V
La generalessa era gelosa della propria origine. Figurarsi come rimase, udendo bruscamente e senza esservi preparata che quel principe Myskin, ultimo della schiatta, del quale già aveva inteso parlare, non era che un povero idiota, e quasi un mendicante che accettava l’elemosina! Il generale cercava appunto di far colpo, per destare la curiosità di lei e dare alle cose un’altra piega, evitando, nella confusione, ogni domanda circa le perle.
Nei così estremi la generalessa soleva sgranare gli occhi, rigettando il busto un po’ indietro e guardando vagamente davanti a sé, senza dire una parola. Era una donna alta, magra, della stessa età del marito, coi capelli scuri assai brizzolati, ma ancora folti, con un naso un po’ arcuato, guance gialle infossate, labbra sottili e rientranti. La sua fronte era alta, ma stretta; gli occhi grigi, piuttosto grandi, assumevano a volte l’espressione più inaspettata. Un tempo, aveva avuto la debolezza di credere che il suo sguardo riuscisse d’un effetto straordinario, e questa sua persuasione non si era più cancellata.
- Riceverlo? Voi dite di riceverlo adesso, subito? - e la generalessa sgranò gli occhi quanto più poté addosso a Ivàn Fédorovíc che si agitava davanti a lei.
- Oh, in quanto a questo, non c’è da far cerimonie, purché a te, amica mia, non dispiaccia vederlo, - si affrettò a spiegare il generale. - È un vero bambino, anzi fa molta pietà; va soggetto agli accessi di un certo male; ora viene dalla Svizzera, è sceso dal treno poco fa; è vestito in modo strano, si direbbe alla tedesca, e per giunta non ha una copeca, letteralmente, poco manca che non si metta a piangere. Io gli ho regalato venticinque rubli e gli voglio trovare un posticino di scrivano nella nostra amministrazione. E voi, mesdames, vi prego di trattarlo bene, perché, a quanto pare, è anche affamato...
- Voi mi fate stupire, - seguitò col tono di prima la generalessa, - è affamato e ha degli accessi! Che accessi?
- Oh, non sono molto frequenti, e poi è quasi come un bambino, è istruito però. Volevo pregarvi, mesdames, - disse rivolgendosi di nuovo alle figlie, - di esaminarlo, sarebbe pur sempre bene sapere di che è capace.
- E-sa-minar-lo? - disse strascicando la generalessa, e col più profondo stupore tornò a girare gli occhi dalle figlie al marito e viceversa.
- Ah, amica mia, non dare questo significato... del resto, come ti pare; io mi son proposto di trattarlo bene e di accoglierlo qui da noi, perché sarebbe quasi una buona azione.
- Accoglierlo qui da noi? E viene dalla Svizzera?!
- La Svizzera non vuoi dir nulla, e del resto, ripeto, fa’ come vuoi. Dicevo così perché, in primo luogo, ha il tuo stesso casato, e forse ti è anche parente, e secondariamente non sa dove posare il capo. Anzi avevo pensato che la cosa ti avrebbe interessata un poco, visto che, nonostante tutto, appartiene alla nostra parentela.
- Si capisce, maman, se lo si può trattare senza cerimonie; inoltre arriva dal viaggio e ha fame; perché non dargli da mangiare, se non sa dove rifugiarsi? - disse la maggiore, Aleksandra.
- E per giunta è un vero bambino, ci si può ancora giocare a mosca cieca.
- Giocare a mosca cieca? In che modo?
- Ah, maman, smettetela di far delle storie, vi prego, - interruppe Aglaja con dispetto.
La sorella di mezzo, Adelaida, allegra per natura, non poté resistere e scoppiò a ridere.
- Chiamatelo, papa, maman lo permette, - risolvette Aglaja. Il generale sonò e fece chiamare il principe.
- Ma a patto che gli si leghi un tovagliolo al collo, quando si metterà a tavola, - concluse la generalessa, - si chiami Fédor o Mavra... perché stia dietro a lui e lo sorvegli, mentre mangia. È almeno tranquillo nei suoi accessi? Non fa dei gesti?
- Tutt’altro, anzi è molto bene educato e ha ottimi modi. Un po’ troppo sempliciotto qualche volta... Ma eccolo in persona! Ecco, vi presento il principe Myskin, ultimo della stirpe, omonimo e forse anche parente nostro, accoglietelo, trattatelo bene. Ora andranno a far colazione, principe, fate dunque l’onore... E io, scusatemi, ho fatto tardi, scappo via...
- Si sa dove scappate, - disse con gravità la generalessa.
- Ho fretta, ho fretta, amica mia, ho fatto tardi! E dategli i vostri albi, medames, che ci scriva su qualche cosa, è un calligrafo come ce n’è pochi! Un vero talento; mi ha fatto là un certo svolazzo con caratteri antichi: a “L’igumeno Pafnutij” ha firmato di sua mano... Be’, arrivederci.
- Pafnutij? L’igumeno? Ma un momento, un momento, dove andate? e che Pafnutij? - gridò la generalessa stizzita e quasi sgomenta dietro al marito che scappava.
- Sì, Sì, amica mia, era un igumeno che c’era un tempo... ma io vado dal conte, mi aspetta da un pezzo, e quel ch’è più, era stato lui stesso a fissarmi l’ora... Principe, arrivederci!
Il generale si allontanò a passi rapidi.
- So io da che conte va! - disse bruscamente Lizaveta Prokòf’evna e, irritata, volse gli occhi al principe. - Come si chiamava? - prese a dire con aria scontenta e stizzita, cercando di ricordare, - ebbene? che cosa si diceva? Ah, si: che igumeno, dunque?
- Maman, - cominciò a dire Aleksandra, e Aglaja batté perfino il piede in terra.
- Non mi disturbate, Aleksandra Ivànovna, - le rispose la generalessa martellando le sillabe, - voglio sapere anch’io. Sedete qui, principe, ecco, su questa poltrona, di faccia a me; no, qui, al sole, alla luce, avvicinatevi, che vi possa vedere. Ebbene, che igumeno?
- L’igumeno Pafnutij, - rispose il principe attento e serio.
- Pafnutij? È interessante; ebbene, che cosa fece?
La generalessa interrogava con impazienza, in modo rapido e brusco, senza levar gli occhi dal principe, e mentre il principe rispondeva, annuiva col capo a ogni sua parola.
- L’igumeno Pafnutij, del secolo decimoquarto, - cominciò il principe, -reggeva un romitorio sul Volga, nell’odierna nostra provincia di Kostromà. Era famoso per la sua santa vita, si recò varie volte presso l’Orda, aiutò ad appianare le questioni dell’epoca, e sottoscrisse un certo documento; ora, io di quella firma potei veder copia. La scrittura mi piacque e la studiai. Quando il generale poco fa ha voluto vedere come scrivo, per destinarmi a un impiego, ho scritto alcune frasi con diversi caratteri, e fra l’altro: “L’igumeno Pafnutij ha firmato di sua mano” con la scrittura stessa dell’igumeno. Il generale se n’è compiaciuto molto, e così or ora se n’è ricordato.
- Aglaja, - disse la generalessa, - ricordati: Pafnutij, o, meglio, prendi nota, perché io dimentico sempre tutto. Credevo però che la cosa sarebbe stata più interessante. Ma dov’è quella firma?
- È rimasta, mi pare, nello studio del generale, sulla tavola.
- Si mandi subito a prenderla.
- Ma io piuttosto ve la scrivo un’altra volta, se così vi piace.
- Certo, maman, - disse Aleksandra, - ma adesso sarebbe meglio far colazione; noi vogliamo mangiare.
- E sia, - stabilì la generalessa. - Andiamo, principe; avete molto appetito?
- Si, ora ne ho molto, e vi sono gratissimo.
- È una gran bella cosa che siate una persona compita, e io noto che non siete affatto così... stravagante, come vi han voluto presentare. Andiamo. Sedete qui, ecco, di faccia a me, - disse, facendo sedere il principe, quando furono in sala da pranzo, - vi voglio vedere. Aleksandra, Adelaida, servite il principe. Non è vero che non è poi così... malato? Forse, anche del tovagliolo non c’è bisogno... A voi, principe, legavano il tovagliolo al collo, a tavola?
- Una volta, quando avevo forse sette anni, credo che me lo legassero, ma ora di solito, quando mangio, il tovagliolo me lo metto sulle ginocchia.
- E così va fatto. E gli accessi?
- Gli accessi? - chiese il principe meravigliandosi un poco. - Gli accessi mi vengono ora piuttosto di rado. Del resto, non so, dicono che il clima di qui mi sarà nocivo.
- Parla bene, - osservò la generalessa, volgendosi alle figlie e seguitando ad annuire col capo a ogni parola del principe, - anzi, non me l’aspettavo. Tutte sciocchezze, dunque, e bugie, come al solito. Mangiate, principe, e raccontate: di dove siete? dove siete stato educato? Voglio saper tutto; m’interessate oltremodo.
Il principe ringraziò e, mangiando con grande appetito, si mise a ripetere tutto ciò che già più volte quella mattina gli era toccato narrare. La generalessa era sempre più soddisfatta. Anche le ragazze ascoltavano abbastanza attentamente. Fecero il conto del grado di parentela; si vide che il principe conosceva assai bene il proprio albero genealogico, ma, per quanto cercassero, non si trovò quasi parentela alcuna tra lui e la generalessa. Forse se ne poteva scoprire una lontana tra i nonni e le nonne. Quest’arida materia piacque molto alla generalessa, che, pur avendone un gran desiderio, non riusciva quasi mai a parlare della sua genealogia, tanto che si alzò da tavola in uno stato d’animo piuttosto eccitato.
- Andiamo tutti nella nostra sala di riunione, - disse, - il caffè ce lo porteranno là. Abbiamo una stanza comune, - e si rivolse al principe conducendolo via, - semplicemente un mio salottino, dove ci riuniamo quando non ci son altri e ciascuna attende alle cose sue: Aleksandra, questa qui, la mia figlia maggiore, suona il pianoforte, o legge, o cuce; Adelaida dipinge paesaggi e ritratti (e non riesce mai a finirli), Aglaja invece se ne sta seduta e non fa niente. Anche a me il lavoro mi casca dalle mani: non concludo nulla. Be’, eccoci; sedete qui, principe, accanto al camino, e raccontate. Mi voglio fare una convinzione sicura, e quando mi troverò con la vecchia principessa Belokònskaja, le riferirò ogni cosa. Voglio che riusciate interessante anche a tutti loro. Su, parlate dunque.
- Maman, ma a questo modo come si può raccontare? - osservò Adelaida, che nel frattempo aveva aggiustato il suo cavalletto, preso pennelli e tavolozza, e si era messa a copiare da una stampa un paesaggio già cominciato da un pezzo. Aleksandra e Aglaja sedettero insieme sopra un piccolo divano e, incrociate le braccia, si prepararono ad ascoltare la conversazione.
Il principe notò che da tutte le parti lo si fissava con un’attenzione particolare.
- Io non racconterei niente, se me l’ordinassero così, - osservò Aglaja.
- Perché? Cosa c’è di strano? Perché non dovrebbe raccontare? La lingua ce l’ha. Io voglio sapere come sa parlare. Di qualunque cosa. Dite come vi è piaciuta la Svizzera, la vostra prima impressione. Ora vedrete che comincerà subito e magnificamente.
- Fu una forte impressione... - prese a dire il principe.
- Ecco qua, - interruppe, volgendosi alle figlie, l’impaziente Lizaveta Prokòf’evna, - vedete che ha cominciato.
- Ma almeno lasciatelo parlare, maman, - disse Aleksandra, fermandola. - Questo principe, - bisbigliò poi ad Aglaja, - è forse un gran furbacchione, e tutt’altro che idiota.
- È così di certo, l’ho visto da un pezzo, - rispose Aglaja. - Ed è brutto da parte sua recitar la commedia. Crede forse di guadagnarci?
- La prima impressione fu molto forte, - ripeté il principe. - Quando mi condussero via dalla Russia, e si passò per varie città tedesche, io guardavo intorno in silenzio e, mi ricordo, senza nemmeno far domande. Ciò era accaduto dopo una serie di violenti e dolorosi accessi del mio male, ed io, quando la malattia si aggravava e gli accessi si ripetevano più volte di fila, cadevo sempre in un completo torpore, perdevo del tutto la memoria, e la mia intelligenza lavorava bensì, ma il nesso logico del pensiero pareva che si spezzasse. Non potevo connettere più di due o tre idee di seguito. Così mi sembra. Quando poi gli accessi si calmavano, tornavo sano e forte come adesso. Mi ricordo che provavo una tristezza insopportabile, mi veniva perfino da piangere; ero sempre pieno di meraviglia e d’inquietudine: mi aveva fatto un effetto straordinario il sentire che là tutto mi era straniero; questo l’avevo capito. Il sentir ciò mi addolorava. Mi svegliai interamente da questo torpore, me ne rammento, una sera a Basilea, entrando in Svizzera, e mi destò il raglio di un asino sul mercato della città. Quell’asino mi fece grande impressione e, chi sa perché, mi piacque moltissimo, e nello stesso tempo la mia testa parve improvvisamente rischiararsi.
- Un asino? È strano, - osservò la generalessa. - Del resto, non c’è nulla di strano, da noi certune son capaci anche d’innamorarsi di un asino, - osservò ancora, dopo aver guardato con stizza le ragazze che ridevano. - Succedeva già nella mitologia. Continuate, principe.
- Da quel tempo voglio un gran bene agli asini. Anzi, essi sono, in certo qual modo, la mia passione. Cominciai a far delle domande in proposito, perché prima non ne avevo mai visti, e subito mi convinsi che quello è un animale utilissimo, lavoratore, forte, paziente, economico, tollerante; e, grazie a quell’asino, tutta la Svizzera mi piacque di colpo, tanto che la mia tristezza svanì d’incanto.