La pioggia continuava a battere lieve e costante sulle vetrate dell’antiquariato, ma adesso il suo suono era diverso: un sottofondo rassicurante, non più una barriera che separava Daniele dal resto del mondo. La luce del mattino filtrava attraverso le tende di velluto, sgretolando le ultime ombre che si aggrappavano alle pareti cariche di storia e memoria. L’odore persistente di carta antica e legno s’intrecciava a quello nuovo—umido, vivo—che Sergio aveva portato con sé.
Sergio era ancora accanto a lui, seduto sul divano rosso che aveva visto nascere qualcosa di troppo fragile e prezioso per essere nominato. Le dita, intrecciate, si stringevano con una silenziosa promessa. Il silenzio degli oggetti era diventato completo: nessuna voce, nessun eco, solo il respiro quieto della stanza e il battito, lento e condiviso, dei loro cuori.
Daniele osservava gli scaffali, gli specchi anneriti, le maschere, e questa volta non sentiva i richiami del passato, ma un rispetto nuovo, quasi tenero, per ciò che quelle reliquie rappresentavano: il passaggio del tempo, il dolore e le passioni degli altri, ora separati dalla sua anima, finalmente libera.
Sergio si girò e lo guardò negli occhi. Nel verde profondo brillava una certezza tranquilla: «Sei pronto?»
Daniele annuì, lasciando che un lieve sorriso piegasse le labbra. Non aveva più bisogno di nutrirsi del dolore racchiuso in quegli oggetti. Aveva finalmente scelto la vita, la presenza, la possibilità di amare e di essere amato.
Abbracciati nel nuovo silenzio, i due uomini lasciarono che il tempo scorresse senza fretta. Il negozio – una volta santuario di ombre – era diventato rifugio di luce: non era più una prigione, ma una casa. Lì, tra tutto ciò che aveva visto secoli di solitudine, Daniele aveva trovato la connessione che nessuna maledizione al mondo avrebbe potuto spezzare.
Fuori, la pioggia smetteva di cadere. E dentro, c’era solo la promessa di un giorno diverso, pieno di voci vive, di nuove storie da scrivere insieme.
FINE