CAPITOLO TERZO-1

2022 Words
CAPITOLO TERZOUna massa d’acciaio semovente sotto i galoppanti nuvoloni della prateria. Un irascibile sbattere e sferragliare sotto un rugghio prolungato. L’acuto odore delle arance che s’insinua nel rancido sentore della gente mal lavata e dei bagagli vecchi. Paesi sparsi a casaccio come manciate di scatole di cartone sul pavimento d’un solaio. La distesa delle stoppie d’oro pallido, rotta solo da ciuffi di salci intorno a case bianche e granai rossi. L’accelerato numero 7 traversa brontolando il Minnesota, arrampicandosi impercettibilmente su' per il gigantesco altipiano che sale con un pendio di milleseicento chilometri dalle ardenti pianure del Mississippi alle Montagne Rocciose. Settembre. Caldo. Polverone. Non v’è elegante pullman annesso a quel treno. I comodi scompartimenti dell’East sono sostituiti da carrozzoni senza prenotazioni dove ogni sedile consta di due poltrone dalla spalliera spostabile e l’appoggio della testa coperto di tela è di dubbio candore. Il vagone è diviso a metà da una tramezza di colonnine di quercia scolpite, ma tutto il resto è di legno nudo, scheggiato, unto, annerito. Niente inservienti, niente guanciali, niente comodità di letti: tutt’oggi e tutta stanotte gli agricoltori con le mogli eternamente stanche e bambini che sembrano tutti della stessa età, gli operai che si spostano verso nuovi lavori, i commessi viaggiatori in bombetta e scarpe ben lucidate viaggeranno in quella lunga scatola d’acciaio. Hanno le membra anchilosate, la bocca arida, le mani sudicie; si addormentano raggomitolati in scomodi atteggiamenti, con la testa appoggiata ai vetri o alle giacche arrotolate sui braccioli dei sedili, le gambe allungate nel corridoio. Non leggono; a quanto pare, non pensano. Una giovane mamma già vecchia, precocemente rugosa, che si muove come se avesse le giunture rigide, apre una valigia in cui si vedono camicette spiegazzate, un paio di pantofole dalla punta consumata, un flacone medicinale, una tazza smaltata, un Libro dei Sogni che il venditore di noccioline, di dolci e di giornali l’ha lusingata a comprare, e ne cava fuori un biscotto di farina integrale con cui nutrire un piccino che, sdraiato a pancia all’aria sul sedile, piange instancabilmente. Gran parte delle briciole cade sul velluto rosso del sedile; la donna sospira e cerca di spazzarle via, ma quelle saltano diabolicamente e continuano a ricadere sul velluto. Un uomo e una donna poco puliti masticano panini ripieni buttandone la crosta sul pavimento. Un grosso norvegese color mattone si leva le scarpe con uh grugnito di sollievo e appoggia sul sedile di fronte i piedi coi grossi calzini grigi. Una vecchia dalla bocca sdentata, ermeticamente chiusa come quella d’una tartaruga, i capelli più gialli che bianchi, come la biancheria sudicia, e strisce di cranio roseo trasparenti fra le trecce rade, tira su', preoccupata, la sua valigia, l’apre, vi spia dentro, la richiude, la ricolloca sotto il sedile, in fretta in fretta la ritira su' e la riapre e la rinasconde di nuovo. La valigia è piena di tesori e di ricordi: una fibbia di cuoio, un vecchio programma d’un concerto bandistico, ritagli di nastri, di merletti, di seta. Per terra accanto a lei, un indignatissimo pappagallo in gabbia. Due sedili di fronte, traboccanti della famiglia d’un minatore sloveno, sono ingombri di scarpe, bambole, bottiglie di whisky, fagotti avvolti in giornali, un cestino da lavoro. Il figlio maggiore tira fuori dalla tasca della giacca un’armonica a bocca, la ripulisce delle briciole di tabacco e suona Marciando nella Georgia finché la testa di tutti i presenti nel vagone minaccia di scoppiare. Il venditore ambulante viene a spacciare tavolette di cioccolata e pasticche di limone. Una ragazzina trotterella incessantemente dal proprio posto al lavandino e viceversa. La busta di carta resistente che adopera come bicchiere sgocciola lungo tutto il corridoio al suo passare, e invariabilmente ella inciampa sulle gambe d’un ebanista che borbotta: — Ohè! Bada un po’ dove vai! Le porte incrostate di polvere sono aperte, e dal vagone fumatori penetra un visibile filo azzurro di pungente fumo di tabacco e l’eco delle risa suscitate dalla storiella che il giovanotto dal vestito azzurro vivo, la cravatta color lavanda e le scarpe giallo chiaro ha raccontato all’uomo tarchiato in tuta da garagista. Il fetore cresce, sempre più denso, sempre più rancido. Ogni sedile era la casa temporanea di ciascuno di quei passeggeri, e quasi tutti si rivelavano inquilini sciatti e trascurati; ma uno almeno sembrava lindo e ingannevolmente fresco. Vi sedevano un uomo dall’aspetto indubbiamente benestante e una giovane donna dai capelli neri e la carnagione delicata, coi piedini calzati di lucide scarpette nuove posati su una valigia nuovissima. Erano il dottor Wlll Kennicott e la sua sposa, Carol. Si erano sposati alla fine d’un anno di tranquillo corteggiamento e si recavano a Gopher Prairie dopo un viaggio di nozze sulle montagne del Colorado. Le orde dell’accelerato non erano del tutto nuove per Carol che le aveva già viste nei suoi viaggi da St. Paul a Chicago; ma ora che erano diventate gente sua, da lavare e incoraggiare e infiocchettare, provava per loro un vivo e imbarazzato interesse. Come la scoraggiavano! Erano così stolidi! Ella aveva sempre sostenuto che in America non c’erano contadini e cercava, ora, di difendere quella fede riconoscendo immaginazione e fantasia nei giovani agricoltori svedesi e nel commesso viaggiatore chino sui moduli da riempire. Ma i più anziani, gli yankees non meno dei norvegesi, dei tedeschi, dei finni, dei cauchi, si erano adagiati nell’acquiescenza della povertà. «Contadini! », gemette. — Non c’è modo di svegliarli? Che succederebbe se cominciassero a capire l’agricoltura scientifica? — chiese supplichevole, cercando con la mano quella del marito. La luna di miele era stata un’esperienza trasfiguratrice. Ella si ora spaventata nello scoprire i tumultuosi sentimenti che potevano venir destati in lei. Will era stato magnifico: risoluto, allegro, d’una competenza impressionante nel fare il campo, tenero e comprensivo nelle ore che trascorrevano sdraiati a fianco a fianco nella tenda piantata fra i pini lassu' lassu', sul più solitario sperone della montagna. Egli si staccò dai pensieri della clientela alla quale stava per tornare e la sua grande mano inghiottì quella di lei. — Chi? Questa gente? Perché svegliarli? Sono contenti così. — Ma sono così provinciali! No, non è questo che voglio dire: sono così... insomma, affondati nella mota. — Senti a me, Carrie: devi superare le tue idee di cittadina che perché uno non ha i pantaloni stirati è uno stupido. Questi agricoltori sono molto svegli e promettenti. — Lo so! Ed è questo che fa male! Sembra che la vita sia così dura per loro: queste fattorie solitarie, questo sudicio treno... — Oh, non se la prendono mica. E poi, le cose cambiano. L’auto, il telefono, il servizio a domicilio, tutto questo porta gli agricoltori in contatto con le città. Ci vuol tempo, sai, per cambiare un deserto come era questo cinquant’anni fa; eppure possono saltare sulla Ford o la Overland e andarsene al cinema la domenica sera più presto di quanto non facevi tu col tram, a St. Paul. — Ma se le città dove accorrono per sollevarsi lo spirito sono tutte come quelle che abbiamo passato... Non capisci? Guardale! Kennicott era stupito. Sin dalla fanciullezza vedeva quelle città da quegli stessi treni su quella stessa linea. — Be’, — borbottò, — che c’è che non va? Sono brave borgate, attive. Sapessi quanto grano e quanta segale e quanta meliga e quante patate imbarcano in un anno! — Ma sono così brutte, — Riconosco che non sono confortevoli come Gopher Prairie, ma dagli tempo! — A che serve dargli tempo se qualcuno non ha il desiderio e la preparazione per sistemarle? Centinaia di fabbriche tentano di fare macchine più belle, ma questi paesi... lasciati al caso! No, nemmeno! C’è voluto un genio speciale per farli così odiosi! — Oh, non sono poi tanto male, — fu tutto quello che rispose lui. Poi finse che la sua mano fosse il gatto e quella di lei il topo. Per la prima volta Carol lo tollerò anziché incoraggiarlo; guardava, fuori del finestrino, Schoenstrom: un villaggetto di forse centocinquanta abitanti, a cui il treno si era fermato. Un tedesco barbuto e la moglie dalle labbra strette tirarono fuori da sotto il sedile un’enorme borsa di finta pelle e uscirono dondolandosi. L’impiegato della ferrovia issò nel vagone merci un vitello macellato. Non ci fu altro segno visibile d’attività a Schoenstrom. Nella quiete della sosta, Carol udì un cavallo scalpitare nella stalla, un muratore fissare delle tegole su un tetto. Il centro affaristico di Schoenstrom occupava un lato d’uno stabile che dava sulla strada ferrata. Era una fila di negozietti a terreno, col tetto di ferro galvanizzato o di tavole dipinte di rosso o d’un giallo bilioso. Gli edifici erano messi insieme alla peggio e creavano un’aria di temporaneità come la strada d’un campo di minatori In una pellicola cinematografica. La stazione era un casotto a un solo locale con un fangoso porcile da una parte e un magazzino del grano dall’altra. Il magazzino, con una cupola in cima a un tetto cremisino a tegole, sembrava un uomo con le spalle larghe e una piccola testa maligna, puntuta. I soli edifici che sembrassero abitabili erano la chiesa cattolica in mattoni rossi e il rettorato in fondo alla Via Principale. Carol tirò Kennicott per la manica: — Non dirai che questo non è male, eh? — Be’, queste borgate olandesi sono un po’ indietro. Eppure... Vedi quel tipo che viene fuori dall’emporio, là, ed entra in quella grossa macchina? L’ho conosciuto, è il padrone dell’emporio e di quasi tutta la città. Rauskukle, si chiama. Possiede un sacco di ipoteche e specula in terreni. Ha una buona testa, quello lì. Dicono che “valga” da tre a quattrocentomila dollari. Ha una magnifica casa grande di mattoni gialli con recinto pavimentato e giardino e tutto quanto dall’altra parte del paese, da qui non la puoi vedere, lo l’ho vista quando ci sono passato in macchina, sissignore! — Allora, se ha tutto questo, non c’è nessuna scusa per il paese! Se i suoi trecentomila dollari tornassero alla città dove abita, potrebbero bruciare tutte quelle capanne e costruire un villaggio di sogno, un gioiello! Perché la gente della campagna e del paese si lascia dominare dal feudatario? — Devo confessare che qualche volta non ti seguo, Carrie. Si lascia? Ma non può fame a meno! Quello è un vecchio tedescone che sembra mezzo addormentato e magari il prete lo fa ballare su un quattrino, ma quando si tratta di pescare un buon terreno è un dritto! — Capisco. Questa è la loro mentalità. Il paese erige lui invece di erigere delle case. — Francamente, non capisco dove vuoi arrivare. Sei un po’ stonata, dopo questo viaggio così lungo: ti sentirai meglio quando arriveremo a casa e farai un bel bagno e indosserai la vestaglia azzurra. Sai benissimo che con quella sei una vera donna fatale, streghetta! E le strinse il braccio guardandola con aria significativa. Ora si staccavano dalla desertica immobilità della stazione di Schoenstrom. Il treno scricchiolava, sferragliava, ondeggiava. L’aria era diventata irrespirabile. Con dolcezza Kennicott le girò il viso ostinatamente voltato al finestrino, le attirò la testa sulla spalla. Ella si liberò a fatica dal suo cattivo umore, tuttavia, e quando Kennicott, sicuro di aver messo tutto a posto, aprì una rivista di racconti gialli, si risollevò e sedette, dritta dritta. « Ecco », pensava fra sé, « ecco il più nuovo impero del mondo, il Middlewest del settentrione dell’America: una terra di bestiame da latte e di laghi incantevoli, di automobili nuove e di capanne di cartone incatramato e di silos che sembrano torri rosse, di goffi discorsi e di speranza infinita. Un impero che nutre un quarto del mondo... eppure l’opera sua è cominciata appena. Sono pionieri, questi viaggiatori sudati, nonostante 1 loro telefoni, e i loro conti in banca e le pianole e le cooperative. Nonostante le sue ricchezze questa loro terra è una terra di pionieri «Qual è il suo avvenire? », pensava. « Un avvenire di città annerite dai fumo delle fabbriche, dove oggi è la distesa dei campi vuoti? Case, case per tutti al sicuro da ogni rovescio, o placidi castelli circondati di squallide capanne? Una giovinezza libera d’imparare e di ridere? La volontà di vagliare le menzogne consacrate? O donne grasse dalla pelle intrisa di creme e spalmate di cipria, pompose nelle pelli degli animali e nelle piume ancora sanguinanti degli uccelli massacrati, occupate a giocare a bridge con le grasse dita ingioiellate dalle unghie dipinte: donne che dopo tanto sperpero di tempo, di fatica e di cattivo umore non possono a meno di somigliare, grottescamente, ai loro pechinesi supernutriti? Le eterne, ammuffite ingiustizie e sperequazioni, o qualche cosa di nuovo nella storia, qualche cosa di diverso dalla tediosa maturità degli altri imperi? Quale avvenire? Quale speranza? ».
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