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2236 Words
1 Elle Poco prima, lo stesso giorno… Sposto il mio peso e sospiro. Questa borsa mi sta distruggendo la spalla. Non so perché c’ho messo dentro così tanti libri. Ne ho messi dentro tre assieme al mio portatile prima di andarmene. Nemmeno quindici minuti dopo i manici mi affondano nella pelle, infiammandola e distruggendo la mia determinazione a studiare. Parte di me vuole solo mollare la borsa e andare in un bar. Sono così incazzata che mi scrollo via il rancore amaro e mi metto a camminare più velocemente. Non mi sarei mai dovuta portare così tanto da studiare. Non che sia dell’umore per farlo. Non dopo aver litigato di nuovo con mia madre. Vorrei non dover pagare i suoi fottuti conti così da poter ritornare nel mio appartamentino merdoso. Le sue cattive decisioni continuano a fregarmi. Non posso permettermi di vivere da nessun’altra parte se non con lei. Perché cazzo ha acceso un mutuo? Doveva fregarmi così? Doveva sapere che non potevo permettermelo. Le ho detto di non farlo. Sapevo che sarebbe successo. E ora sono incastrata qui ad aiutarla ancora, mentre si disintossica… di nuovo. Sono stufa di sacrificare tutto per lei, ma non posso dire di no, non posso abbandonarla. Anche se mi sta succhiando la vita. Sono solo fortunata a essere riuscita a trasferirmi nell’università locale, così sono potuta ritornare a vivere con lei. Ho solo bisogno di rimettere in ordine la mia vita per non fallire. Anche se tenere il passo è una rottura di palle. E faccio fatica a trovare la motivazione. Nemmeno tre mesi che me ne sono andata e lei si trasferisce per un perdente che ha conosciuto online. E compra una casa per entrambi. Scuoto la testa e mi mordo l’interno della guancia mentre le lacrime mi bruciano gli occhi, le ricaccio indietro e mi concentro sulla rabbia. Mamma ha così tanti problemi. È un casino. Non me ne frega niente se pensa che lui cambierà e le ridarà tutti i soldi che ha sperperato. Non è dannatamente accettabile. Non mi fido di questo tizio, proprio come non mi fidavo dell’ultimo, ma mi ascolta? No. A meno che non le stia dando il mio numero di conto corrente. So di aver visto un localino in fondo alla strada che sembrava un buon posto per parcheggiare il mio culo e provare a rilassarmi. Ho solo bisogno di uscire da quella casa così posso studiare senza essere così incazzata. Gemo e sposto la borsa sull’altra spalla per cercare di alleggerire la pressione del peso. Dopo pochi minuti, mi calmo e faccio un sorrisetto, ricordando la borsa che ho scelto per oggi. La scritta dice: “Il mio club del libro legge solo le etichette dei vini.” Comincio a sorridere e non riesco a smettere. La mia vita sarà anche completamente nuova e davvero merdosa, ma almeno ho ancora il mio vecchio senso dell’umorismo. Dopo alcuni minuti, mi è quasi venuta voglia di tornare indietro per prendere la macchina, ma poi accelero ricordando che quel pezzo di merda è ancora lì. Farà meglio a cacciarlo via, le ho detto che non l’aiuterò economicamente se lui resta. Stringo ancora di più i pugni mentre lascio andare un respiro lungo e soffocato. Le sue parole mi risuonano nelle orecchie: “Ma c’è il tuo nome sul mutuo!”. È una tale stronza. E tecnicamente, una criminale per aver falsificato la mia firma. Ma cosa farò a riguardo? Niente. Tengo sempre la bocca chiusa e faccio la cosa giusta. Almeno giusta per gli altri. Non so nemmeno più quello che è meglio per me. Stringo i denti e sento la rabbia montare dentro. Non è giusto essere arrabbiata con lei, o forse sì? Vorrei solo fosse più responsabile, che non fosse un’alcolista del cazzo. Perché provo sempre del senso di colpa se odio tutto quello che mi fa passare? Più di tutto mi sento colpevole come se il fatto che sia così infelice fosse tutta colpa mia. Il posto che ho visto nel tragitto verso casa è il Bistrot Valetti ed è solo a un altro isolato di distanza. Se tutto va bene, avranno qualche separé vuoto sul retro. E alcol. Avrei proprio bisogno di un drink. È un po’ tardi per il pranzo, quindi forse non ci sarà nessuno e potrò studiare in pace. Percorro il vialetto lastricato di mattoni e ammiro il design rustico prima di aprire la porta. Tutta la zona ha l’atmosfera di una piccola cittadina. Mi piace. Ma mi piacerebbe di più se non fossi costretta a restare qui. Non appena finita la scuola di specializzazione me ne andrò. Darò a mamma una paghetta, forse, e me ne andrò alla ricerca di un posto come questo, che non sia contaminato. Una cittadina bella, con ristoranti a gestione familiare come questo. Sorrido e sospiro. Andrà tutto bene. Devo solo far passare tutto e lavorare ancora più sodo. E scoprire un modo per smettere di favorire la dipendenza di mia madre. Do una veloce occhiata al posto. È buio per essere un ristorante, con poche luci basse poste simmetricamente attorno alla sala ristorante. I muri sono color crema chiaro, le sedie e i separé rosso scuro. Proprio il mio stile. Mi spunta un sorriso quando vedo un separé vuoto a destra sul fondo del locale. Si trova di fronte a un altro separé nella stanza stretta, quasi come si appartenessero, ma ovviamente sono divisi. Mi affretto a occuparlo. Mi siedo e appoggio la borsa sui cuscini prima di far scivolare la tracolla dal braccio. Maledizione, molto meglio. Mi strofino la spalla e vedo due segni rossi e infiammati causati dai manici. Faccio una smorfia. La prossima volta porterò solo il portatile e gli appunti. E l’auto. Mi lecco le labbra e tiro fuori il computer per aprire il programma di studi. L’ho scaricato prima di uscire, ma spero che questo posto abbia il WI-FI. Faccio un respiro profondo e clicco per controllare. È protetto da una password. Maledizione. Non mi piace, significa che devo parlare con qualcuno. Preferisco stare da sola. I miei occhi guardano oltre lo schermo acceso in cerca di una cameriera, ma non sembra essercene nessuna pronta e disponibile. Le mie spalle sprofondano per la delusione. Dove cazzo è la cameriera? Il mio sguardo si sposta di fronte a me e cattura quello di uno degli uomini seduti nel separé di fronte al mio, dall’altra parte del corridoio. Interrompo rapidamente il contatto visivo, ma riesco comunque a dargli una bella occhiata, ed è un tale figo che sento il mio sesso caldo e bagnato. Capelli scuri lunghi il giusto per poterli afferrare, abbinati a occhi scuri e penetranti. La pelle abbronzata e gli zigomi alti sono enfatizzati dall’illuminazione fioca. Deglutisco e spero che il calore che sento sulle guance non si sia tradotto in un violento rossore sul viso. D’istinto i miei occhi ritornano sull’uomo in questione, e a giudicare dal sorrisetto sul suo volto l’ha visto. Merda! Appoggio il gomito sinistro sul tavolo e tento con nonchalance di coprirmi la faccia mentre cerco di nuovo una cameriera. Avrò bisogno di un drink per calmare i nervi e concentrarmi sul lavoro. «Vuole un menu?». Mi volto e vedo un ragazzo dall’aspetto molto italiano, con pelle olivastra e occhi verde brillante che aspetta la mia risposta. Sembra abbastanza simpatico e ovviamente frequenta ancora le superiori. «No, grazie. Voglio solo da bere». «Cosa posso portarle?», chiede lui, sorridendomi forzatamente. Be’, cazzo, scusami se sono qui e se ti ho rovinato la festa. Mi libero di questo commento interiore beffardo. Forse ha solo avuto una giornata dura. Come me. «Vodka al limone e Sprite, grazie». Il mio preferito. Faccio un sorriso luminoso, sperando forse di trasmettergli un po’ di gioia, ma niente da fare. Mi fa lo stesso sorriso tirato con un breve cenno del capo e se ne va. Questo posto è strano. Non avrei mai detto che quel tizio fosse un cameriere. Indossa un paio di jeans e una maglietta neri. Non è l’uniforme che mi sarei aspettata da un posto carino come questo. O il servizio. Una piccola parte di me, a disagio, pensa che forse sono io il problema. Forse a loro non piace che sia venuta qui solo a bere e studiare. Ma dall’altra parte della stanza c’è il lungo bancone di un bar. Chiudo gli occhi e scuoto leggermente la testa. Non sono io. Lo penso sempre. Devo smetterla è una cattiva abitudine. Distendo le spalle e torno a guardare lo schermo. Borbotto un’imprecazione. Il tizio dall’altro lato del corridoio mi ha distratta e non ho nemmeno chiesto la password al cameriere quando è finalmente arrivato. Cazzo, mi devo ricordare di chiedergliela quando tornerà col mio drink. Schiocco la lingua. Non mi ha nemmeno chiesto i documenti. Mi domando se inizio a sembrare vecchia. Faccio una smorfia mentre prendo in esame questo pensiero. No, non è proprio maledettamente possibile. È solo un cameriere di merda. Soddisfatta, ritorno al mio programma di studi, tiro fuori il libro di testo corrispondente e un evidenziatore giallo. Compreso questo ho tre capitoli da sottolineare e poi scriverò gli appunti. Annuisco. È un buon piano. Avrò anche cambiato scuola al secondo anno del mio dottorato, ma dovrei comunque riuscire a sfornare tutti e tre i corsi di questo semestre e ritornare in pari. I primi sono Biologia Molecolare e Cellulare. Faccio una smorfia. Memorizzare tutta questa roba che non userò mai più. Sarà una lunga ora di studio. Correzione. Ore. Il cuore mi sprofonda nel petto al pensiero di sprecare in questo modo la serata. Sono stufa di passare la serata in laboratorio o a studiare. Ho allontanato tutti dalla mia vita. La mia “vita sociale” consiste nel far uscire mamma di prigione e nel parlare al mio capo ricercatore della nostra ricerca. Non ho nemmeno voglia di correre dietro al tirocinio estivo che mi è stato offerto. Pensavo mi sarebbe piaciuto dedicarmi alla ricerca sul cancro, ma a questo punto le mie uniche scelte sono lavorare con le cellule o gli animali. E non mi tenta nessuna delle due cose. Non ho la più pallida idea del perché mi stia facendo un culo così per questo. Ma se mollo cosa mi resta? Senza la mia carriera ho semplicemente sprecato anni della mia vita nascondendomi dalla realtà. Questo pensiero mi deprime nel profondo. «Cosa stai facendo, tesoro?». La domanda mi fa sobbalzare e volto la testa per fissare lo stallone italiano che mi ha colto di sorpresa. Ascoltare la sua voce mascolina e osservare i suoi muscoli scolpiti contrarsi mentre si sposta per sedersi di fronte a me nel separé riporta indietro quel desiderio iniziale a tutta forza. Il mio basso ventre si scalda e stringo le cosce. Cavolo. I suoi muscoli sono duri come roccia e non c’è un grammo di grasso sul suo corpo. I suoi occhi scuri mi trafiggono, distolgo lo sguardo e maledico i miei ormoni per avermi resa così eccitata. Non è giusto, cazzo. Sento il profondo desiderio di scacciare le frustrazioni scopando. Non ho bisogno del sesso. Non l’ho mai fatto, mai scopato, ma nessuno ha bisogno del sesso. Mi mordo le labbra e abbasso le spalle mentre vengo invasa dal dubbio. Come cazzo faccio a sapere se mi avrebbe aiutato? Non ho mai avuto il coraggio di arrivare fino in fondo. Non riesco a credere che quest’uomo sia seduto con me, ma allo stesso tempo non voglio che ci provi. Sono sicura che stia solo cercando di rimorchiare e non ne ho il tempo. Devo mettermi in pari con gli studi così da non restare ancora più indietro. Ma mi ritrovo a squadrare il suo corpo nello stesso modo in cui immagino lui farebbe col mio. La maglietta bianca è tesa sui suoi muscoli. Il mio sguardo scatta a incontrare il suo, mentre mi accorgo in ritardo che lo sto fissando. Arrossisco e mi si chiude lo stomaco. Porto nervosamente i capelli dietro le orecchie e mi lecco le labbra. Abbasso gli occhi e mi concentro sulla tovaglia bianca per un momento. Mi schiarisco la gola e raduno il coraggio per guardare negli occhi il signor Fusto. «Devo studiare». Sono sorpresa di aver trovato il coraggio di dire qualcosa e che la mia voce fosse quasi ferma. Ma vorrei non essere stata così sdegnosa; mi è uscito un po’ più conciso di quanto avrei voluto. Non voglio che pensi che sono una stronza. Non è quello. Sono solo a disagio e ho davvero bisogno di studiare. «Come ti chiami?», mi chiede. «Elle», gli rispondo velocemente cercando di tenere ferma la voce. Ma strillo leggermente a causa dei nervi. Cazzo! Sembro un cavolo di topo stridulo. Sono una donna adulta, maledizione! Mi schiarisco di nuovo la gola e vorrei che il drink fosse già qui. I capelli mi ricadono in avanti e allungo nervosamente la mano per rimetterli a posto e prendere fiato. È una cattiva idea. Non sono stupida, devo fermare questa stronzata. Vuol dire guai con la “G” maiuscola e io non sono nelle condizioni di gestirlo. «Io sono Vince. Cosa stai studiando, tesoro?». Vince. Mi piace questo nome, gli si addice. Prendo in considerazione l’idea di rispondergli, ma vuole solo infilarsi dentro le mie mutande. E io ho bisogno di studiare. Lo so, eppure non posso fare a meno di essere nervosa ed eccitata. Sono stata triste per tutta la dannata settimana. Odiando la mia vita. Odiando come lascio che mia madre mi spinga a rinunciare a quanto di buono ho per essere la sua roccia. Proprio come fa sempre. È da molto che non faccio qualcosa per me. Mai niente di incauto. Solo perché lo volevo. Sarebbe poi così male? Sarebbe così sbagliato flirtare un po’? Flirtare. Stringo le labbra. Non so nemmeno come si fa. E quindi, sì, sarebbe una cattiva idea.
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