Indubbiamente, però, entrambi gli austeri e torvi Puritani avrebbero giudicato una punizione sufficiente dei loro peccati il fatto che dopo un lasso sì lungo il vecchio tronco dell'albero genealogico, coperto di tanto venerabile muschio, avesse prodotto quale fronda di cima un infingardo della mia specie. Nessuna mira da me accarezzata, l'avrebbero riconosciuta lodevole; nessun successo, qualora la mia vita ne fosse mai stata rallegrata oltre l'ambito familiare, l'avrebbero ritenuto altrimenti che meschino, o addirittura infamante. “Chi è costui? - si mormorano l'una all'altra le ombre grigie degli avi. - Uno scrittore di storie! che razza di mestiere sarà questo?... che modo di glorificare Dio o di rendersi utile al prossimo nella sua vita terrena e nella sua generazione? Via, tanto sarebbe valso che quel degenerato avesse fatto il violinista ambulante!”. Ecco quali sono i complimenti che ci scambiamo i miei progenitori ed io attraverso l'abisso del tempo! E tuttavia, hanno un bel vilipendermi costoro: forti tratti della loro natura si sono mescolati con i miei.
Radicata profondamente nella primiera infanzia e fanciullezza della città da quei due uomini seri e risoluti, la stirpe ci ha vissuto fin da allora; e sempre rispettata; e mai, a quant'io mi sappia, degradata da un unico membro indegno; d'altro canto però, di rado se non mai, dopo le due prime generazioni, distinguendosi per un'impresa memorabile, o per lo meno accampando un diritto alla pubblica attenzione. Un po' per volta i suoi discendenti si son quasi dileguati alla vista: come certe vecchie case qua e là vengono coperte man mano fino a mezza altezza da nuovi strati di terra. Per oltre cent'anni, di padre in figlio presero la via del mare; e mentre un canuto capitano si ritirava dal cassero alla dimora avita, un ragazzo quattordicenne prendeva il suo posto ereditario davanti all'albero di trinchetto, affrontando gli spruzzi salsi e le burrasche che avevano infuriato contro il genitore e l'avo. Anche il ragazzo, a tempo debito, passava dal castello di prora alla cabina, trascorreva una tempestosa virilità e tornava dai vagabondaggi intorno al mondo a invecchiare e morire, e a mescolar le sue ceneri alle zolle natie. Questo diuturno legame d'una famiglia con un unico luogo di nascita e sepoltura, crea una sorta di parentela tra l'essere umano ed il sito, affatto indipendente da ogni fascino del paesaggio o delle condizioni morali che circondano il primo. Non è amore ma istinto. Il nuovo abitante, sia lui l'immigrato o suo padre o suo nonno, possiede scarsi diritti al nome di salemita; non ha alcuna nozione della tenacità d'ostrica con cui un vecchio colonizzatore, davanti al quale scorre lentamente il terzo secolo della sua ascendenza, resta attaccato al suolo dov’essa fu interrata via via. Non conta che il luogo gli appaia desolato; che sia stanco delle vecchie case di legno, della polvere e del fango, della perpetua monotonia del paesaggio e dei sentimenti, del rigido vento di levante e della più rigida tra le atmosfere sociali; tutti questi difetti, e quant'altri potrà scorgervi o figurarsi, non hanno efficacia di sorta. L'incanto permane, né sarà meno potente che se il paese natio fosse un paradiso sulla terra. Questo è stato il mio caso. Fu come se il destino m'avesse ingiunto di far di Salem la mia dimora: in modo che la forma dei lineamenti e lo stampo del carattere che lì erano rimasti ininterrottamente familiari (sempre, quando un membro della famiglia era messo a giacere nella tomba, un altro ne riprendeva, per così dire, la marcia di scolta lungo la via principale) potessero ancora esser visti e riconosciuti nella vecchia città durante la mia breve giornata. Ciononostante, questa sensazione medesima è la riprova che il vincolo, fattosi ormai malsano, dovrebbe almeno venir reciso. La natura umana cessa di prosperare, né più e né meno d'una patata, quando la si trapianti nello stesso esausto terreno per una serie troppo lunga di generazioni. I miei figli ebbero diversi natali e fin quando le loro sorti saranno in mio potere, metteranno radice in nuove zolle.
Alla mia uscita dal Vecchio Presbiterio, fu soprattutto questo attaccamento strano, indolente, senza gioia per la città natia, ad indurmi a coprire una carica nell'edificio di mattone dello Zio Sam, quando nulla m'impediva, e forse sarebbe stato meglio per me, d'andarmene altrove. Il fato mi sovrastava. Non era la prima volta e neppure la seconda che ne partivo, sembrava definitivamente, e invece c'ero tornato come il soldo fasullo, o come se Salem fosse ai miei occhi il centro inevitabile dell'universo. Cosicché una bella mattina salii la scala di granito con la nomina del Presidente in saccoccia, e fui presentato al collegio dei rispettabili signori che dovevano assistermi nelle mie gravi mansioni di Soprintendente alla Dogana.
Dubito assai, o meglio non dubito punto, che un funzionario pubblico degli Stati Uniti, sia nel ramo civile che in quello militare, abbia mai avuto ai suoi ordini un corpo di veterani d'età altrettanto patriarcale. Appena li ebbi guardati, seppi subito dove fosse la dimora dell'Abitante più Vecchio. Da oltre vent'anni, la posizione indipendente del collettore aveva mantenuto la Dogana di Salem lontano dal turbine delle vicissitudini politiche che di solito rende così fragile l'esercizio d'un impiego. Un soldato, il soldato più illustre del New England, stava ben saldo sul piedestallo delle sue gesta valorose; e lui per primo al sicuro nella saggia liberalità delle successive amministrazioni, durante le quali aveva ricoperto il suo posto, era stato la salvezza dei subordinati in più d'un momento di pericolo e di subbuglio. Il Generale Miller era radicalmente un conservatore; un uomo sulla cui tempra bonaria l'abitudine esercitava non poca influenza; s'attaccava fortemente alle facce familiari ed era difficile indurlo a cambiarle, anche quando ciò avrebbe significato un sicuro miglioramento. E quindi, allorché assunsi le mie mansioni, trovai pochi uomini, ma in tarda età. Si trattava per lo più d'antichi capitani della marina mercantile i quali, dopo esser stati sballottati su tutti i mari e aver tenuto testa gagliardamente alle raffiche tempestose della vita, erano giunti alla deriva in quell'asilo tranquillo: ed in quel luogo, pressoché indisturbati, quando non fosse dai terrori periodici d'una elezione presidenziale, godevano dal primo all'ultimo d'una proroga ai loro giorni. Quantunque non meno soggetti dei loro simili alla vecchiaia e agli acciacchi, possedevano palesemente un talismano che teneva a bada la morte. Due o tre di costoro, mi venne assicurato, afflitti dalla gotta e dai reumatismi o forse obbligati a letto, non si sognavano mai di comparire alla Dogana durante gran parte dell'anno; bensì, dopo un torpido inverno, strisciavano fuori al caldo sole di maggio o di giugno, attendevano pigramente a quello che chiamavano il dovere, e a loro bell'agio se ne tornavano a letto. Debbo confessarmi colpevole d'aver affrettato l'estremo respiro di più d'uno di questi venerandi servitori della repubblica. Si ebbero il permesso dietro mio intervento di riposarsi dell'ardue fatiche e di lì a poco, quasi il loro unico principio vitale fosse stato lo zelo al servizio della patria, del che sono fermamente convinto, s'appartarono in un mondo migliore. È per me fonte di pia consolazione il pensiero che per mio tramite fu loro assegnato un lasso di tempo sufficiente a pentirsi delle male pratiche e del mercimonio in cui si suppone che ogni doganiere sia naturalmente tenuto a scivolare. Né l'entrata principale né quella di servizio della Dogana dànno sulla strada che mena al Paradiso.
I miei impiegati erano whigs ( Whig è uno dei principali partiti politici attivi tra il tardo 600 e meta delll’800 in Inghilterra a rappresentanza della classe sociale elitaria. N.d.C ) nella maggioranza. Fu bene per la loro venerabile confraternita che il nuovo Soprintendente non fosse un politicante, e seppure fedele democratico per principio, non avesse ricevuto né conservasse l'impiego in seguito a benemerenze di carattere politico. In caso contrario, qualora cioè fosse stato assegnato a quell'alto posto il militante in un partito, per assumersi il facile compito di spingersi avanti contrastando a un collettore whig impedito dagli acciacchi d'esercitare personalmente le proprie funzioni, forse non un sol membro dell'antica congregazione avrebbe respirato l'aria della vita d'ufficio dopo un mese da che l'angelo sterminatore aveva asceso la scala della Dogana. Secondo il codice ammesso in questioni del genere, un uomo politico non sarebbe venuto meno al suo dovere se avesse posto tutte quelle teste canute sotto la mannaia della ghigliottina. Era facile capire che quei poveri vecchi paventavano da parte mia uno sgarbo di tal fatta. M'addolorò e insieme mi divertì mirare i terrori che s'accompagnarono alla mia comparsa; veder una gota rugosa, provata da mezzo secolo di procelle, sbiancarsi mortalmente all'occhiata d'un individuo innocuo par mio; scoprire, quando l'uno o l'altro mi si rivolgeva, il tremito d'una voce che in giorni remoti fu avvezza a sbraitare in un megafono con un'asprezza sufficiente a imporre silenzio perfino a Borea. Ben sapevano, quei vecchi eccellenti, che secondo ogni norma legittima, nel caso d'alcuni ribadita dalla totale inefficienza nel mestiere, avrebbero dovuto cedere il posto a uomini più giovani, più ortodossi in politica e di gran lunga più adatti di loro a servire il comune Zio Sam. Lo sapevo io pure, ma il cuor mio non seppe mai risolversi ad agire di conseguenza. Con sommo e meritato discredito, quindi, e notevole detrimento della mia coscienza di funzionario, costoro seguitarono finché fui in carica a trascinarsi per il molo e a bighellonare su e giù per gli scalini della Dogana. Passavano inoltre un bel po' di tempo a dormire nei soliti cantucci, con le sedie inclinate contro il muro; svegliandosi tuttavia un paio di volte nel corso della mattinata onde affliggersi scambievolmente ripetendo per l'ennesima volta vecchie storie marinaresche e spiritosaggini ammuffite, che avevano finito per diventare parole d'ordine e contrassegni personali.
Presto, immagino, fu fatta la scoperta che il nuovo Soprintendente non era poi troppo nocivo. Cosicché a cuor leggero e con la felice certezza d'esser proficuamente impiegati in pro di se stessi almeno, se non della patria diletta, i buoni vegliardi seguitarono ad adempiere le loro varie mansioni. Con che sagacia guardavano insistentemente di sotto agli occhiali nella stiva dei bastimenti! Quanto scalpore levavano per questioni da nulla e con qual mirabile ottusità se ne lasciavano talora sgusciar tra le dita di ben altro peso! Ogni qualvolta si dava una tale sventura, quando cioè un prezioso carico era stato sbarcato di contrabbando, magari a mezzodì e proprio sotto i loro candidi nasi, nulla superava l'oculatezza e l'alacrità con cui costoro procedevano a serrare e riserrare e assicurare con cordicelle e sigilli tutti gli accessi della nave colpevole. In luogo d'una reprimenda per la precedente negligenza, il caso pareva richiedere un elogio della lodevole cautela dimostrata dopo che s'era verificato il danno; un grato riconoscimento del loro zelo e prontezza quando ormai non c'era rimedio.
A meno che la gente non mi si dimostri più sgradevole dell'ordinario, ho la stolta abitudine di prenderla a benvolere. La parte migliore del carattere del mio simile, caso mai una parte migliore ci sia, è quella che di solito prevale nella mia stima e compone l'emblema con cui riconosco l'individuo. Poiché la maggior parte di quei vecchi doganieri aveva dei lati buoni e il mio atteggiamento verso di loro, per esser paterno e protettore, favoriva lo sboccio di sentimenti amichevoli, presto mi ritrovai a voler bene a tutti quanti. Era bello nelle mattine d'estate, quando l'afa cocente, che quasi liquefaceva il resto del consorzio umano, largiva soltanto un grato tepore ai loro organismi semi intirizziti; era bello ascoltarli ciarlare nell'ingresso sul retro, tutti in fila nella solita posizione a ridosso della parete; mentre si fondevano i frizzi congelati di generazioni lontane e uscivano da quelle labbra con le bolle del riso. Vista dal di fuori, la festevolezza dei vecchi ha molto in comune con l'allegria dei fanciulli; l'intelletto, o quanto meno un senso profondo d'umorismo, ci hanno poco a che fare, in ambo i casi è un bagliore che giuoca alla superficie e impartisce un aspetto giulivo e solare al verde ramoscello e al cinereo tronco in disfacimento. Nell'un caso, tuttavia, è vero sole; nell'altro, somiglia più alla fosforescenza del legno marcescente.
Occorre però avvertire il lettore che sarebbe una grave ingiustizia descrivere tutti quegli eccellenti amici come dei rimbambiti. In primo luogo, i miei collaboratori non erano sempre vecchi; c'erano tra di loro degli uomini nel pieno vigore degli anni, di notevole abilità ed energia, e di gran lunga superiori al lento e passivo tenor di vita decretato dalla loro cattiva stella. E poi, mi accorgevo talvolta come le bianche ciocche della vecchiaia fossero solo il graticcio che copriva un intelletto mentale in buone condizioni. Ma per quanto riguardi la maggioranza del mio corpo di veterani, non farò loro torto definendoli complessivamente come un insieme di vecchi animi noiosi i quali dalle svariate esperienze della vita non avevano ricavato nulla che meritasse d'esser posto in serbo. Sembrava che avessero gettato via l'aureo grano della saggezza pratica nonostante le numerose occasioni di mieterlo, e riposto i ricordi con la massima cura tra gli scarti. Parlavano con molto più interesse e fervore della colazione del mattino o del pranzare di ieri, di oggi o di domani, che non del naufragio di quaranta o cinquant'anni avanti e di tutte le meraviglie del mondo contemplate dai loro giovani occhi.