2.-1

2048 Words
2. Un rumore di tacchi, attutito. Il fruscio delle tende che venivano aperte. Luce. Ees socchiuse gli occhi, sbatté le palpebre. «Buongiorno, vostra altezza» cinguettò una cameriera. Ees sbadigliò e si stiracchiò. Era nella stanza da letto di Vran, naturalmente. C’era un bel calduccio, sotto alle coperte. Suo marito, però, non era lì. Si rese acconto che la sua camicia da notte era ancora stesa sopra al copriletto. La prese con una mano e iniziò a infilarsela. Alla cameriera quel gesto non sfuggì, ma fece finta di non averlo visto. Ees scese dal letto e andò verso la stanza da bagno. «Portami il mio vestito azzurro, va bene?» disse alla cameriera. «E della biancheria nuova». Quando tornò in camera si accorse che il lenzuolo inferiore aveva delle macchioline di sangue. «Cambia anche le lenzuola» disse alla cameriera. Andò verso le sue stanze, che erano collegate a quelle del marito da un breve corridoio. Erano simili anche nell’aspetto, però con dei colori più tenui, meno severi. La ragazza la seguì poco dopo. Prese il suo abito azzurro, la aiutò a indossarlo, la pettinò e le acconciò i capelli. Ees si guardò nello specchio. Quindi ora era la moglie del re. Be’, del principe, dato che Ror era un principato. Fino al giorno prima era stata la figlia di un altro re; non era poi molto diverso, supponeva. Vran sembrava una persona tranquilla, persino piacevole, in privato. Era stato attento a partire nel migliore dei modi, con lei, ma senza coinvolgerla in niente che non fosse la loro relazione personale. Non aveva detto una parola sui suoi impegni di quel giorno, sulla condotta politica che doveva adottare Ees, su amicizie da coltivare o non coltivare. Si era limitato a fare quello che ci si aspettava che facesse e, per essere onesti, l’aveva fatto in un modo che a Ees era piaciuto molto. Nient’altro. «Puoi vedere se lady Rosemar è libera?» chiese alla cameriera, appena ebbe finito di prepararla. «Sì, vostra altezza» rispose la ragazza, con un mezzo inchino. Conosceva Rosemar da molti anni. Figlia di un nobile minore, era stata la sua dama di compagnia da quando erano entrambe poco più che bambine. Ees la considerava la sua migliore amica. Arrivò poco dopo. Indossava un abito da mattina bianco e color lavanda e aveva i capelli biondo scuro legati stretti sulla nuca. Ees le andò incontro sorridendo. «Speravo proprio che fossi già in piedi!» le disse. L’altra ridacchiò. «Sono in piedi da ore. Sei tu che hai poltrito finora. Io passeggiavo su e giù, impaziente!». Risero entrambe, prima di sedersi attorno a un tavolino. Ees chiese che venisse portata la colazione. «Insomma, tutto molto privato, molto segreto... le voci stanno già facendo il giro del palazzo!» disse Rosemar, con aria deliziata. «Sì?» chiese Ees, anche se immaginava benissimo. «Ce ne sono state già due o tre. La prima subito... a quanto pare, Vran Elisium ha comunicato il cambiamento delle usanze ieri l’altro sera, in pratica dopo averti vista» rise Rosemar. «Quindi molti hanno pensato che non si fosse reso conto di quanto tu fossi divinamente bella e...» «Divinamente bella? Mi piace, continua» sorrise Ees. L’altra aggrottò leggermente la fronte. «Be’, la tempistica è stata sospetta. Poi, però, durante la serata, si è detto che forse sua altezza non si sentiva molto sicuro di sé. Dato che non è un ragazzino e tutto il resto...» Ees si limitò a inarcare le sopracciglia. «Non fare quella faccia!» la rimproverò Rosemar. «Ci stavo arrivando: le voci di questa mattina. La principessa Ees tutta nuda nel suo letto, con chiari segni di una nottata travolgente. È stata travolgente?». «Non lo so. Diversa da come me l’aspettavo» rispose l’altra, pensierosa. «Di certo molto ben organizzata. Vorrei davvero capire come ragiona Vran. Per il momento è impenetrabile». «Essere impetrabile è il suo lavoro, cara» le fece notare Rosemar. «Totalmente impenetrabile, sai? Come se ci fosse una porta, proprio dietro i suoi occhi, e quella porta fosse sempre chiusa. Tranne...» L’altra fece un’espressione speranzosa, quasi avida. Ees rise. «No, anche in quei momenti, la porta è sempre chiusa. Parlavo di qualcosa di diverso. Come se a volte volesse che tu veda qualcosa. Allora te la mostra, per un secondo. Ma non riesci a capire che cosa sia, con esattezza. Cioè, se sia qualcosa di vero o se sia qualcosa che vuole solo farti vedere, appunto». «Non ci ho capito niente» ammise Rosemar, delusa. «Vuoi dire che ha quell’aria così indifferente anche durante... sai?». «Mh? Sì, in un certo senso. Non è sgradevole. Ti osserva, diciamo. Ti osserva tutto il tempo, distaccato. Se è per questo non mi aspettavo di... non so. Suppongo di non poter giudicare, dato che non ho avuto altre esperienze dirette, ma è stato... coinvolgente. Molto piacevole. E, be’... l’età ha almeno un vantaggio, probabilmente. Mi faccio domande su tutto il resto». Rosemar sospirò. «Oh, ma me lo devi raccontare. Potrebbe essere la cosa più vicina al farlo che proverò mai». Ees sorrise. Rosemar era la sua dama di compagnia. Non era previsto che si sposasse, anche perché la sua famiglia non poteva certo fornirle una dote degna di questo nome, ma ne avevano già parlato. «Ti ho già detto che non è così. Ti ho già detto che ti dimostrerò tutta la mia riconoscenza, se troverai qualcuno... Non voglio intrappolarti accanto a me, per quanto la tua compagnia mi sia cara». L’altra si strinse nelle spalle, come a dire che non aveva importanza. Poi si chinò verso di lei, con il viso illuminato dalla curiosità. «Insomma, com’è?» chiese, ridendo. Rise anche Ees. Poi cercò di descriverlo meglio che poteva. +++ Avevano pranzato insieme, con tutta la corte. Un pranzo formale, durante il quale avevano scambiato convenevoli asettici e cortesi. A Ees era sembrato di non esserci nemmeno. Il pomeriggio era stato quasi interamente occupato dalle visite. Nobildonne su nobildonne, da sole o a gruppetti. Alla sera, una cena formale quanto il pranzo. Suo marito l’aveva informata di doversi trattenere a parlare con il suo segretario, dicendole che l’avrebbe mandata a chiamare più tardi, se per lei andava bene. Ees aveva acconsentito dolcemente. Era rimasta nei suoi appartamenti, leggendo un vecchio libro e chiedendosi se la sua vita sarebbe stata tutta lì: chiacchiere vacue con persone troppo accondiscendenti e lunghe serate a leggere. Vran la mandò a chiamare dopo la mezzanotte. Ees sospirò e andò da lui. Era seduto allo scrittoio, con delle carte davanti. Si voltò a metà, al suo ingresso. Il suo valletto, in piedi accanto a lui, si inchinò profondamente. «Spero che tu abbia passato una buona giornata» le disse, posando la penna. Passò un fascio di carte al suo valletto. «Ecco, porta queste nel mio studio. Mentre vai, chiama una cameriera». «Una buona giornata, grazie. Com’è stata la tua?». Lui si alzò per andarle incontro. «Oh, sai, il solito. Riunioni, scartoffie. Ah, bene, Coria. Aiuta la principessa con il vestito, per favore, stiamo per andare a dormire». Coria, la giovane che quella mattina l’aveva svegliata e pettinata, la accompagnò dietro a un paravento. «Devo ancora ambientarmi» disse lei, mentre si cambiava. «Non so quasi niente di Ror, solo quello che ho letto. Non voglio essere lontana da tutto, voglio capire il posto in cui vivo». Vran non rispose. Un istante dopo, Ees vide il suo viso spuntare oltre il paravento. La cameriera saltò quasi indietro. Lui le fece segno con la testa che poteva allontanarsi. Ees finì di sfilarsi il corpetto. Non le dava alcun fastidio che lui la guardasse. Era così distante che era come se fosse un quadro. «Dunque vuoi capire, vuoi esserci» disse, pensieroso. «Non è quello che ci si aspetta da te, lo sai?». Ees prese la camicia da notte. Suo marito girò attorno al paravento, gliela tolse di mano e l’appoggiò su una sedia. Era in camicia e pantaloni, vide lei. In quanto a lei, era nuda e adesso iniziava a essere leggermente a disagio. Vran le posò entrambe le mani sui fianchi. «Il tuo compito è darmi un figlio, organizzare feste, coltivare amicizie innocue». Ees si appoggiò contro di lui. «Il tuo compito è essere bella e pura, senza essere pura davvero. Essere il mio giocattolo per la notte e il giocattolo della corte durante il giorno». «Ma di certo...» mormorò lei. Si interruppe, sospirò appena. Vran le stava accarezzando un seno con il distacco che avrebbe riservato a una bella statuetta. Nonostante questo, il suo capezzolo si era indurito come se fosse diventato di marmo. «È quello che desideri?» finì per chiedere. «Gli affari del regno hanno portato via quasi tutto il mio tempo» rispose lui, senza rispondere. Ees iniziò a slacciargli la camicia. Il suo petto magro, quasi glabro, pallido. Si chinò a baciarlo. «Che cosa significa, Vran?». «Significa che mi serve un figlio, Ees. E poi me ne serve un altro, per sicurezza. E magari anche un terzo. E tu sarai la persona che li porterà al mondo, cercando di sopravvivere loro, ma mai permettendosi di mettersi al di sopra di loro. Lo capisci?». Ees si inginocchiò davanti a lui e Vran inarcò appena le sopracciglia. Lei gli slacciò i pantaloni. Il problema era che desiderava vederlo. Al di là delle considerazioni che intendeva fare, in quel momento voleva vederlo. E assaggiarlo. Mentre aspettava che lui la chiamasse si era chiesta che sapore potesse avere, e che aspetto. Aveva ripensato alle parole della sua istitutrice ed era giunta alla conclusione che voleva succhiarlo, che ce ne fosse bisogno o meno. Per provare. Lui sorrise appena, divertito per motivi impossibili a dirsi, e si liberò dell’indumento. Ees, in ginocchio davanti a lui, lo guardò. Era... in quel momento non era un granché. «Dovevo pensarci» disse lui, leggermente divertito. «È questo che volevi vedere?». Ees annuì appena, interdetta. Allungò la testa verso quel... come dire? “Virilità” non sembrava appropriato, in quel momento. L’altro rise silenziosamente. «Non negherò che sia una situazione interessante». Ees sbatté le palpebre, mentre la cosa che aveva davanti agli occhi cambiava. Si drizzava, diventava più grande e più dura. «Forse non volevi solo guardare?» disse Vran, con espressione ininterpretabile. Ees deglutì. Aveva i capezzoli duri come pietra, ora, e si sentiva molto bagnata tra le gambe. Respirava più velocemente e non pensava con chiarezza. «Volevo... ecco» disse. Deglutì di nuovo. «Mi hanno detto... volevo assaggiare il tuo... la tua virilità, diciamo». Vran si appoggiò una mano sopra la bocca e negli occhi gli passò un guizzo che Ees non riuscì a interpretare. Divertimento, forse, ma non proprio... «Se vuoi essere volgare, puoi chiamarlo cazzo. Mazza. Nerchia. Minchia. Batacchio. Uccello. Fava. Verga. Non so neanch’io. Se vuoi essere distinta, puoi chiamarlo membro o pene. Ma virilità no, per favore. E se vuoi assaggiarlo ti consiglio di prenderlo in bocca». Le posò una mano sulla guancia e la fece scivolare fino alla mandibola. Ees aprì la bocca e si ritrovò il suo, be’, cazzo, proprio di fronte. Lo leccò sulla punta. Aveva un sapore leggero, salato. Prese tutta la punta in bocca, come le avevano consigliato di fare. Scese lentamente verso il basso. Non sapeva bene come comportarsi. Vran si scostò e le fece segno di rialzarsi prima che lei potesse continuare. «Un’altra volta, va bene?» disse. Le accarezzò la schiena e le natiche. «Non voglio venirti in bocca». Ees si voltò a guardarlo. Giusto, pensò, capendo che cosa intendeva. Dovevano avere un figlio. «Sì, non volevo...». Si interruppe e sospirò. «Poi avresti potuto metterlo, ehm. Hai una lista di termini anche per la mia femminilità, suppongo». «In effetti» sorrise lui. «Figa, fichetta, fregna, patata, micetta, fessa, mozza, sorca, topa... boh. Ma se vuoi essere educata puoi chiamarla v****a o vulva, capirò». «Ecco» assentì lei. «Non era mia intenzione negarmi». Lui non sembrava così interessato. «Vieni» le disse. La accompagnò fino al letto e la spinse giù. Fu veloce. Ees si chiese se fosse irritato, ma non trovò una risposta. Il suo viso era impossibile da leggere, per lei. La spinse sulle coperte, le fu sopra e poi dentro, come uno strappo. Ees ansimò. Si inarcò verso di lui, aggrappandosi alla sua vita, mentre la riempiva con il suo cazzo e glielo sbatteva dentro senza nessuna delicatezza. Solo carne che la penetrava con forza, facendola gemere e ansimare. Di nuovo, dolore e piacere, ma questa volta in una forma diversa, più solida, più corporea. C’era del sudore, questa volta. Le luci erano tutte accese e illuminavano ogni dettaglio. La pelle diafana di lei, quella più coriacea di lui. Ogni grinza, ogni vecchia cicatrice, la vena sulla sua fronte, quasi invisibile. Ees sentì il piacere che arrivava, inarrestabile. Sentì la propria fica, dunque, che si contraeva attorno al cazzo, dunque, di lui. Emise un lungo gemito strozzato, Vran boccheggiò poco dopo. Ees sentì il suo liquido dentro di sé. Lui rimase fermo per un istante, prima di uscire lentamente. Ees si sentiva bruciare, ora, e provò a chiudere le gambe. Vran non glielo permise e si stese di nuovo sopra di lei. Il suo peso la schiacciava sul letto, ma lei si adattò. Gli circondò la vita con le braccia. Lo sentiva, morbido, tra le proprie gambe. Le bruciava tutto, là sotto.
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