Il mondo si era ridotto allo spazio tra i loro corpi. Il ticchettio della pioggia divenne il battito frenetico di un orologio che segnava l'avvicinarsi di un punto di non ritorno. La luce, morente, accarezzava il profilo di Sergio come se esitasse a lasciarlo.
Lui si avvicinò, e non ci fu più prudenza, solo la gravità crudele dell'attrazione. Quando i loro sguardi si agganciarono, Daniele sentì la propria maschera di collezionista distaccato incrinarsi e sbriciolarsi. Negli abissi verdi di quegli occhi non c'era solo inquietudine, c'era un riconoscimento. Come se Sergio conoscesse già ogni ombra che danzava nel suo cuore.
Poi, il tocco.
Il dorso delle dita di Sergio che sfiorava la sua guancia fu un lampo di bianco caldo nel gelo della stanza. Un contatto che non chiedeva permesso, ma che affermava una verità antica. Daniele rabbrividì, un tremito che gli scosse le viscere, e la sua mano serrò il polso di Sergio non per respingerlo, ma per ancorarsi a quella sensazione bruciante.
"Che cosa ci guadagna a dirmelo?" La sua voce era un filo di suono, spezzato dalla sfida e da un'ammissione di bisogno che lo terrorizzava.
"Nulla," sussurrò Sergio, e il suo alito caldo sfiorò le labbra di Daniele. "O forse tutto."
In quella prossimità, ogni pregressa difesa crollò. La tensione non era più uno scontro, ma una danza. Una resa imminente. Daniele sentì emergere dalle sue profondità un'eccitazione primordiale, un'ansia di essere vissuto che andava oltre il possesso di qualsiasi oggetto. Era il desiderio di essere egli stesso posseduto, di lasciare che quelle mani leggessero non solo le storie degli oggetti, ma le cicatrici sulla sua stessa anima.
Era il preludio di una rivelazione più intima di qualsiasi spirito evocato. La promessa che, forse, la vera maledizione non era essere circondati dai fantasmi, ma essere condannati a vivere senza mai essere veramente toccati. E in quel silenzio carico di tempesta, Daniele capì che stava per consegnarsi alla prima, vera possessione della sua vita.