La risposta di Nastas’ja Filippovna fece stupire i due amici.
Non soltanto non vi si poteva notare il minimo segno dell’ironia, della ostilità e dell’odio di un tempo, di quelle antiche risate il cui solo ricordo faceva passare un brivido per la schiena di Tockij, ma, al contrario, ella pareva lieta di potere alla fine discorrere con qualcuno a cuore aperto e amichevolmente. Confessò che lei stessa aveva da un pezzo il desiderio di chiedere un consiglio amichevole, che solo l’orgoglio gliel’aveva impedito, ma che ora, poiché il ghiaccio era rotto, non ci poteva esser nulla di meglio. Prima con un triste sorriso, poi mettendosi a ridere con vivace gaiezza, confessò che in ogni caso la burrasca di una volta non era più possibile; che da tempo ella aveva in parte mutato il suo modo di vedere la realtà e che, sebbene il suo cuore non fosse cambiato, pure, in considerazione dei fatti avvenuti, era stata costretta ad ammettere moltissime cose; quel che è fatto è fatto, disse, quel che è passato è passato, sicché le riusciva perfino strano che Afanasij Ivànovic continuasse ad aver tanta paura. Qui si volse a Ivàn Fedorovic e, con l’espressione del più profondo rispetto, dichiarò che già da tempo aveva udito parlar molto delle sue figlie e aveva concepito per esse una stima profonda e sincera. Il solo pensiero di poter loro esser utile in qualche modo sarebbe stato per lei, così le pareva, motivo di felicità e di orgoglio. È vero che ora si sentiva triste e annoiata, molto annoiata; Afanasij Ivànovic aveva indovinato i suoi sogni: ella avrebbe desiderato di rivivere, se non nell’amore, almeno nella famiglia, con la consapevolezza di una nuova meta; ma di Gavrila Ardaliònovic non poteva dire quasi nulla. Sembrava veramente che egli l’amasse, ed ella sentiva che l’avrebbe forse amato a sua volta, se avesse potuto credere alla serietà dell’affezione di lui; ma egli, dato pure che fosse sincero, era molto giovane; perciò una decisione non era facile. A lei, del resto, piaceva soprattutto sapere che lavorava, si dava da fare e da solo manteneva tutta la famiglia. Aveva sentito dire che era un uomo energico, orgoglioso, che voleva far carriera, aprirsi una strada. Aveva anche inteso che Nina Aleksàndrovna Ivolgina, la madre di Gavrila Ardaliònovic, era una donna eccellente e sommamente rispettabile; che sua sorella, Varvara Ardaliònovna, era una ragazza assai notevole ed energica; ne aveva udito parlar molto da Pticyn. Aveva sentito che esse sopportavano coraggiosamente le loro disgrazie; avrebbe avuto un gran desiderio di farne la conoscenza, ma era dubbio se l’avrebbero accolta cordialmente nella loro famiglia. In genere non aveva nulla da dire contro la possibilità di quel matrimonio, ma bisognava ancora pensarci bene; desiderava che non le si facesse premura. Quanto poi ai settantacinquemila rubli, aveva fatto male Afanasij Ivànovic ad esitare a parlarne. Capiva anche lei il valore del denaro e, certo, li avrebbe accettati. Ringraziava Afanasij Ivànovic della sua delicatezza, per non aver parlato della cosa, non che con Gavrila Ardaliònovic, nemmeno col generale; ma perché anche quegli non doveva esserne informato in precedenza? Entrando nella loro famiglia, lei non aveva dì che vergognarsi di quel denaro. In tutti i così, non aveva l’intenzione di chieder perdono di nulla a nessuno e desiderava che lo si sapesse. Non avrebbe sposato Gavrila Ardaliònovic fino a quando non si fosse persuasa che né lui né la sua famiglia avevano alcun pensiero recondito sul suo conto. A ogni modo, lei non si considerava colpevole in nulla, e sapesse pure Gavrila Ardaliònovic in quali condizioni ella aveva vissuto quei cinque anni a Pietroburgo, in quali rapporti era stata con Afanasij Ivànovic, e se aveva o no messo da parte una fortuna. Finalmente, se ora accettava quella somma, non era già come prezzo del suo disonore di fanciulla, del quale non aveva colpa, ma solo come risarcimento del suo destino rovinato.
Ella tanto si accalorò e si eccitò esponendo tutto questo (cosa però ben naturale), che il generale Epancin, assai soddisfatto, considerò l’affare come concluso; ma Tockij, che già si era spaventato una volta, nemmeno allora non poté crederci del tutto, e per lungo tempo temette che anche lì ci fossero delle serpi nascoste tra i fiori. Le trattative però s’erano iniziate; il punto su cui si fondava la manovra dei due amici, e cioè la possibilità che Nastas’ja Filippovna si innamorasse di g***a, andò poco per volta chiarendosi e pigliando consistenza, tanto che perfino Tockij cominciava in qualche momento a credere possibile la riuscita. Intanto Nastas’ja Filippovna ebbe una spiegazione con g***a: di parole ne furono dette ben poche, come se la purezza di lei ci soffrisse. Ella ammetteva bensì l’amore di lui e gli consentiva di amarla, ma dichiarò insistentemente che non si voleva vincolare in nessuna maniera; che fino alle nozze (se alle nozze si doveva giungere) si riservava il diritto di dire di no, fosse pure all’ultima ora; lo stesso identico diritto riconosceva anche a g***a. Poco dopo g***a seppe in modo sicuro, grazie a un caso compiacente, che l’avversione di tutta la sua famiglia a quel matrimonio, e a Nastas’ja Filippovna personalmente, avversione che si manifestava in scenate domestiche, era già nota, con ogni particolare, alla stessa Nastas’ja Filippovna; lei però non ne discorreva con lui, sebbene egli se l’aspettasse da un giorno all’altro. Si potrebbero del resto riferire molte altre storie e circostanze venute in luce a proposito di queste trattative di matrimonio, ma noi già abbiamo anticipato, tanto più che talune di quelle circostanze si riducevano. a semplici voci. ancora assai vaghe. Per esempio, Tockij avrebbe saputo, chi sa di dove, che Nastas’ja Filippovna era entrata in certi segreti e non precisati rapporti con le signorine Epancin: voce assolutamente inverosimile. Ma ad un’altra voce egli, senza volerlo, prestava fede e ne aveva paura, fino all’incubo: aveva udito assicurare che Nastas’ja Filippovna sapeva benissimo come g***a si ammogliasse solo per interesse, come g***a avesse un’anima nera, avida, insofferente, invidiosa e piena di un immenso e sproporzionato amor proprio; che g***a, sebbene in realtà avesse prima aspirato appassionatamente alla conquista di Nastas’ja Filippovna, si era però messo a odiarla, come se fosse il suo incubo, quando i due amici avevano deciso di sfruttare a loro vantaggio quella passione che cominciava da tutt’e due le parti e di comprare lui, g***a, col vendergli Nastas’ja Filippovna in qualità di legittima moglie. Nell’anima sua la passione e l’odio, a quanto si diceva, si erano come stranamente associati e, pur avendo infine acconsentito, dopo tormentose incertezze, a sposare “quella donnaccia”, egli aveva giurato in cuor suo di vendicarsene crudelmente e di “domarla” a suo tempo, come egli stesso si sarebbe espresso. Tutto questo, Nastas’ja Filippovna pareva che lo sapesse e che preparasse qualche cosa in segreto. Tockij si era già impaurito a tal segno, che aveva smesso di parlare delle sue inquietudini anche a Epancin, ma c’erano dei momenti in cui, da uomo debole qual era, tornava a rinfrancarsi tutto e a risollevarsi rapidamente: si rinfrancò in modo straordinario, per esempio, quando Nastas’ja Filippovna, alla fine, promise ai due amici che la sera del suo giorno natalizio avrebbe detto l’ultima parola. Intanto la più strana e inverosimile delle voci, riguardante lo stimatissimo Ivàn Fédorovic in persona, si dimostrava, ahimè!, sempre più vera.
A prima vista la cosa pareva un autentico assurdo. Si stentava a credere che Ivàn Fedorovic, nella sua onorata vecchiaia, col suo ottimo ingegno, con la sua sicura conoscenza della vita, ecc. ecc., sì fosse anch’egli invaghito di Nastas’ja Filippovna, e in tal modo, si diceva, e fino al punto che quel capriccio aveva quasi l’aria di una passione. In che cosa egli sperasse, in questo caso, è difficile immaginarselo: forse anche nella complicità dello stesso g***a. Tockij almeno sospettava qualche cosa di simile, sospettava l’esistenza come di un tacito accordo tra il generale e g***a, fondato sulla reciproca penetrazione. Si sa, del resto, che un uomo trascinato troppo innanzi dalla passione, specialmente se in là con gli anni, diventa del tutto cieco ed è pronto a vedere delle ragioni di speranza dove non ce n’è alcuna; ben più, perde il senno e agisce, avesse pure una fronte alta tre spanne, come uno sciocco ragazzino. Si sapeva che il generale si era preparato, per il giorno natalizio di Nastas’ja Filippovna, ad offrirle in regalo per conto suo delle perle meravigliose che costavano una somma enorme e, pur non ignorando che Nastas’ja Filippovna era una donna disinteressata, non faceva che pensare a questo regalo. Il giorno prima del natalizio era come febbricitante, benché lo nascondesse abilmente. Proprio di queste perle aveva avuto sentore anche la generalessa Epancinà. È vero che Elizaveta Prokòf’evna già da un pezzo aveva cominciato ad accorgersi della leggerezza di suo marito e ci si era perfino abituata un poco, ma non era possibile lasciar passate un fatto simile: quella voce relativa alle perle la interessava straordinariamente. Il generale lo scoperse in tempo; fin dal giorno avanti erano state pronunciate certe mezze parole: egli presentiva una spiegazione a fondo e la temeva. Ecco perché, quella mattina da cui abbiamo cominciato il nostro racconto, non aveva la minima voglia di andare a far colazione in seno alla famiglia. Ancora prima dell’arrivo del principe aveva deciso di sfuggire alle spiegazioni col pretesto degli affari. Sfuggirvi, per il generale, significava, a volte, puramente e semplicemente fuggire. Voleva ottenere almeno che quel solo giorno, e soprattutto quella sera, fosse senza noie. Ed ecco che il principe era capitato così a proposito! “Come se Dio me l’avesse mandato!”, pensò il generale, nell’entrare da sua moglie.