Capitolo 1

3001 Words
Capitolo Uno “Il Diavolo sta per trasformare il lavoro della mia vita in un porno!” Lancio alla mia gemella uno sguardo supplichevole. “Devi insegnarmi a scassinare le serrature.” Gia mi guarda sbattendo le palpebre. “Per le palle di Houdini, di che stai parlando?” “Scassinare le serrature. Insegnamelo!” Scuote la testa come per schiarirsi le idee, poi apre del tutto la porta. “Vieni dentro e spiegami.” “D’accordo.” Rispettando la germofobia di mia sorella, evito abbracci e baci, mentre entro con cautela nell’appartamento che lei condivide con un milione di coinquilini. Mi conduce verso la sua stanza e, mentre camminiamo, reprimo la tentazione di riordinare l’infinita confusione in giro. “Accomodati.” Mi indica una sedia nell’angolo, accanto a un manichino. Ma è matta? Quella sedia è a quattro gambe: il tipo peggiore. Preferisco le sedie da ufficio, perché di solito hanno cinque gambe, oppure gli sgabelli, perché tendono ad averne una o tre. A lei piacerebbe, se le chiedessi di leccare un palo della metropolitana? Un sorriso malizioso le increspa le labbra dal rossetto scuro. “Colpa mia. Non è un numero primo di gambe. A che cosa stavo pensando? Ti sarebbe potuto andare in pappa il cervello.” Nascondendo il mio roteare gli occhi, oltrepasso un mazzo di carte e altri oggetti da prestigiatore sparsi su tutte le superfici vicine, senza fermarmi, finché non arrivo accanto a un pouf senza gambe. “Ti dispiace?” Con un’alzata di spalle, Gia tira fuori dalla tasca un mazzo di carte e me lo porge con la punta delle dita. “Ti sentiresti più a tuo agio, se ti dessi questo mazzo da organizzare?” Sprofondando nel pouf, stringo gli occhi sul mazzo. “Cinquantadue?” Con un sospiro, lei getta una delle carte su una scrivania vicina (come se non ci fosse già abbastanza disordine!). “Cinquantuno, adesso.” “Cinquantuno non è un numero primo.” Lei scruta il mazzo. “Ah no?” “Tre per diciassette fa cinquantuno. Come hai fatto a passare la quarta elementare?” “Probabilmente, abbiamo fatto finta che tu fossi me, per superare a pieni voti il test di matematica.” Lascia cadere altre quattro carte sulla scrivania. “Va meglio il quarantasette?” “Grazie.” Prendo le carte con attenzione (Dio non voglia che tocchi Sua Maestà Igienica con i miei germi!). “Che cosa volevi che ti spiegassi, prima di insegnarmi a scassinare le serrature?” “Inizia con la parte sul lavoro della tua vita.” Si siede sull’abominevole sedia dal numero di gambe inappropriato. “Non mi ero resa conto che ne avessi uno. È quella roba degli animali virtuali che mi fai sempre vedere?” “Più o meno.” Comincio a ordinare le carte nel modo logico più ovvio: prima quelle con i numeri primi, poi le altre. “Non ho avuto l’occasione di dirtelo prima, ma sto lavorando con l’ala pediatrica dell’ospedale NYU Langone. Se dovessero sentire che ho a che fare con il porno…” “Frena. Lavori con loro in che modo?” “Sto testando il mio progetto di animali virtuali come un tipo di terapia per i bambini in lungodegenza.” Alzo lo sguardo dal mio smistamento delle carte e trovo un viso identico a quello che vedo riflesso allo specchio ogni giorno: di forma ovale, con zigomi alti, un naso importante e grandi occhi azzurri. Naturalmente, a differenza della mia sorella intrattenitrice, io ho i capelli della loro naturale tonalità di biondo fragola, mentre lei ha tinto i propri di un colore più nero di un buco nero. Inoltre, io non uso altrettanto make-up. Il suo trucco smokey eyes farebbe invidia a un procione, mentre il suo fondotinta è abbastanza pallido per una geisha vampira. “L’idea è quella di ridurre il dolore e l’ansia dei bambini” continuo, mentre lei annuisce con approvazione. “Non è male come lavoro della tua vita. Allora, che cosa c’entra il porno del diavolo?” Do un’occhiata al disordine tutt’intorno a me. “Ti dispiace?” Gia sospira. “Se serve a farti parlare più in fretta, fa’ pure.” Quando mi alzo e comincio a riordinare, mi calmo abbastanza, da articolare i miei pensieri. “Non ti ho detto nemmeno questo, ma la mia azienda ha avuto dei problemi finanziari, qualche tempo fa, e siamo stati acquisiti dal gruppo Morpheus.” Lei arriccia il naso. “Mai sentiti.” Raccolgo un cappello a cilindro, di quelli da cui potrebbe saltar fuori il coniglio di un prestigiatore (non che Gia rischierebbe mai di toccare una creatura felice di mangiare le proprie feci!). “Neanch’io, finché non ci hanno acquisito. Credo che il gruppo sia stato formato poco prima dell’acquisizione.” Metto il cappello accanto al cerchietto di Gia, etichettando mentalmente la zona come copricapi. “All’inizio, ci hanno chiesto le specifiche dei nostri visori e guanti per la realtà virtuale e sono spariti, lasciandoci a fare le nostre cose, come se nulla fosse cambiato. Ma abbiamo appena saputo che stanno progettando di integrare i visori e i guanti con una tuta speciale di loro creazione, che avrebbe lo scopo di far provare sensazioni a tutto il corpo all’interno della realtà virtuale.” Sembra incuriosita. “Provare sensazioni del tipo… sessuale?” “Così dicono le voci in ufficio.” Raccolgo quello che sembra un pollice finto e lo metto su una mensola accanto ai guanti, designando il posto come pertinente alle appendici. “Mmm.” Si gratta il mento. “Sesso in realtà virtuale. Niente germi. Nessun contatto. Nessuna complicazione. Posso avere una di quelle tute?” “Dovresti trovarti un uomo reale” le dico, ma me ne pento all’istante (l’ultima cosa che voglio è parlare come la mamma). Gia inarca le sopracciglia scure e imita l’accento britannico di cui ho dovuto sbarazzarmi, dopo aver studiato all’estero. “Come direbbero nella tua amata Inghilterra: questo è il bue che dice cornuto all’asino.” Ha ragione. Non sono esperta in fatto di uomini né di sesso (la mia unica relazione vera e propria è stata con un ragazzo che, poi, si è dichiarato gay). La mia espressione dev’essere cambiata, perché lei mi dice: “Scusa, Holly. Non volevo avventurarmi lì. Prima di accorgermene, entrerò in piena modalità Ottomamma e ti dirò quanto dovresti desiderare ‘un’unione sessuale’.” Rabbrividisco. Detesto il soprannome che Gia usa per nostra madre. Tralasciando il rispetto per gli anziani, è semplicemente inaccurato. La mamma ha dato alla luce noi due, seguite dalle nostre sorelle sestine. Un soprannome accurato sarebbe Bimamma (o forse Duomamma?) oppure Esamamma, anche se (garantito) nessuno di questi suona bene. Naturalmente, se devo essere onesta, il motivo principale per cui non mi piace il prefisso otto è che mi ricorda che siamo otto sorelle, anziché una quantità normale come sette, cinque o undici. “… hai bisogno di un po’ d’amore alla vecchia maniera” sta dicendo Gia, con la sua migliore imitazione della voce di contralto della mamma, quando torno a sintonizzarmi sul suo ciarlare. Sogghignando, faccio a mia volta l’imitazione della nostra imbarazzante genitrice. “Gli orgasmi alleviano lo stress, aiutano a combattere l’insonnia, placano il dolore, fanno vivere più a lungo, stimolano il cervello, fanno sembrare più giovani… Oh, e possono portare la pace nel mondo!” Si sarà accorta che ho elencato sette voci su questa lista? Gia rabbrividisce. “Non dimenticare quanto siano utili gli orgasmi, quando si cerca di far rimanere incinta una scrofa.” Bleah! Pur non essendo schizzinosa come Gia, anch’io sono rimasta traumatizzata dalle storie della mamma sulle sue decantate abilità di allevatrice. Una volta, ci ha raccontato di aver portato all’orgasmo Petunia (una maialina che era come un animale domestico per noi, da bambine) durante una sessione di inseminazione artificiale. Proprio così! Non è l’immagine a cui si vorrebbe pensare, quando si vede la pancetta. Rendendomi conto che siamo andate decisamente fuori tema, lancio a mia sorella uno sguardo eloquente. “Allora, puoi insegnarmi quello che mi serve o no?” Lei tamburella con le unghie smaltate di nero sulla coscia. “Non mi hai ancora spiegato la faccenda del diavolo.” Ah. Quello. Raccolgo un libro sul tema del barare a carte e lo infilo in uno spazio vuoto a caso nella sua libreria (se provassi a riordinare i volumi per anno di pubblicazione, si arrabbierebbe di nuovo e si rifiuterebbe di aiutarmi). “Secondo altre voci che circolano in ufficio” affermo, “i nuovi proprietari sono fratello e sorella. A quanto pare, il loro cognome è Chortsky.” “A quanto pare? Non si sono presentati?” Raccolgo una coppa lucida da prestigiatore e la metto accanto a una tazza da caffè vuota sulla scrivania. “No. Ho lavorato via email con un tizio di nome Robert Jellyheim. Comunque, quando ho cercato online persone di nome Chortsky, ho trovato un Vlad Chortsky che possiede una società di software e un Alex Chortsky che possiede un’azienda di videogiochi. Nessun accenno a una sorella, nessuna foto dei due uomini, nessuna presenza sui social media. L’unica cosa utile che ho imparato è che la parola chort (la radice del loro cognome) significa diavolo o demone in russo.” “Ah” commenta Gia. “Quindi, ‘il Diavolo’ è semplicemente il soprannome che usi per indicare chiunque sia il fantomatico proprietario del gruppo Morpheus. E questo cosa c’entra col fatto di scassinare le serrature? Vuoi fare un tentativo con la tua cintura di castità?” Il mio battito cardiaco accelera al pensiero di scassinare le serrature, perciò riordino più velocemente per calmarmi. “Al mio piano, c’è un ufficio dove ieri hanno consegnato le tute VR integrate.” Raccolgo tre anelli metallici incatenati e li metto sul tavolino, accanto al portachiavi di mia sorella. “È chiuso a chiave. Voglio entrare in quell’ufficio e verificare se le voci sono vere.” Lei aggrotta la fronte. “Perché?” “Così, potrò fare qualcosa al riguardo… se sarà necessario.” Il suo cipiglio diventa più profondo. “Fare cosa?” Tiro fuori una chiavetta USB dalla tasca. “Le voci di corridoio sostengono che i proprietari si incontreranno con una grossa società di venture capital tra qualche giorno, per presentare una demo del lavoro che hanno svolto. Evidentemente, hanno bisogno di un nuovo giro di finanziamenti. La mia speranza è che, se un virus informatico rovina questa demo, rallenterà il progetto porno, così io potrò concludere il mio accordo con l’ospedale, prima che il Diavolo trovi un’altra fonte di finanziamenti.” “Quindi, vuoi fare irruzione per commettere un sabotaggio aziendale?” Stringo la chiavetta USB nel mio palmo. “Non proprio. Io lì ci lavoro.” “Ma stai progettando di rilasciare un virus. Non è un crimine?” Mi metto in tasca la chiavetta USB. “Ho preso in prestito alcuni attrezzi di papà. Se mi beccano, posso sempre dire che stavo testando le nostre misure di sicurezza.” Nostro padre fa il tester di penetrazione (che non è quello che sembra!). Simula attacchi informatici su aziende consenzienti, per identificare le debolezze e i punti di forza dei loro sistemi. Gia mi scruta con espressione preoccupata. “Sei una pessima bugiarda.” “Ho intenzione di disattivare le telecamere dell’ufficio. Nessuno saprà mai cos’è successo.” Lei balza in piedi. “Non saprei. Forse, non dovrei incoraggiare questa follia.” “Se non mi aiuti, entrerò con un piede di porco.” Mi lancia un’occhiata. “È un bluff. Tu odi la violenza.” Assumo un’espressione determinata. “Posso ferire una dannata porta, se è necessario.” Si morde il labbro, poi sospira. “Questo ti costerà.” Sì! Se sta contrattando, è fatta. “Che cosa vuoi in cambio?” le chiedo, frenando troppo tardi il mio entusiasmo così sfruttabile. Lei si rimette a sedere. “Smetterai di fare la Marie Kondo della situazione con la mia roba.” “Affare fatto.” A malincuore, lascio cadere la sua bacchetta magica di forma fallica sopra la confusione di oggetti sulla scrivania. Non che saprei come categorizzarla, comunque, a parte metterla accanto a qualche dildo. “E mi dovrai due favori in futuro, senza fare domande.” Per poco non prendo di nuovo la bacchetta, ma mi fermo in tempo. “Vuoi anche le chiavi di casa mia? O magari un assegno in bianco?” Lei fa spallucce. “Se i ruoli fossero invertiti, tu mi chiederesti ancora di più.” Non è affatto vero, ma discutere sarebbe inutile. “Che te ne pare di dirmi quali sono i favori, così posso stabilire se ne vale la pena?” “Niente da fare. Che ne dici di un compromesso? Un favore te lo chiedo adesso, l’altro in un secondo momento.” Accidenti, è brava a fare la faccia da poker! “Quale sarebbe il favore di ‘adesso’?” “Sei già stata a pranzo con i nostri genitori?” Stringo i denti. “Sì.” È chiaro ciò che vuole. I nostri vecchi sono in città e, naturalmente, non se ne andranno finché non avranno impartito a entrambe le loro figlie maggiori una penosa lezione sui pericoli della zitellaggine. “Ti vestirai come me e prenderai il mio posto al pranzo” dichiara Gia, confermando i miei sospetti. “E non mi riferirai nessun consiglio sessuale che molto probabilmente apprenderai.” Che palle! Speravo che volesse usarmi in un trucco di magia (avere una gemella è piuttosto utile, quando si vuole mostrare poteri di teletrasporto e cose simili). “Quand’è il pranzo?” le chiedo. Con un’aria fin troppo allegra per i miei gusti, mi comunica i dettagli. L’orario cade giusto nel bel mezzo della mia pulizia interdentale di metà giornata, ma per quanto io detesti le interruzioni nella mia routine, non mi oppongo. Gia non sarebbe comprensiva. “Qual è l’altro favore?” le chiedo, temendolo già. Lei sogghigna. “Bel tentativo. Te lo dirò quando lo saprò.” “D’accordo. Affare fatto, ammesso che tu riesca davvero a insegnarmi a scassinare una serratura.” Si alza in piedi. “Le sei gemelle non riuscirebbero forse a convertire alla violenza persino Gandhi?” Oh sì, ci riuscirebbero! L’avversione per la violenza è il motivo per cui limito la mia esposizione alle cucciole del male. Voglio loro molto bene, naturalmente, ma prese tutte insieme, sono troppo per la mia psiche. In parte invidio e in parte compatisco Gia, per il fatto che le frequenta anche al di fuori delle festività in famiglia. Io non sono neanche lontanamente così coraggiosa! Alzandosi, lei fruga in un cassetto e tira fuori un paio di guanti, un astuccio in pelle e una collezione di lucchetti. “Mettiti questi.” Mi porge i guanti. Li indosso, roteando gli occhi. “Ecco fatto. Ora, non lascerò germi sulla tua preziosa attrezzatura.” Mi ficca l’astuccio in pelle tra le mani. “Te li sto dando perché impari a scassinare una serratura con i guanti indosso. O vuoi lasciare le tue impronte su tutta la scena del crimine?” Apro la cerniera dell’astuccio e fisso gli strumenti all’interno. Se sono riuscita a superare il tanto temuto corso di Intelligenza Artificiale Avanzata a Cambridge, posso fare anche questo. Speriamo! “Per prima cosa, lasciami spiegare come funziona una serratura a cilindro” dice Gia, indicando una serratura di vetro dove i perni e altri pezzi sono esposti. Procede ad aprire la serratura sia con una chiave sia con i suoi attrezzi, facendolo sembrare facile. “Ora, questa è una chiave di tensione.” Mi porge un aggeggio di metallo e mi illustra cosa farne. Poi, mi dà un punteruolo e mi spiega come usarlo. “Sembra ragionevole” affermo, quando la lezione è finalmente terminata. “Fammi provare.” Il suo sorriso è diabolico. “Fa’ pure.” Sono famosa per la mia meticolosità nel seguire indicazioni di qualsiasi tipo, quindi, come un robot, eseguo le istruzioni di Gia alla lettera. Eppure, il mio tentativo fallisce, per la gioia della mia gemella. Grrr. Scassinare una serratura sembra più un’arte che una scienza. Due ore (e decine di commenti sarcastici da parte di Gia) più tardi, miglioro, anche se non mi sento ancora abbastanza sicura, da procedere con il colpo. Infine, Gia dichiara: “Penso che tu abbia capito. Almeno, non c’è molto altro che io possa insegnarti. Va’ a casa a giocare con le serrature da sola.” “Ok.” Nascondo gli strumenti del mio nuovo mestiere. “Ti chiamo, se ho qualche domanda.” Con mia sorpresa, lei mette effettivamente via i lucchetti che stavamo usando, anziché gettarli sulla scrivania ancora ingombra. “Pensa ad annullare tutta la faccenda, d’accordo? Non lasciarti tentare dal minimalismo della vita in prigione.” “Lo farò” mento, mentre usciamo dalla sua stanza. “E scrivimi, se ci sono aggiornamenti.” Mi conduce oltre il salotto disordinato e fino alla porta d’ingresso. “Chiamami, anche se hai bisogno di me per pagare la cauzione.” “Cheers” replico (al posto di “thanks”), solo per rendermi conto del mio errore, quando il ghigno di Gia si allarga a livelli da Joker. “’Tis my pleasure, guv’nor” risponde con un marcato accento londinese. “Non dimenticare il pranzo con mamma e papà.” “Non lo farò” brontolo. “Molto bene.” Mi saluta con la mano in modo regale. “Ta-dah.” “Thank you and goodbye” enuncio con un perfetto accento americano. Gia chiude la porta e la sento ridacchiare dall’altra parte. Stento a credere che, tra tutte le mie sorelle, lei sia il male minore. Una volta tornata a casa, mi esercito a scassinare serrature fino a notte fonda e, quando mi addormento, sogno questo. Lunedì mattina, mi sento pronta come non mai. È il momento. Andrò al lavoro, aspetterò che tutti se ne siano andati e, poi, procederò con l’operazione ‘effrazione’.
Free reading for new users
Scan code to download app
Facebookexpand_more
  • author-avatar
    Writer
  • chap_listContents
  • likeADD