né dobbiamo dimenticare i capitani delle piccole e tartassate golette che recano legna dalle province inglesi; rozzi lupi di mare, senza quell'aria sveglia degli Yankees, ma che pure costituiscono un elemento tutt'altro che trascurabile nel nostro commercio in declino.
Ammucchia, come talvolta accadeva, tutti questi individui, e mettine degli altri differenti nel mazzo per dar varietà all'insieme: farai provvisoriamente della Dogana una scena movimentata. Più spesso tuttavia, salita la scala, avresti potuto notare, nell'ingresso d'estate o nelle lor stanze d'inverno o col maltempo, una fila di venerande figure sedute su antiche sedie, che mantenevano inclinate contro la parete puntellandole sulle gambe di dietro. Il più delle volte dormivano; ma ogni tanto le sentivi discorrere assieme, con certi suoni nei quali la dialettica si alternava al ronfare, e con la fiacca che distingue gli abitanti dell'ospizio e tutti gli altri esseri umani, il cui sostentamento dipende dalla carità o dal lavoro monopolizzato o da qualunque cosa tranne che dal libero esercizio della loro attività. Quei vecchi messeri, seduti come Matteo a riscuoter gabelle, ma che avevano poche probabilità di venir prescelti a somiglianza di lui per mansioni apostoliche, erano i doganieri.
Inoltre sulla sinistra, appena entrato dalla porta principale, trovi una certa stanza o ufficio di circa quindici piedi quadrati e considerevole altezza, con tre finestre ad arco, due delle quali guardano sul molo cadente poc’anzi descritto e la terza su un sentiero angusto e una parte della via Derby. Da tutte e tre puoi cogliere una visione delle botteghe dei droghieri, dei bozzellai (operai addetti al bozzello, dispositivo simile alla carrucola nell’ambiente navale N.d.C.) , dei venditori di divise da marinaio e d'attrezzi per bastimenti; sul cui uscio si osserva di solito un crocchio di vecchi lupi di mare ridanciani e pettegoli, e di quei tali lestofanti che infestano i paraggi malfamati dei porti. Questa stanza è piena di ragnatele e sudicia di vecchio intonaco; il pavimento cosparso di sabbia grigia, secondo un'usanza ormai dimenticata altrove; ed è facile concludere dall'uniforme sciattezza del luogo, com'esso sia un santuario ove ha di rado l'accesso la donna coi suoi magici arnesi, la scopa e lo strofinaccio. Quanto a suppellettili, c'è una stufa con un voluminoso fumaiolo; un vecchio scrittoio di pino e accanto uno sgabello a tre gambe; due o tre sedie dal fondo di legno, decrepite e malandate quanto mai; e per non dimenticare la biblioteca, parecchi tomi degli Atti del Congresso e una grossa Raccolta delle Leggi sulle Imposte. Un tubo sottile sale su per il soffitto e forma un tramite di comunicazione verbale con altre parti dell'edificio. E in quella stanza, fino a un sei mesi fa, misurandola da un canto all'altro o seduto indolente sullo sgabello dalle gambe lunghe, col gomito appoggiato allo scrittoio e gli occhi vaganti per le colonne del giornale del mattino, avresti potuto riconoscere, riverito lettore, quello stesso individuo che ti porse il benvenuto nel suo allegro studio, ove il sole luccicava così ameno tra i rami del salice sul lato di ponente del Vecchio Presbiterio. Ma se adesso tu andassi a cercarvelo, invano chiederesti del Soprintendente Locofoco. La scopa della riforma l'ha spazzato dall'ufficio; e un successore più degno ricopre quell'alto posto e intasca i suoi emolumenti.
Questa vecchia Salem, la mia città, sebbene io n'abbia vissuto lontano molto tempo sia nell'infanzia che negli anni maturi, esercita, o esercitava sui miei affetti una presa, la cui forza non ho mai realizzato durante i periodi in cui ne feci la mia residenza effettiva. Invero, per quanto riguarda il suo aspetto materiale, la sua superficie piatta, uniforme, coperta per lo più da costruzioni di legno, poche o punte delle quali accampano pretese di bellezza architettonica; la sua irregolarità che non è pittoresca né bizzarra, ma soltanto scialba; la sua strada principale lunga e pigra, che si snoda stancamente su tutta l'estensione della penisola, compresa fra le due località dette il Colle della Forca e la Nuova Guinea ad un capo, e l'Ospizio dall'altro; tali essendo i tratti della mia cittadina natia, nutrire per essa un attaccamento sentimentale equivarrebbe a provarlo per una scacchiera scompigliata. E tuttavia, benché io sia stato costantemente felice altrove, scopro in me per la vecchia Salem un sentimento, che in mancanza d'un vocabolo più appropriato debbo contentarmi di definire affetto. Esso è dovuto probabilmente alle radici profonde ed annose che la mia famiglia affondò in questo suolo. Or fanno quasi due secoli e un quarto sicché il Britanno originale, primo emigrante del mio nome, comparve nella colonia selvaggia e cinta da foreste, che in seguito divenne una città. E qui vennero alla luce e morirono i suoi discendenti e confusero la loro materia terrena col suolo, cosicché una sua porzione non piccola dev'essere necessariamente affine alla forma mortale con cui per un breve lasso di tempo io m'aggiro per queste strade. In parte, quindi, l'attaccamento di cui parlo è una mera simpatia fisica della polvere per l'altra polvere. A pochi dei miei concittadini è dato di conoscerlo; e d'altronde, sicché il trapianto frequente è forse più giovevole alla razza, debbono augurarsi di non conoscerlo mai.
Ma il sentimento ha egualmente la sua qualità morale. La figura di quel primo antenato, investita dalla tradizione familiare d'una opaca e tenebrosa grandezza, fu presente alla mia fantasia di fanciullo fin dove posso risalire con la memoria. Essa m'assilla tuttora, e suscita una sorta di dimestichezza col passato, che non riesco a rivendicare nei confronti della città nella sua fase attuale. Mi par di possedere un più forte diritto a risiedervi a discapito di quel severo progenitore barbuto, col mantello nero e cappello a campanile, che ci venne così di buon'ora con la Bibbia e la spada, e calcò la strada recente con portamento così maestoso e ci fece una figura di tanto risalto come uomo di pace e di guerra; un diritto più forte di quanto io non n'abbia per me solo, col mio nome pronunciato di rado e la mia faccia pressoché sconosciuta. Colui fu soldato, legislatore, giudice; reggitore della Chiesa; provvisto di tutti i tratti puritani, sia buoni che malvagi. Fu anche un fiero persecutore, come testimoniano i Quaccheri che l'hanno rammentato nelle loro cronache, e riportano un incidente della sua dura severità verso una donna di quella setta, destinato, temo, a durare più di tutte le altre testimonianze delle sue gesta migliori, per numerose che fossero. Suo figlio, poi, ne ereditò lo spirito di persecuzione, e tanto si distinse nel martirio delle streghe, che a ragione si vuole il lor sangue gli avesse lasciato una macchia sulla persona. Una macchia così indelebile, anzi, che le sue vecchie ossa risecchite nel cimitero di Charter-Street debbono serbarla tuttora se non hanno finito di sgretolarsi del tutto! Ignoro se questi miei avi si fossero mai risolti a pentirsi e a chieder perdono al cielo delle proprie crudeltà; ovvero se stiano adesso gemendo per le lor gravi conseguenze in un altro stato dell'essere. Io comunque che scrivo, in qualità di loro discendente, raccolgo sul mio capo l'obbrobrio e prego ch'ogni eventuale maledizione si fossero attirati (come ho sentito dire e com'è lecito dedurre dalle tristi e stentate condizioni della famiglia durante tanti mai anni) possa venir d'ora in poi stornata per sempre.