Apparve chiaro, prima di tutto, che quella donna nuova sapeva e comprendeva moltissime cose: tante, che c’era da domandarsi, con profonda meraviglia, come avesse potuto acquistare tali nozioni e formarsi delle idee così precise (forse attingendole alla sua biblioteca di fanciulla?) Ben più, capiva moltissimo perfino in cose di diritto e aveva una conoscenza positiva, se non del mondo, almeno di come vanno certi affari in questo mondo. In secondo luogo, il suo carattere non era assolutamente più quello di prima, timido cioè, indefinito come nelle educande, a volte incantevole per la sua originale vivacità e ingenuità, a volte malinconico e pensoso, facile alla meraviglia e alla diffidenza, alle lacrime ed alla inquietudine. No: ora, davanti a lui rideva forte e lo pungeva coi più velenosi sarcasmi una creatura strana e insospettata, che gli dichiarava apertamente di non aver mai nutrito per lui, nel suo cuore, altro che il disprezzo più profondo, un disprezzo che giungeva alla nausea e che era succeduto allo stupore del primo momento. Questa donna nuova dichiarava che, se egli avesse sposato anche subito chi più gli piaceva, la cosa le sarebbe stata indifferente in modo assoluto, ma che lei era venuta per impedirgli quel matrimonio, e questo per cattiveria, unicamente perché così voleva, e che quindi così doveva essere, “non fosse che per farmi beffe di te a mio piacimento, perché adesso anch’io, finalmente, voglio ridere”.
Così almeno si esprimeva, e forse non disse neppure tutto ciò che aveva nell’animo. Ma mentre la nuova Nastas’ja Filippovna rideva forte ed esponeva tutto questo, Afanasij Ivànovic rifletteva sulla faccenda e cercava di metter ordine nei suoi pensieri alquanto scompigliati. Questa meditazione durò non poco tempo: egli ci mise quasi due settimane ad approfondire la cosa e risolversi definitivamente; ma dopo due settimane la sua decisione era presa. Il fatto era che Afanasij Ivànovic aveva a quel tempo circa cinquant’anni ed era persona in sommo grado seria e posata. Da un pezzo la sua posizione nel mondo e nella società si era stabilita sulle più solide fondamenta. Egli amava e apprezzava se stesso, la sua pace ed i suoi comodi più di tutto al mondo, come si conveniva ad un uomo sommamente per bene. Non poteva ammettere il minimo turbamento, la minima oscillazione in uno stato di cose che si era formato durante una vita intera e che aveva assunto un sì armonioso aspetto. D’altra parte, l’esperienza e una profonda perspicacia suggerirono ben presto e con rara esattezza a Tockij che ora aveva da fare con un essere interamente fuor del comune, e cioè che quella era una creatura capace non solo di minacciare, ma anche di agire e, soprattutto, di non arrestarsi davanti a nulla, tanto più che nulla di caro aveva al mondo ed era perciò impossibile anche influire su lei con lusinghe. Lì evidentemente c’era dell’altro, s’indovinava come una confusione dell’anima e del cuore - una specie di romantico sdegno, Dio sa contro chi e perché, un sentimento insaziabile di disprezzo che aveva passato ogni misura -, insomma una cosa sommamente ridicola e inammissibile nella buona società e tale da costituire per ogni uomo per bene un vero castigo di Dio. Si capisce che, con la ricchezza e le relazioni di Tockij, si poteva subito fare qualche piccola e innocentissima bricconata per liberarsi della seccatura. D’altro lato, era evidente che Nastas’ja Filippovna si trovava quasi nella impossibilità di recare un qualsiasi danno, valendosi, per esempio, di mezzi legali; anche uno scandalo un po’ grosso non l’avrebbe potuto fare, perché sarebbe sempre stato assai facile ostacolarla. Ma tutto questo nel solo caso che Nastas’ja Filippovna si fosse decisa ad agire, come generalmente si agisce in simili così, senza uscire dai limiti in modo troppo stravagante. Proprio qui giovò a Tockij la sua esattezza di giudizio: egli seppe indovinare che la stessa Nastas’ja Filippovna capiva benissimo quanto fosse legalmente innocua, ma che c’era ben altro nella mente e... negli occhi scintillanti di lei. Nulla avendo di caro, e meno di tutto se medesima (occorreva molta intelligenza e sagacia per intuire in quel momento che già da tempo ella aveva cessato di aver cara se stessa e per convincersi, lui, uomo di mondo scettico e cinico, della serietà di quel sentimento), Nastas’ja Filippovna era capace di rovinarsi senza scampo e assurdamente, andando a finire in Siberia e in galera, pur di fare un affronto a un uomo per il quale provava un così inumano disgusto. Afanasij Ivànovic non aveva mai nascosto di essere alquanto pusillanime o, per meglio dire, conservatore in sommo grado. Se avesse saputo, per esempio, che lo avrebbero ucciso davanti all’altare o che gli sarebbe accaduto qualcos’altro del genere, una cosa oltremodo sconveniente, ridicola e non ammessa nella buona società, si sarebbe certo spaventato, ma non tanto del pericolo di venire ucciso o ferito a sangue, o sputacchiato in viso pubblicamente, ecc. ecc., quanto delle circostanze insolite e sconvenienti in cui il fatto sarebbe successo. E Nastas’ja Filippovna questo appunto gli faceva presagire, sebbene tacesse ancora in proposito; gli era noto che ella lo aveva studiato e lo conosceva a fondo, e perciò sapeva anche come colpirlo. E poiché quel matrimonio in realtà era ancora una semplice intenzione, Afanasij Ivànovic si rassegnò e cedette a Nastas’ja Filippovna.
A questa decisione contribuì anche un’altra circostanza: era difficile immaginarsi fino a qual punto la nuova Nastas’ja Filippovna fosse diversa, nel viso, da quella di un tempo. Una volta non era che una graziosissima bambina, adesso invece... Tockij per lungo tempo non poté perdonarsi di averla guardata per quattro anni senza vederla. Veramente, ha grande importanza anche il momento in cui avviene, da tutt’e due le parti, un’intima e improvvisa metamorfosi. Egli si ricordava però che già prima gli venivano, a tratti, degli strani pensieri, quando guardava, per esempio, quegli occhi: come se vi si presentisse una profonda e misteriosa tenebra. Quello sguardo vi fissava come se proponesse un enigma. Negli ultimi due anni lo aveva spesso meravigliato il cambiamento di carnagione di Nastas’ja Filippovna; ella stava diventando pallidissima e, cosa strana, questo pallore la rendeva anche più bella. Tockij che, come tutti i gentlemen che in vita loro se la sono spassata, aveva sul principio considerato con disprezzo la facilità con cui gli si era data quell’anima inesperta, negli ultimi tempi era venuto a concepire qualche dubbio circa la sua opinione. A ogni modo, fin dalla primavera precedente aveva divisato di maritare quanto prima assai bene e riccamente Nastas’ja Filippovna con qualche signore assennato e ammodo che fosse impiegato in un’altra provincia. (Oh, con quale sarcasmo ne rideva ora Nastas’ja Filippovna!) Adesso però, sedotto dalla novità, Afanasij Ivànovic pensò perfino che avrebbe potuto giovarsi ancora di quella donna. Decise di tenere Nastas’ja Filippovna a Pietroburgo e di circondarla di ogni lusso. Se non una cosa, almeno l’altra: di Nastas’ja Filippovna, in un certo gruppo di persone, poteva farsi bello e anzi gloriarsi. E Afanasij Ivànovic aveva assai cara la sua fama in materia.
Quella vita a Pietroburgo durava già da cinque anni e, si capisce, nel frattempo molte cose si erano precisate. La posizione di Afanasij Ivànovic non era consolante; il peggio di tutto era che egli, avendo avuto paura una volta, non aveva più potuto in nessun modo ritrovare la sua tranquillità. Temeva, e non sapeva egli stesso di che: temeva semplicemente Nastas’ja Filippovna. Per un certo tempo, nei primi due anni, aveva sospettato che Nastas’ja Filippovna desiderasse di diventare sua moglie, ma tacesse per una straordinaria vanità, ostinatamente aspettando la proposta di lui. Sarebbe stata una strana pretesa, ma Afanasij Ivànovic si era fatto sospettoso: aggrottava le sopracciglia e si sprofondava in meditazioni. Con sua grande e alquanto spiacevole sorpresa (così è fatto il cuore dell’uomo!), si convinse improvvisamente, per un caso, che, se pur avesse fatto la proposta, avrebbe avuto una ripulsa. Per lungo tempo non poté capire. Gli sembrò possibile una sola spiegazione; che l’orgoglio di una donna “offesa e fantastica” arrivasse a tal punto di frenesia da farle preferire la soddisfazione di uno sprezzante rifiuto a quella di regolare per sempre il suo stato elevandosi a un’altezza inaccessibile. Il peggio era questo, che Nastas’ja Fìlippovna aveva risolutamente preso il sopravvento. Non cedeva nemmeno alla lusinga dell’interesse, fosse pure cospicuo, e, sebbene avesse accettato gli agi a lei offerti, viveva molto modestamente e in quei cinque anni non aveva messo da parte quasi nulla. Afanasij Ivànovic` si arrischiò a usare un mezzo molto scaltro per spezzare le sue catene: con arte inavvertita e sottile incominciò, abilmente coadiuvato, a tentarla con varie lusinghe delle più ideali; ma di quegli ideali fatti persona, principi, ussari, segretari d’ambasciata, poeti, romanzieri, e perfino socialisti, nessuno fece la minima impressione a Nastas’ja Filippovna, come se al posto del cuore ella avesse un macigno e i suoi sensi fossero inariditi e morti una volta per sempre. Faceva vita piuttosto appartata, leggeva, studiava anche, amava la musica. Di conoscenze ne aveva poche; era in rapporti solo con certe povere e ridicole mogli d’impiegati, conosceva un paio di attrici, alcune vecchie; voleva un gran bene alla numerosa famiglia di un rispettabile insegnante, e in quella famiglia volevan molto bene anche a lei e la ricevevano con piacere. Abbastanza spesso, la sera, si riunivano da lei cinque o sei conoscenti, non più. Tockij si faceva vedere con molta frequenza e puntualità. Negli ultimi tempi, non senza fatica, aveva potuto avvicinare Nastas’ja Filippovna il generale Epancin. Nello stesso tempo, con tutta facilità e senza sforzo alcuno, aveva fatto la sua conoscenza anche un giovane impiegato, di nome Ferdysenko, un indecoroso, volgare buffone che aveva delle pretese di giovialità, e beveva. Un altro conoscente era uno strano giovane chiamato Pticyn, modesto, preciso e lindo, venuto su dalla miseria e diventato usuraio. Infine l’aveva conosciuta anche Gavrila Ardaliònovic... Andò a finire che Nastas’ja Filippovna si creò una fama bizzarra: della sua bellezza tutti sapevano, ma nient’altro; nessuno poteva vantarsi di nulla, nessuno poteva raccontar nulla. Una tale reputazione, la sua cultura, le sue maniere eleganti, il suo spirito, tutto confermò definitivamente Afanasij Ivànovic in un certo suo disegno. E proprio a partire da questo momento cominciò a prendere una parte attiva ed eccezionalmente importante nella vicenda anche il generale Epancin.
Quando Tockij tanto affabilmente s’era rivolto a lui per un amichevole consiglio a proposito di una delle tre figliole, gli aveva fatto subito, nel modo più onesto, anche una completa e sincera confessione. Gli aveva confidato che era ormai deciso a non arrestarsi davanti a mezzo alcuno per riacquistare la propria libertà; che non si sarebbe rassicurato nemmeno se la stessa Nastas’ja Filippovna gli avesse dichiarato di lasciarlo del tutto in pace per l’avvenire; che non gli bastavano le parole, ma gli occorrevano le più ampie garanzie. Si erano accordati e avevano deciso di agire insieme. Dapprima fu stabilito di tentare i mezzi più blandi e di toccare, per dir così, solo “le corde più nobili del cuore”. Si recarono tutt’e due da Nastas’ja Filippovna, e Tockij incominciò con tutta franchezza a dirle l’insopportabile orrore della propria posizione; si accusò di ogni cosa; disse sinceramente che non si poteva pentire della sua condotta iniziale verso di lei, perché era un sensuale impenitente e non padrone di sé, ma che ora si voleva ammogliare e che la sorte di quel matrimonio sommamente mondano e per bene era per intero nelle mani di lei; insomma che egli si aspettava tutto dalla nobiltà del suo cuore: Poi prese a parlare il generale Epancin, nella sua qualità di padre, e parlò assennatamente, evitò le frasi commoventi, accennò solo che le riconosceva pienamente il diritto di decidere il destino di Afanasij Ivànovic, e fece un abile sfoggio di umiltà, facendo presente che la sorte della sua figliuola, e forse anche delle altre due figlie, dipendeva ora dalla decisione di lei. Alla domanda di Nastas’ja Filippovna su. che cosa precisamente volessero da lei, Tockij, con la totale franchezza di poco prima, le confessò di essersi tanto spaventato cinque anni addietro che non si sarebbe potuto rassicurare del tutto neanche adesso, fino a quando anche lei, Nastas’ja Filippovna, non si fosse sposata. Soggiunse che, certo, questa preghiera sarebbe stata assurda da parte sua, se egli non avesse avuto qualche fondamento per farla. Aveva notato assai bene e poi saputo in modo sicuro che un giovane di ottimo casato, appartenente alla più degna delle famiglie, e cioè Gavrila Ardaliònovic Ivolgin, che ella conosceva e riceveva in casa sua, già da tempo l’amava con tutta la forza della passione e certamente avrebbe dato metà della propria vita per la sola speranza di conquistare la sua simpatia. Queste confidenze Gavrila Ardaliònovic stesso le aveva fatte a lui, Afanasij Ivànovic, e ormai da un pezzo, in tutta amicizia e con la sincerità del suo cuore giovanile, e da un pezzo n’era informato anche Ivàn Fèdorovic, benefattore del giovane. Infine, se egli, Afanasij Ivànovic, non s’ingannava, l’amore del giovanotto era noto da tempo alla stessa Nastas’ja Filippovna, e gli era parso anzi che ella considerasse quell’amore con indulgenza. Certo, a lui, Tockij, più che a qualunque altro era difficile parlar della cosa. Ma se Nastas’ja Filippovna avesse voluto ammettere in lui, oltre all’egoismo e al desiderio di assicurare la propria sorte, non fosse che un po’ di desiderio del bene di lei, avrebbe capito che da tempo gli riusciva strano, anzi penoso, vedere il suo isolamento: che esso altro non era se non una tenebra indistinte, una piena sfiducia nel rinnovellarsi della vita, la quale avrebbe potuto magnificamente risorgere nell’amore e nella famiglia e acquistare in tal modo una meta nuova; che esso era la rovina di attitudini forse brillanti, un volontario compiacersi del proprio tedio, insomma una specie di romanticismo, non degno né della sana intelligenza né del nobile cuore di Nastas’ja Filippovna. Dopo avere ancora una volta ripetuto che a lui più che ad altri era difficile parlare, concluse dicendo di non poter rinunciare alla speranza che Nastas’ja Filippovna non gli avrebbe opposto il suo disprezzo, se egli avesse manifestato il proprio sincero desiderio di assicurare l’avvenire di lei e di offrirle la somma di settantacinquemila rubli. Soggiunse, a chiarimento, che questa somma, tanto, era già a lei destinata nel suo testamento; in una parola, che quella non era affatto una ricompensa... e infine, perché mai ella non avrebbe ammesso e scusato il suo desiderio perfettamente umano di alleviare la propria coscienza? ecc. ecc.: insomma tutto quello che si dice in simili così su questo argomento. Afanasij Ivànovic parlò a lungo e con eloquenza, aggiungendo, per così dire, di passata la notizia assai curiosa che di quei settantacinquemila rubli aveva fatto parola ora per la prima volta e che non ne sapeva nulla lo stesso Ivàn Fedorovic lì presente: insomma non lo sapeva nessuno.