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MICK
Giro su me stesso, sentendomi come un ragazzino che ha appena avuto in regalo l’edizione completa dell’Enciclopedia Britannica la mattina di Natale.
Questo campus è molto più bello che in foto e, se l’aspetto esteriore ne rispecchia l’essenza, adorerò stare qui. Ci sono un prato lussureggiante, edifici in mattoni rossi e lampioni su cui sono segnate tutte le classi di laureati dal 1915 in poi. Gli edifici che ospitano i dormitori hanno la mascotte della scuola, un giaguaro, appeso alla finestra, e gli studenti punteggiano ogni parte del cortile interno con libri colorati, laptop e coperte.
E questo è solo ciò che ho visto finora. Ho studiato attentamente ogni catalogo dei corsi della Salem Walsh University per mesi e, quando è arrivato il momento di mettere insieme il programma, ho aggiunto anche i crediti più difficili dell’offerta formativa.
La maggior parte dei ragazzi qui probabilmente non avrebbe fatto lo stesso sovraccaricando il programma di lezioni con più crediti di quelli permessi, ma io ho ottenuto un’autorizzazione speciale. Non solo sono uno studente appena trasferito, ma sto provando a laurearmi entro il prossimo autunno, con un semestre estivo extra. Considerate le mie particolari circostanze personali e il percorso che voglio intraprendere nella mia carriera, l’amministrazione della Salem Walsh è stata d’accordo nel farmi fare ciò che volevo.
Vedete, è stato imbarazzante e problematico dire alla gente dove sarei andato al college durante l’ultimo anno di liceo. Con il mio punteggio e il voto al test di ammissione, sarei potuto entrare in qualunque università della Ivy League. Sfortunatamente, quando sei il figlio di un padre disabile e di una madre che fa tre lavori per pagare le bollette, semplicemente non è nelle tue possibilità.
Così, ho frequentato i primi due anni all’università statale poco distante da casa mia, il Community College, per avere la possibilità di occuparmi di mio padre mentre mia madre lavorava e assicurava un tetto sulle nostre teste. Sei anni fa, hanno diagnosticato a mio padre la SLA, dopo che le funzioni manuali hanno cominciato a ridursi. Apprenderlo è stato un trauma per tutti noi, dopotutto, mio padre era il tipo di persona che correva le maratone. Era sano, in forma. Non era il tipo a cui capita una malattia che ti cambia la vita.
Sei anni dopo è inchiodato a una sedia a rotelle e biascica così tanto quando parla che la maggior parte del tempo sceglie di non parlare affatto. Era vitale che io stessi a casa quei due anni, per dargli da mangiare, cambiarlo, aiutarlo con le sue medicine e praticamente fargli da badante a tempo pieno.
Poi finalmente, dopo tre anni di attesa, richieste scritte e suppliche rivolte alle persone giuste, hanno approvato l’assistenza domiciliare a tempo pieno.
Questo significa che posso frequentare un college vero. All’università statale avevo già superato la maggior parte dei corsi richiesti grazie ai miei crediti AP, i crediti per il college guadagnati ancora prima di cominciarlo. Mi ha dato un vantaggio e mi ha permesso di frequentare i corsi di secondo anno mentre ero matricola, poi ho continuato su quella strada. Adesso, come studente al primo semestre alla Salem, potrò frequentare le lezioni dell’ultimo anno mentre sono iscritto al terzo, continuare i corsi durante l’estate e laurearmi a settembre.
Quindi, se tutto va bene, essere iscritto alla scuola di Medicina entro dicembre. Avevo un piano, uno che aveva preso forma il giorno in cui a mio padre era stata diagnosticata la sua malattia, e non avrei rallentato per niente al mondo.
Attraverso il campus e scorgo l’edificio che sto cercando. Monmouth Hall, il mio dormitorio.
Ci sono tre rampe di scala e sei porte prima che possa bussare al posto che chiamerò casa per i prossimi nove mesi.
«È aperto!» urla qualcuno, poi sento un mucchio di borbottii.
Spingo la porta, con una certa esitazione, e con mia sorpresa non vengo colpito dal fetore di m*******a. Esalo un sospiro di sollievo e apro di più l’ingresso per rivelare una stanza comune. C’è un ragazzo, seduto su una poltrona da gamer, che mi ignora completamente in favore delle sue cuffie mentre urla a qualcuno sullo schermo. Guardo il gioco, vedo che è impegnato con Call of Duty, quindi poso delicatamente i miei bagagli sul pavimento.
«Ehi, sono Mick Barrett, il tuo nuovo coinquilino?» Suona come una domanda, ma vabbè.
Il tizio, smilzo con una barba bruna sotto il mento e la testa rasata, mi rivolge uno sguardo e poi preme furiosamente il comando di controllo, sparando proiettili sul televisore.
Un’altra persona esce da quello che sembra un piccolo cucinino.
«Ehi, chi è questo?» chiede un ragazzo basso e tarchiato che indossa una maglietta con la scritta “Baciami, sono irlandese” a quello seduto nella poltrona da gamer.
Allungo la mano, «Mick Barrett, il tuo nuovo coinquilino.»
«Il tuo nome è Mick Barrett? Non ti si addice per niente.» Scuote la testa e non mi stringe la mano.
Me lo sono sentito dire spesso nella mia vita e non dissento.
«Mio padre era un fan del rock e, dato che il nostro cognome è Barrett, non poteva andare meglio di così. Hai presente Syd Barrett dei Pink Floyd? È tipo uno dei suoi eroi. E poi era anche un grande fan di Mick Fleetwood e di Mick Jagger, così ha convinto mia madre a chiamarmi Mick. Che ne potevano sapere che avrebbero avuto il figlio nerd meno rockettaro nella storia dell’umanità.»
Il ragazzo sul pavimento mette in paura il gioco. «Bello, mi piacciono i Pink Floyd. Io sono Martin, quello è Rodney e Paul sta dormendo da qualche parte. O forse è in biblioteca, non me lo ricordo.»
Annuisco. «Piacere di conoscervi ragazzi. Non avevo capito che questa fosse una suite.»
«Sì, abbiamo tutti la nostra stanza, anche se i letti sono scomodi da morire. Abbiamo una tabella con i turni delle pulizie, qualcuno pulisce il bagno o la cucina tutte le settimane perché non sono uno che sopporta lo sporco. Spero ti vada bene,» dice Martin.
«Per me va bene, preferisco che le cose siano pulite.» Ringrazio la mia buona stella per aver beccato dei coinquilini decenti.
Beh, chi lo sa se sono decenti, ma almeno non lasceranno i peli della barba nel lavandino del bagno o latte rancido nel frigorifero. Con qualunque altra cosa, probabilmente posso convivere.
«Voi ragazzi siete del secondo anno?» chiedo, sapendo che probabilmente sono uno dei più vecchi tra quelli che risiedono nei dormitori.
Rodney annuisce. «Sì, stiamo cercando una casa fuori dal campus per il prossimo anno, la madre di questo qui non ce lo ha lasciato fare quest’anno.»
Dà un pugno sul braccio a Martin e l’amico fa una smorfia. «Comunque, significa che mangiamo ancora nella mensa.»
«Tu sei del terzo anno? Uno studente trasferito, giusto? Penso di avere perso il pezzo di carta che ci hanno dato su di te.» Rodney scrolla le spalle.
Annuisco. «Sì, terzo anno, ma sto cercando di laurearmi in anticipo. Vi dispiace farmi vedere la mia stanza così disfo i bagagli?»
Per essere due ragazzi che conosco a stento, sembrano molto gentili. Gli piacciono i video games, cosa che posso condividere, e le magliette con frasi spiritose, quindi penso che andremo d’accordo. Mi mostrano la camera, in fondo alla suite. È piccola, c’è solo un letto singolo, una scrivania e un cassettone, ma andrà bene. È la prima libertà che mi godo lontano dai miei genitori in quasi ventun anni, quindi è più che sufficiente.
Dopo aver riposto la maggior parte dei vestiti nei cassetti ed essermi rifatto il letto, sento lo stomaco brontolare.
Vado nel soggiorno dove incontro quello che immagino essere Paul, il mio terzo coinquilino.
«Dov’è che posso farmi un buon sandwich?» chiedo.
«Possiamo andare al Pub. Costa un po’, ma è meglio della mensa. Dovresti farti un buon pasto prima di passare a quella merda che servono nella caffetteria.» Paul prende le chiavi di casa.
Li seguo, eccitato all’idea di fare un giro nel nuovo college con un gruppo di semi-amici.