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La luna immergeva il prato in una luce gialla. Ai piedi degli alberi c’erano chiazze d’ombra profonda, da una di esse sbucò il ragazzo. Sveto se lo trovò davanti all’improvviso ed ebbe un impercettibile sussulto.
– Ciao, da dove ne vieni? – lo salutò. La voce gli uscì leggermente impastata per il troppo vino, e mentre lo guardava sentì montargli quella strana inquietudine che lo prendeva in sua presenza. Gli succedeva da un po’ di tempo, ma solo ora se ne rendeva conto.
Forse era il pallore del viso del ragazzo, la magrezza del corpo, la mescolanza di maturità e innocenza che emanava dall’insieme a fargli quell’effetto, o forse erano gli occhi di lui che gli trasmettevano ansia.
– Sono rimasto a leggere nella mia stanza – rispose Paolo, e a causa del vento che si era levato, la sua voce gli giunse appena.
– Non ti piacciono le feste? – chiese Sveto.
Le labbra del ragazzo si stesero in un sorriso, ma gli occhi restarono seri.
– A guardare la tua faccia – disse poi, – non mi sembra di aver perso qualcosa.
– Cioè?
– Beh, se questa è una festa, tu hai una faccia piuttosto infelice.
Sveto abbassò lo sguardo. Stupido presuntuoso, pensò e un impulso di ribellione gli infiammò il viso portandogli il sangue alle orecchie.
– Allora come mai sei sceso? – chiese chinandosi a raccogliere da terra un ramoscello spezzato.
Paolo si bilanciò sulle gambe, probabilmente stava valutando se la domanda era stata fatta per sviare la sua osservazione o se lui era veramente interessato.
Magro e serio, pensò Sveto. Troppo serio. Ora mi saluta e mi pianta in asso. Invece rispose:
– La musica arrivava in camera, niente di speciale... ma quando non è un disco, ed è suonata dal vivo, fa sempre un certo effetto, anche la più scema. E poi la notte è troppo bella.
Sveto guardò in alto, negli spazi disegnati tra le foglie dei lauri e dei lecci brillavano le stelle, non l’aveva notato.
– Perché dici che ho una faccia infelice? – chiese facendosi più vicino. – A cena tua madre mi ha detto che ho l’aria cattiva dell’eterno scontento, e uno che conosco, subito dopo, mi ha chiesto se mi stavo rompendo le scatole... E tu invece te ne vieni fuori con questa trovata – disse percuotendo leggermente il petto del ragazzo con il suo fuscello. Stava avvicinandosi qualcuno.
– Così mi pareva. Ora vado – rispose Paolo limitandosi ad alzare le spalle.
Sveto sentì dentro di sé qualcosa oscurarsi, si accorse che la sua vista si era fatta tremolante perché i suoi occhi erano bagnati. Cosa mi succede? si chiese spaventato spostandosi verso la zona d’ombra. Intanto cercava disperatamente qualcosa da dire, per trattenerlo. Gli sembrava importante. Ma non gli venne niente. Non voleva restare solo, questo era tutto.
– Aspetta, scappi sempre – farfugliò poi guardandolo fisso negli occhi. – Tu non mi odi, perché? – aggiunse precipitosamente.
Paolo era già mezzo voltato.
– Perché dovrei? – chiese stupito.
– Ho sposato tua madre, sono un intruso in questa casa, no?
– Non prendertela, sapessi come mi sento io...
Sveto guardò con occhi disperati il ragazzo che entrava ormai nel buio più fitto.
Ci fu uno stormire di fronde. Flora Calò si strinse nelle spalle.
– Hai freddo? – le chiese Marcella.
– Solo un brivido, ho portato uno scialle, ma entrando l’ho lasciato in casa.
– La tua voce... sarà meglio rientrare. Andiamo? Venite tutte?