Bertoli2009, Monza
In città il traffico si è ridotto da un po’. L’ora tarda e il clima ancora troppo fresco non invitano la gente a uscire. Mario ed Enrico, il figlio sedicenne, sono a bordo della loro Audi A8, tra i pochi a percorrere le strade cittadine. Entrambi scrutano i marciapiedi, in preda a una preoccupazione crescente.
«Papà, sei sicuro di non aver litigato con la mamma? Le hai detto qualcosa che possa averla offesa?», chiede Enrico, senza distogliere lo sguardo dalla strada.
«Ma no, assolutamente. Ci siamo salutati con un bacio, come al solito. Poi sono salito nell’ufficio del mio collega. Lei mi ha detto che si faceva un giro per la città. Ho tardato mezz’ora, ma è già successo altre volte e lei mi ha sempre aspettato sotto l’ufficio tranquillamente. Tanto sapeva perfettamente dov’ero».
Poi, notando Enrico armeggiare con i comandi del climatizzatore, gli dice: «Mi fermo un attimo se vuoi che cambi le impostazioni della temperatura».
«No, lascia perdere, è solo una reazione nervosa. In realtà sto benissimo, non ho né caldo né freddo, sono solo in pensiero per la mamma».
Dopo un attimo di silenzio, prosegue: «Stava bene, ti sembrava stanca? Oppure ti ha detto che avrebbe visto qualcuno?»
Il viso di Mario si contrae, poi risponde: «No, niente di tutto questo». Mario scuote la testa, Enrico l’appoggia al finestrino. Il vetro freddo sembra pungergli la fronte con l’intensità di decine di aghi ghiacciati.
Di colpo si volta verso il padre per dirgli: «Andiamo alla polizia. Le deve essere successo qualcosa di grave».
Mario si volta verso il figlio e lo fissa per un attimo negli occhi mentre i suoi si riempiono di lacrime. Stringendo con forza il volante, accosta per fare inversione di marcia. Poi, a velocità sostenuta, partono alla volta della centrale. Un’aria calda e un po’ viziata li accoglie al loro ingresso in questura. La tranquillità dell’esterno lascia il posto a un sommesso vociare. Alcune persone passeggiano nell’attesa, altre sono sedute con lo sguardo fisso davanti a sé, altre ancora continuano imperterrite un litigio cominciato chissà dove e chissà quando. In mezzo a quella folla, Mario e il figlio scorgono un agente e subito gli si avvicinano.
«Mi scusi, devo denunciare la scomparsa di mia moglie…»
Il poliziotto non gli lascia finire: «Faccia la cortesia, si accomodi laggiù. La chiamiamo noi quando il collega di turno sarà libero».
Disarmati dal suo tono imperativo e troppo stanchi per replicare, i due obbediscono passivamente. Un senso di smarrimento li avvolge e per scacciarlo si abbracciano forte. Forse per non sentirsi soli e comunque per cercare di darsi una forza che nessuno dei due possiede. Restano così, in silenzio, per alcuni minuti, poi Mario si allontana, prende il cellulare e riprova a chiamare la moglie.
Ancora staccato.
Finalmente li raggiunge un poliziotto: «Buona sera, sono l’ispettore Bertoli. Prego, seguitemi».
L’uomo li conduce all’interno di alcuni corridoi fino a un’angusta stanza strapiena di documenti sparsi ovunque. “Speriamo che non siano tutti casi irrisolti”, pensa Enrico, guardandosi intorno con la disapprovazione che gli proviene dalla precisione che lo contraddistingue.
«Sedetevi qui e ditemi di che cosa si tratta», dice l’ispettore, indicando loro due vecchie sedie di legno un po’ scrostate.
Mario, incurante di tutto ciò che lo circonda, inizia immediatamente a raccontare: «Oggi pomeriggio mia moglie mi ha accompagnato a un appuntamento di lavoro».
Il poliziotto lo interrompe subito: «È la prima volta che succede?»
«No, capita spesso che lei mi accompagni. Mentre io sono dal mio cliente lei va a farsi un giro. Di solito ci diamo appuntamento dopo un’ora o due, oppure la chiamo io appena ho finito. Oggi le avevo detto che ne avrei avuto al massimo per un’ora, quindi ci siamo lasciati alle dieci dandoci appuntamento per le undici, davanti al palazzo dove ha l’ufficio il mio cliente. Purtroppo ho tardato di quasi mezz’ora, ma è già successo altre volte e comunque l’ho sempre trovata lì ad aspettarmi».
«Lei che lavoro fa? Qualcuno potrebbe…» stavolta tocca al poliziotto venire interrotto.
«Sono avvocato. Vuole sapere se posso avere dei nemici? Le posso rispondere tranquillamente di no, almeno che io sappia. Nemmeno mia moglie. Lei non lavora, si occupa dei figli. Ha delle amiche che le vogliono bene. Nessuno che possa volerle fare del male».
«Riprendiamo il racconto dei fatti. Finito il suo appuntamento che cosa è successo?»
«Sono sceso in strada, sicuro di trovarla già là ad aspettarmi, visto che di solito arriva in anticipo agli appuntamenti. Ma non c’era».
«Allora che ha fatto?» Mario si agita sulla sedia. Tutte queste interruzioni lo stanno innervosendo. Il poliziotto, inoltre, continua a scarabocchiare disegni su un foglio, inducendolo a credere di non essere preso sul serio.
«L’ho cercata invano nei dintorni e ho provato a chiamarla sul cellulare, ma non era rintracciabile. Poi ho chiamato a casa, ma nessuno ha risposto. Allora ho aspettato davanti all’ufficio del mio cliente per più di un’ora, senza risultato. Non so proprio dire che cosa possa esserle successo».
Mario guarda il poliziotto e poi il figlio. L’ispettore solleva lo sguardo e lo fissa negli occhi di Mario. «Devo chiederle se andavate d’accordo, se avevate litigato, se la signora era malata, se aveva una amicizia particolare».
«No, niente di tutto questo. Io e mia moglie, grazie a Dio, siamo sempre stati sereni e in salute. Quanto al resto… Emma non è il tipo».
Il poliziotto, alzandosi dalla sedia, si accomiata: «Ok, vi mando il mio collega. Dovrete dargli tutti i dati della persona scomparsa, insieme a una sua descrizione. Avete una fotografia?»
«Non qui, ma ve la invio subito per e-mail».
Enrico, che fino a quel momento era rimasto in silenzio, interviene: «Papà, ne ho una io sul cellulare. Posso inviargliela subito, ispettore, se mi dà il suo indirizzo mail».