Prologo

517 Words
Prologo Da qualche giorno i francesi avevano permesso a Milano di sollevare la testa, la città era esausta dai saccheggi selvaggi e dal sangue versato, le truppe di Francesco I, dopo la sconfitta per mano degli imperiali, erano ancora più inferocite. Il duca Francesco II Sforza, ultimo figlio di Ludovico, non fu all’altezza delle strategie e dell’abilità militare del Moro, il popolo si sentiva orfano e abbandonato, piegato da un vento di guerra che soffiava furioso. Nella stanza dove dormiva Salaì con la moglie filtravano strisce di luce d’argento, le grida dei soldati erano l’unico suono di quella notte infinita di luna piena. Giovanni Giacomo Caprotti, per tutti il Salaì, si era barricato in casa. Gli uomini dello Sforza lo cercavano per vendicarsi del suo tradimento: aveva già venduto al re di Francia molti beni ereditati dal suo maestro Leonardo, tra cui il quadro della Gioconda, e altri dipinti dal valore di milleduecentocinquanta scudi, una cifra considerevole alla quale si aggiungeva il valore di pietre preziose e vestiti di lusso. Come se non fosse bastata tanta ricchezza, il nome di Salaì compariva nel registro degli assegnatari di lauti doni e benefici ricevuti dalla Corona francese. La sua sposa gli si era raggomitolata accanto soffocando il pianto, la accarezzò sfiorandole appena la spalla e le baciò la fronte in un gesto istintivo mentre lei chiudeva gli occhi. Salaì stava male, non controllava più il suo corpo e la sua mente. Gli ultimi dolcetti mangiati contenevano delle droghe, ormai ne era dipendente. I pensieri e i suoni si deformarono; come salvare il diario che era riuscito a togliere dalle mani di Francesco Melzi? ragionare era difficile. Melzi era arrivato alla bottega di Leonardo molti anni dopo Salaì dimostrandosi il più dotato e affidabile tra gli allievi, il maestro lo scelse per affidargli la sua eredità intellettuale. Alla ricca bibliografia in possesso di Melzi mancava, però, il diario in cui Leonardo dava sfogo a visioni e malinconie e su cui scriveva i pensieri più fragili e strane ricette. Il diario gli era stato sottratto proprio da Salaì, l’assistente indisciplinato, scomodo, imbroglione ma anche l’unico a cui il maestro aveva aperto l’anima, colui con cui aveva diviso tutto. I ragionamenti di Salaì scivolavano disturbati dalle grida francesi provenienti dalla strada e dal pianto sommesso della moglie. Era dilaniato dai dubbi, si chiese se fosse giusto raggiungere i Medici e consegnare gli scritti visionari di Leonardo, con la speranza che il granduca di Toscana, Cosimo il Grande, lo accogliesse con l’ospitalità che si aspetta chi per anni ha servito e assistito il più rivoluzionario artista d’Italia; o forse continuare le trattative con la Francia era meno pericoloso? Dalla strada qualcuno lo chiamò: “Vieni fuori, cane! Venduto ai francesi!” L’effetto delle droghe e l’orgoglio ferito lo fecero reagire, prese il coltello che si portava sempre dietro e, barcollando, scese in strada con uno sguardo folle. La moglie tra i singhiozzi pregava Santa Chiara di salvare anche quella volta il suo Giovanni Giacomo. Il tuono di uno schioppo e l’urlo straziante del marito le fecero capire che la Santa non l’aveva ascoltata.
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