EILLEAN

3116 Words
EILLEAN Il caldo era afoso, nessuna bava d’aria arrivava sul suo viso arrossato e madido di sudore. La caverna semibuia era illuminata solo dal soffocante fuoco della forgia. L’odore acre del fumo arrivava appena alle sue narici e il rumore del mantice rompeva il crepitio. Con una tenaglia prese una delle lame che erano immerse nelle fiamme, era calda, ma ormai ci aveva fatto l’abitudine. Posò la lama sull’incudine e con una mazza cominciò a colpire la lama con forza. Aveva ripiegato più e più volte gli strati di metallo, battuto decine e decine di volte la lama, quello era uno dei segreti per averle solide e lucide. Il sudore le colava dalle tempie, ma il braccio che brandiva la mazza era saldo e forte, la mente libera e serena. Un uomo di fronte le sorrise, anche lui stava lavorando alla fornace e lei rispose al sorriso con affetto. Poi si svegliò. Eillean era sdraiata su l’unico oggetto della stanza: un duro letto fatto di assi di legno. Lo ricopriva un pagliericcio che fungeva da materasso, un lacero cuscino di piume e un leggero lenzuolo di lino di un colore indefinito. La stanza era piccola, di forma triangolare, formata da due pareti diritte e una curva, su una delle due pareti diritte c’era una porta di legno con un’ampia apertura fatta di grosse sbarre di ferro, su quella curva una piccola finestrella senza battenti. Aveva nella mente ancora le immagini del sogno. L’ennesimo. Con nostalgia posò lo sguardo sul soffitto scuro attraversato da grosse travi, il lavoro che faceva alle miniere le mancava molto e spesso sognava di trovarsi nella Sala dei Forgiatori. Sul corpo aveva ancora i lividi provocati dal modo in cui era stata presa, messa in un sacco e buttata su un cavallo. Non avrebbe mai dimenticato il giorno in cui lei, Ristan, Rajana e altri dieci uomini furono attaccati da alcuni soldati vestiti di nero. Era buio. Insieme al gruppo che l’accompagnava, si era accampata vicino ad un boschetto sulle rive del fiume Orar, nel mezzo della sua pianura. Sembrava un luogo sicuro. Persino dopo il tramonto aveva avuto la sensazione che nulla di pericoloso si poteva aggirare tra quegli alberi. Quella bella sensazione però non durò a lungo. Non appena si coricarono, alcuni uomini vestiti di nero uscirono dal nulla e li attaccarono. Le sue guardie furono colte di sorpresa. Non fecero in tempo ad impugnare le armi che lei era già nelle mani dei rapitori. Ristan e Rajana provarono ad ostacolare la missione di quegli uomini, ma fu inutile. Lei si guardò attorno attonita, spaventata, poi si sentì prendere di peso, e l’ultima cosa che vide fu i suoi uomini lottare disperatamente per salvarla. Dopo essere stata buttata in quella stanza, si tolse il grosso sacco e si guardò attorno. Poteva solo immaginare dove era stata portata e chi fosse il mandante del suo rapimento, ma non ne era certa. Da quella stanza poteva vedere solo il mare. Era azzurro, immenso, monotono ma rilassante allo stesso tempo. Lo vedeva dalle tre sbarre di una piccola finestrella posta sulla parete curva della stanza. Quando ci guardò attraverso per la prima volta, pensò di essere molto in alto, forse l’edificio si trovava su uno sperone di roccia a strapiombo, o forse era in un castello. C’erano molti castelli nel continente di Siger, soprattutto all’interno del regno di Kirine. La cosa che più la lasciava perplessa di quel luogo era l’assenza di uomini, di passi, di rumori di qualsiasi genere, anche minimamente percettibili. Gli uomini che l’avevano condotta lì, dov’erano finiti? Un altro fatto era strano: quando al sorgere di Elios-aere si svegliava, vicino alla porta trovava sempre un vassoio con un bicchiere d’acqua, un pezzo di pane e della carne cotta da poco, che mangiava con voracità, non perché fosse gustosa, ma per la gran fame. La stranezza era che non aveva mai sentito nessuno avvicinarsi alla porta. Un paio di notti aveva provato a stare sveglia per vedere chi le portava il cibo, ma non c’era riuscita, si era addormentata profondamente senza sentire nulla. Trovò strano che durante il sonno non avesse sentito dei rumori, lei aveva un sonno leggero, e si svegliava per un qualsiasi rumore. Il fatto di non udire nulla e di non vedere nessuno, la irritava terribilmente. Non capiva come riuscissero a non farsi sentire! Così alcuni giorni prima, aveva cominciato ad urlare e a scuotere la pesante porta di legno per le sbarre, non per rabbia, ma solo per vedere se qualcuno fosse arrivato. Aveva persino incalzato la dose con parole che in un’altra occasione non sarebbero mai uscite dalla sua bocca. - Perché non vi fate vedere… Vigliacchi, bastardi, porci, sacchi di sterco di cavallo! - aveva gridato sfogandosi. E quelle erano solo alcune delle parole che avrebbe voluto gridare, ma per il momento le erano sembrate sufficienti per provocare il baccano, che era stato assordante. Poi, con le orecchie tese, rimase ad attendere, ma non udì nulla. Nessuno si stava avvicinando alla stanza, nessuno probabilmente voleva dare peso alle sue grida. Perciò sfinita e avvilita si era inginocchiata dinnanzi alla porta, sospirando. Si alzò dal letto e si affacciò alla piccola finestra, Elios-aere stava nascendo, un altro giorno di prigionia l’attendeva. Quanti ne sarebbero trascorsi ancora? Fece un lungo sospiro, il mare era così bello. Le sue onde riuscivano a trascinarla con l’immaginazione al di là dell’orizzonte, talvolta le sembrava di vedere delle imbarcazioni con la bandiera del suo regno. Chissà cosa stavano decidendo il padre ed il fratello? L’Ordine dei Forgiatori come aveva preso la notizia del suo rapimento? Lei sperava che tutto questo non avesse influenzato il lavoro alle miniere. Si spostò dalla finestra e si diresse verso la porta. Come al solito c’erano un bicchiere d’acqua, un pezzo di pane e della carne. Li prese con lentezza e ritornò a letto. Mentre portava il pane alla bocca, il suo sguardo si spostò casualmente sui piedi, poi continuò sulle gambe e piano proseguì sugli abiti da viaggio. Il lungo mantello di lana bianca era sporco e sdrucito, anche i lunghi stivali di cuoio erano sudici, un po’ meno lo era la lunga tunica nera che era stretta alla vita con una cintura di cuoio bianca. Da quando si trovava in quel luogo, non si era tolta nulla, nemmeno il mantello di lana. Anche se l’estate era vicina, la notte era ancora gelida, e tra quelle mura il freddo diventava pungente. I suoi occhi poi si spostarono sulle mani e sulle braccia. Tutto il suo corpo era in uno stato pietoso, soprattutto i capelli. Erano tramonti che non li lavava e pettinava, e si vedeva. Posò il pane e cominciò a pettinarli, passandoseli tra le dita per districarli, ma non riuscì nemmeno ad arrivare alla metà della loro lunghezza, erano piedi di nodi. Questo però non la fermò e continuò, riuscendo a districarli un po’, odiava avere i capelli in quelle condizioni, solitamente li aveva lisci e morbidi. - Ma cosa sto facendo? Eillean quanto sei sciocca, i capelli dovrebbero essere l’ultimo dei tuoi pensieri! Pensò, lasciando cadere le braccia sul bordo del letto. Mentre stava per portare il bicchiere d’acqua alla bocca, guardò distrattamente la porta e notò qualcosa che attirò la sua curiosità. Pose il bicchiere e si avvicinò. Vide con sorpresa che il cardine più alto non era ben saldo alla pietra. Spostando gli occhi in basso vide, infatti, dei pezzetti di pietra sul pavimento. Il suo bellissimo viso si illuminò da un sorriso. Senza pensare oltre si alzò dal letto e si diresse verso la porta. Mise le mani sulle sbarre della porta, fece due respiri e cominciò a scuoterla con tutta la forza che aveva nelle braccia. Il lavoro alle miniere le aveva dato una notevole forza, perciò riuscì a scuoterla con poderosi colpi. Le braccia cominciarono a farle male, ma al dolore non diede importanza. I suoi occhi erano fissi sul cardine in basso. La pietra cominciò a sgretolarsi e ad un tratto entrambi i cardini si staccarono. - Incredibile! - esclamò sorridendo. Fece un ultimo sforzo, tirò verso di sé la porta, dovette trattenerla con molta forza perché non le cadesse addosso, con un passo si spostò a destra e la lasciò cadere. La grande porta piombò a terra, provocando un boato assordante. La principessa era stupefatta, quella porta doveva essere talmente vecchia e arrugginita che erano bastati dei colpi con le braccia per farla cedere. Si chiese solamente come mai non si fosse aperta la prima volta che l’aveva scossa. Fece due passi fuori dalla stanza e guardò a destra, vide subito una curva e stretta gradinata che scendeva verso il basso. Era ripida e scura. Il rumore che la porta aveva provocato era stato assordante, ed ebbe timore che qualcuno sopraggiungesse per vedere cosa fosse accaduto. Attese qualche istante. Fortunatamente non successe nulla, sentì solo il solito silenzio. Scosse la testa, l’assenza di rumori ormai non doveva stupirla più di tanto. Si diresse verso la scalinata, c’era buio. D’istinto appoggiò le mani sul muro di destra e si incamminò lentamente, facendo attenzione. Mantenne le mani salde al freddo muro che curvava dolcemente verso destra. Era cominciata una lunga gradinata a chiocciola. Lentamente scendeva gradino per gradino, tastando con il piede la dura pietra ad ogni centimetro. Il buio divenne da subito totale. Ormai la stanza era lontana, aveva sceso parecchi gradini e per un attimo provò un po’ di tristezza. “Almeno in quel locale c’era la luce!” Pensò. Qualcosa dentro di lei le disse di tornare indietro. Quasi lo fece, ma proseguì schernendosi. “Eillean, continui ad essere una sciocca! Devi solamente fare attenzione…” Il pensiero si interruppe. Fece uno strillo. Improvvisamente il pavimento le mancò sotto il piede sinistro, facendola cadere lungo la ripida scala. Venne trasportata rovinosamente verso il basso per numerosi gradini, il corpo venne percosso da numerosi sobbalzi contro la dura pietra. Quando si fermò, il buio era impenetrabile intorno a lei. Non riuscì più ad orientarsi. Tentò di rialzarsi, ma la testa le girò vertiginosamente, ci vollero alcuni momenti perché ritornasse tutto a posto. Quando il capogiro passò, si sentì in grado di alzarsi. Aveva dolore ovunque, ma cercò di ignorarlo. Solo una fitta lancinante al piede sinistro le impedì di rizzarsi. Cercò di soffocare un grido di dolore e stringendo i denti si mise a sedere sui freddi gradini. Una forte rabbia le provocò un nodo alla gola che non fu capace di ricacciare indietro. - Elios-aere… dammi la forza! - disse piangendo di rabbia. Come aveva fatto a cadere in quel modo! Pensò furibonda con se stessa. - Eillean, non lasciarti andare. Prova ad alzarti! - Si disse facendosi coraggio. Con grande sforzo ci riuscì. Si appoggiò al muro e continuò a fatica il cammino verso il basso. Fece alcuni gradini, quando improvvisamente i suoi pensieri furono turbati da un rumore di passi. Era lontano e leggero, ma perfettamente udibile. Alcuni istanti dopo, dal basso, vide provenire un fioco bagliore. L’oscurità improvvisamente svanì, lasciando intravedere che la gradinata procedeva ancora con numerosi e alti scalini. Il suo cuore cominciò a battere furiosamente nel petto, e il suo respiro si fece veloce. Rapidamente spostò gli occhi cercando una via d’uscita. La vide. Era una porta scura che sporgeva dallo spesso muro di pietra di destra. Cercò di spostarsi verso di essa, sarebbe stata lei la sua salvezza pensò, sperando fosse aperta. I passi si facevano sempre più percettibili ed il bagliore più luminoso, cercò di muoversi in fretta. Il tragitto che la separava dalla sua meta le sembrava interminabile, ma riuscì ad arrivare fino alla porta. Cercò la maniglia e la abbassò. La porta si aprì senza il minimo rumore. Entrò. Si ritrovò in un luogo piccolo e buio. Si guardò attorno, ma non riuscì a vedere nulla, non c’erano finestre e l’ambiente parve vuoto. L’interno era permeato da un vago odore di muffa, e la grandezza sembrava simile alla stanza in cui era stata pochi momenti prima. Sarebbe rimasta in quel luogo fino a che l’uomo non fosse passato, poi chiuse la porta con delicatezza ed attese, una debole luce filtrò dalle lunghe e strette fessure della porta di legno. Aveva molto freddo. Oltre che buio e tetro, quel luogo aveva una temperatura talmente gelida, che tutto il suo corpo fu pervaso da un forte tremito, gli abiti che indossava erano pesanti, ma in quel posto si sentiva nuda da ogni indumento. I passi erano lenti e pesanti, chiunque fosse stato era molto vicino. Eillean dalla piccola stanza poteva udire il rumore dei passi farsi sempre più chiaro. Con una mano si toccò il piede. Era gonfio, capì che aveva una frattura. “Dannazione!” pensò cercando di trattenere la rabbia. Durante la caduta, aveva cercato più volte di raddrizzarsi, nel cercare di farlo aveva messo il piede in malo modo ed aveva sentito chiaramente uno schiocco. Il dolore era stato violento e lancinante. Il bagliore si fece ad un tratto più intenso, poteva vederlo dalle fessure delle assi della porta, i passi si stavano avvicinando. Si avvicinò alla porta facendo forza sul piede sinistro, poi rimase ad attendere con il cuore in gola. All’improvviso un’ombra apparve e i suoi occhi la fissarono trepidanti. Ma non fu l’ombra a trattenere il suo sguardo, fu la strana luce che la proiettava sulla parete opposta ad attrarla. Era di uno strano e freddo color azzurro. Eillean rimase immobile e vide avanzare un uomo. Indossava un lungo mantello nero, ed una parte del viso era coperta da un cappuccio dello stesso colore. In una mano, quasi sospeso in aria, brillava un globo. Da esso proveniva quella luce, era intensa e azzurra. Eillean per alcuni attimi non si mosse, non respirò. Il dolore al piede sembrò placarsi, persino il battito del cuore parve fermarsi. I suoi occhi non smisero di guardare quella luce, fino a quando, lentamente, svanì, trascinando con se la sagoma dell’uomo sul muro curvo, facendolo sembrava una lunga e obliqua riga nera. La sua mente sembrò incapace di reagire, quella luce l’aveva paralizzata, l’aveva resa consapevole del luogo in cui si trovava e dell’uomo che lo abitava. Una strana angoscia si fece strada nel suo cuore. Si costrinse a muoversi, doveva sbrigarsi ad uscire da lì, quell’uomo avrebbe scoperto presto la sua assenza. Uscì a fatica dalla stanza. Il buio era ritornato totale. Cercò di scendere più in fretta che poteva. Il piede si era gonfiato ancora e il dolore si era fatto più intenso. Quello che la innervosiva di più però non era il dolore, ma il fatto che rallentasse la sua fuga. Scese numerosi grandini quasi saltellando, quando all’improvviso vide un altro bagliore. Era diverso da quello che aveva visto prima, era più fermo e man mano che scendeva i gradini si faceva più intenso. Cominciò a vedere chiaramente tutto quello che la circondava, le pareti e i gradini. La lunga scala era al termine ormai, mancavano pochi scalini, e quando fece l’ultimo si trovò in un lungo corridoio illuminato da quelle che sembravano grandi finestre. - Benedetta tu sia, Dea del giorno! - sospirò sorridendo, dopo di che, zoppicando, si avviò lungo il corridoio. La luce che vedeva non proveniva da finestre, ma da porte aperte su piccole stanze vuote. Cercò di resistere alla tentazione di entrare. Guardò lungo il corridoio, vide che in fondo c’era una porta. Decise di avviarsi verso quella porta, la oltrepassò e si ritrovò a dover scendere un’altra scala. La gradinata era breve, e quando riuscì a scenderla, si ritrovò in un’enorme biblioteca a pianta rettangolare. Tre grandi finestre, poste sulla parete lunga alla sua sinistra, inondavano di luce dorata la stanza. File e file di scaffali di legno attorniavano le pareti grigie, su cui erano posti ordinatamente innumerevoli libri. I suoi occhi inconsciamente corsero sui loro dorsi invecchiati, cercando invano di leggerne qualche titolo. Si stupì di non riuscire a capire una sola parola. Scosse la testa cercando di non pensare a quelle osservazioni. Al centro della stanza si trovava un grande tavolo, si appoggiò ad esso zoppicando, poi guardandosi attorno nervosamente vide un varco alla sua destra. Era ampio e senza porte, cercò di raggiungerlo più velocemente che poté. Quando lo oltrepassò, si trovò in un piccolo atrio. Era stretto e illuminato da grandi torce. Le sue alte pareti erano diritte e grigie di fumo. In esso partivano in direzioni opposte altri due corridoi, in mezzo scendeva un’altra scala. Era diversa dalle altre, era ampia e bianca. Fece un profondo sospiro, si toccò il piede dolorante. A fatica cominciò a scendere i gradini candidi e bassi. Si allargavano a mano a mano che scendevano e contrastavano sfacciatamente con il nero pavimento della sala sottostante. Era a pianta quadra, gigantesca, coperta da lastre di pietra nera e sorretta da numerose colonne scure come la pece. Alle pareti opache c’erano alte finestre rettangolari. Rivolgendo lo sguardo in quel salone, ebbe la sgradevole sensazione di stare dietro ad un’enorme grata di una prigione, una prigione fatta da pareti scure e opprimenti. Le maestose e scure colonne sembrarono circondarla e sopraffarla. Ebbe un capogiro, ma cercò di reagire. Spostò lo sguardo oltre la gradinata e di fronte vide un largo portone di legno scuro: quella doveva essere l’uscita. Non aveva idea di cosa avrebbe trovato oltre, ma decise che non le importava, doveva muoversi più in fretta che poteva. Aveva desiderato a lungo uscire da quel luogo tetro e freddo. La sua libertà, in quel momento, dipendeva da pochi passi. Si accostò al corrimano, e scese rapidamente i gradini, cercando di non dare troppo peso sul piede dolorante. Aveva il fiato corto. Scese la gradinata e oltrepassò quasi del tutto l’intrico di colonne. Velocemente si stava avvicinando al portone. Mancavano pochi passi. Ecco, poteva già toccare il caldo legno… - No! Tu non uscirai da qui! - disse ad un tratto una voce dura e potente. Eillean tentò di non prestare attenzione a quella voce, ma si fermò e voltandosi vide un’ombra scura precipitarsi verso di lei. Dalla bocca dell’ombra udì parole che non riuscì a comprendere. L’ombra poi si fermò, alzò le braccia e ripeté le parole a voce più alta. Subito dopo un vento innaturale, forte e gelido si alzò all’interno della sala. Eillean, cercando di non farsi sopraffare da quello che stava avvenendo, si avviò verso il portone, si fece forza e si concentrò sul suo scopo. Cercò il contatto con la grossa maniglia di metallo, poteva già sentirla con le dita. Ma il vento si alzò più forte, facendo aumentare in lei l’angoscia, la sentì espandersi nello stomaco fino ad impedirle di muoversi. L’ombra ripeté ancora una volta le parole con voce ancora più possente. Il grande portone si spalancò colpendola in pieno, mandandola a sbattere contro una delle colonne. Lei cercò di alzarsi, ma il forte vento sembrava scuotere ogni cosa. Le vesti della figura si agitavano furiosamente intorno al suo alto e possente corpo. Eillean sentì i propri abiti vibrare e i suoi capelli sventolare violentemente, coprendole gli occhi. Cosa stava succedendo? Si chiese la principessa. Dentro di sé crebbe una gran confusione. Non capiva, tutto le sembrava illogico, anormale. Sentì il proprio stomaco contrarsi. Dopo pochi istanti, in preda alla paura e alla confusione più grandi, svenne.
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