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1871 Words
Vran accostò la bocca al suo orecchio. «Non è un mutuo accordo. Io ti ho comprata, Ees. Ti ho comprata per intero, perché è così che usa, ma mi serve solo il tuo grembo. Non voglio che tutto il resto ne soffra, non sono privo di cuore, ma se succederà...». Ees lo sentì indurirsi di nuovo. Cercò di spostarsi, ma nello stesso tempo sentirlo diventare duro contro l’apertura della sua fica le aveva fatto desiderare che ricominciasse. Era ambivalente, in merito. Le bruciava ancora, ma si stava anche bagnando. Vran entrò nuovo dentro di lei. Senza preamboli. Grande, duro, veloce. Era quasi intollerabile e, nello stesso tempo, era piacevole, più che piacevole. Si sentì ansimare. Lui le strinse un seno, facendola gemere più forte. «Ho aspettato qualche anno. Non volevo una bambina, eppure la sei, non puoi non esserla. E sono arrabbiato, Ees, di doverti piantare dentro mio figlio con le buone o con le cattive. Sono arrabbiato di doverti scopare tutte le sere finché non ti ingrosserai». Ees si aggrappò alle sue spalle e gemette rumorosamente. Non poteva evitarlo, anche se la stava infilzando senza nessuna gentilezza, mormorandole parole sprezzanti nelle orecchie. Gli allacciò le gambe attorno alle gambe, mentre lui le stringeva un seno fino a farla gemere. «E riesco quasi a sentirti che godi nonostante tutto... ti prego, continua... ma non ho nessuna alternativa». Ees urlò, mentre lui finiva per la seconda volta. Si voltò su un lato. Era dolorante. Le bruciava tutto e si sentiva gonfia. Non sapeva perché avesse provato piacere. Vran si lasciò cadere al suo fianco, sopra alle coperte, sudato e con il respiro accelerato. «Che cosa volevi?» gli chiese lei. Prese una delle sue mani e se la portò su un seno. Il capezzolo le doleva ancora, dove lui l’aveva strizzato. Vran la accarezzò distrattamente, senza rispondere. «Che cosa volevi? Una donna vecchia e sterile? Una moglie brutta e spaventata?». Lui sorrise appena. «Ecco, forse. Forse una moglie brutta e spaventata mi avrebbe fatto venir voglia di consolarla, di risarcirla. Avrei potuto prenderla per mano e dirle... siamo sulla stessa barca, tu e io». «Ah, ma non hai risposto» lo sfidò lei, picchiettando sul suo petto con l’indice. «C’è un’altra, giusto? Dopo tutto, c’è un’altra, che però non può darti figli. Quindi ecco l’accordo politico, il giovane grembo, la bambina da appoggiare in un angolo e da montare alla sera». Non sapeva nemmeno lei da dove le fosse uscito tutto quel livore. Forse le bruciava solo che l’avesse fatta godere senza nemmeno volerlo. Lui aprì la bocca, ma non rispose. «Ho ragione, eh? E non puoi sopportare che mi piaccia quando mi possiedi, perché così finisce per piacere anche a te e questo che cos’è... tradimento? Chi stai tradendo, Vran? Chi vedi quando sei sopra di me?». Mentre lo diceva, fu lei a salirgli sopra. Lui la guardò in silenzio. Ees gli prese le mani e le guidò sopra di sé. Si inarcò ostentatamente, aprendo appena la bocca. «Chi è che non vedi?» aggiunse. «Dannazione» borbottò lui. Ancora una volta, lo sentì che diventava duro. La fica le faceva male, perché continuare? Solo per provare il suo punto? Ees si sollevò appena e gli si sedette sopra, attorno. Bruciava come fuoco. Ma, d’altronde, era in fiamme, quindi tutto tornava. Quell’uomo la infiammava di piacere. Non le era mai successo e non sapeva che cosa fare, ma non sarebbe rimasta passiva. «Ecco l’austero e anziano regnante» disse, sarcastica. «La terza volta, questa sera. Per dovere, mai per piacere. Perché lo vuole lo stato, mh?». «Stai zitta». «Non sto zitta» ribatté lei. Iniziò a muoversi. Goffamente, dato che non l’aveva mai fatto. «Non sto zitta» ripeté. Ogni affondo era come una frustata. Bruciante, ma anche eccitante. Ees era di nuovo bagnata, anche se non bastava. Continuò ostinatamente a sedersi sull’erezione dell’altro, sentendolo ogni volta come un paletto ardente. Iniziò ad ansimare e a gemere, perché non poteva resistere in silenzio a quell’agonia, a quel piacere. Vran la prese per le natiche, la rivoltò e continuò al suo posto. Velocemente, bruscamente. «Allora fammi sentire» le disse. Ees gemette. Ansimò. Poi gridò, quando sentì troppo male, e scalciò e si irrigidì. Cercò di spingerlo via, singhiozzando, quasi senza voce, «No». Suo marito affondò di nuovo dentro di lei come un coltello caldo, poi osservò il suo viso, aggrottò appena la fronte e si fermò del tutto. Ees, con gli occhi dilatati, si limitava a guardarlo, come congelata. Vran si sfilò lentamente. Le accarezzò il lato del viso. «Mi dispiace» mormorò. Lei scosse la testa, come ridestandosi. Scattò indietro, verso la testiera del letto, con le ginocchia strette al petto. «Non ti avvicinare» gli disse. Avrebbe voluto mettersi qualcosa di fresco tra le gambe. Le sembrava di bruciare. Era gonfia e indolenzita. Lui rimase fermo dov’era. «Ora parlami» gli ingiunse Ees. «Chi è lei? Dov’è? Devo saperlo, per potermi difendere». Suo marito scosse la testa. «Sotto terra. È morta e sepolta, Ees, da un mucchio di anni». «Allora devi seppellirla anche tu» non si lasciò intenerire lei. Le faceva ancora troppo male. Tra le gambe, ma quello era il meno. Le faceva male all’altezza del cuore. «Non posso competere con i morti. Non è una questione di età. Ti fa arrabbiare quando godo, come hai detto tu? O ti fa arrabbiare quando godi tu, con questa bimba che non può competere con i morti?». «Mi dispiace» ripeté lui. «Che cos’è, una di quelle promesse? Sai, come nei libri? “Non ci sarà nessun’altra”? Qualcosa del genere?». Di nuovo, lui non rispose. Ees lo guardò duramente. «So che mi hai sposata per il mio grembo. Ti darò un figlio, se posso. Uno, due, tre. Se ieri sera, hai presente, fosse stato come... ora, sarei rimasta in silenzio, lasciandoti fare. Mi hanno educata per questo. Forse dovrei sentirmi sminuita, non so. Ma mi hanno istruita perché diventassi la moglie di un re. Mi hanno insegnato a fare cose che non ho mai potuto fare. Mi hanno insegnato a sopportare in silenzio, senza lamentarmi». «Mi dispiace» disse lui, per la terza volta. «Lo so» rispose lei. «Ieri sera, per un istante, ho visto qualcosa. Ho visto la volontà di non ferirmi, la volontà di non... come ci hai chiamate? Carne da cannone. È quello che sono». Lui chiuse gli occhi e scosse la testa. Ees aprì lentamente le gambe. «Mi brucia tutto, ma avrei continuato. Sono nata e cresciuta per questo, non prendiamoci in giro. Solo che tu puoi essere diverso. Se non vuoi mi fai paura». Vran sospirò. «Non devi avere paura di me. Almeno questo». «Non ho paura di te, Vran. Non ora. Mi piaci, persino» disse lei, toccandogli un braccio. L’altro la guardò per qualche secondo. «Sei molto bella». Ees sorrise di nuovo. «Lo so. Non è merito mio». «Le somigli» ammise lui. «Nei ritratti... non si vedeva. È come ti muovi, sono certe espressioni. Ma hai ragione. Mi comporterò rispettosamente». Sorrise appena. «Sarò gradevole. Ti intratterrò come posso. Ti concederò qualcosa di me, a parte l’ovvio. Vieni qua». Lei si avvicinò ancora e gli posò le mani sul petto. Lui la abbracciò. «Sul resto non sono sicuro» le disse. «Ti voglio osservare ancora per un po’. Non mi fido di te, politicamente. Iniziamo a produrre un erede». Ees sentì le sue mani sui capelli e la sua bocca sulle labbra. Rimase lì, a occhi chiusi, finché non si sentì pronta a stendersi accanto a lui. «Aspetta» mormorò Vran. Si alzò e uscì dalla stanza. Ees, sdraiata sul letto, aprì le gambe sperando che l’aria fresca la aiutasse. Era tranquilla, adesso. Se Vran aveva capito, ne era valsa la pena. Si trovò a pensare con un mezzo sorriso che la sua istitutrice sarebbe stata fiera di lei. Aveva anche dei lati positivi, quella donna. Poi ne aveva un sacco negativi, ma, be’... Se solo avesse smesso di sentirsi una fornace in mezzo alle gambe, sospirò, abbandonando il pensiero della sua istitutrice. Chiuse gli occhi, vinta dalla stanchezza. E quelli erano stati solo i primi due giorni di matrimonio. All’improvviso, sentì qualcosa di fresco tra le cosce. «Shh. Dormi» le disse Vran. Sentì il suo peso incurvare appena il materasso, mentre tornava tra le lenzuola. Ees riaprì gli occhi e osservò il pacchetto di stoffa gocciolante che suo marito le aveva appoggiato tra le gambe. «Ghiaccio?» mormorò. L’altro annuì. Aveva di nuovo il suo sguardo imperscrutabile e tranquillo. Lei si guardò e sbuffò. «È grottesco» disse. «Be’, mi passerà. Mi abbracci?». Vran la osservò per mezzo secondo, prima di spostarsi verso di lei. Le passò un braccio dietro alla nuca e le circondò la vita con l’altro. Ees posò la testa sulla sua spalla e gli mise una mano sul petto. Lui le accarezzò i capelli. «Quindi che cosa ti hanno insegnato, piccola Ees?» le chiese, con la bocca vicino al suo orecchio. Era anche la sua voce, pensò lei. Aveva un timbro basso e un tono calmo che ti faceva desiderare di strusciarti contro di lui. «Ti hanno insegnato a metterti in tasca il tuo futuro marito in quante notti? Due? Tre? Stai andando benino». Ees, con gli occhi chiusi e la testa sulla sua spalla, sorrise appena. «Come riassumere in poche parole quello che ho appreso in anni di addestramento? E di addestramento si è trattato, come se fossi un cane da caccia. Non avevo messo in conto che mi potesse piacere». Lui le accarezzò distrattamente un seno. «Non l’avevo messo in conto neanch’io» disse. «Che ti potesse piacere?». Vran compose dei piccoli cerchi attorno al suo capezzolo. «Che potesse piacere a te. Guardati». Lei socchiuse appena gli occhi. Non ne aveva bisogno, in realtà. Sapeva benissimo che i suoi capezzoli erano di nuovo eretti. «Non puoi sapere quanto vorrei ricominciare» ammise. «Ma credo che sia meglio che ti allontani». Vran prese il bacchetto umido e lo spostò. «Davvero, sai» mormorò lei, in tono meno convinto. Lui sorrise lievemente. «È possibile che nella tua istruzione ci sia qualche lacuna. Oltre a quella storia del non poter chiamare cazzo un cazzo e fica una fica». Si svincolò dall’abbraccio e iniziò a leccarla sui seni. Le mordicchiò i capezzoli, poi le sue labbra scesero lentamente verso il basso. Ees si tese e si inarcò verso l’alto. Era inutile. Era pronta a farsi martoriare, da lui. Lo desiderava fino a quel punto. Sentì di nuovo le sue labbra, tra i riccioli della fica. Poi la lingua. Fredda, gelida. Fredda? Si rese conto che doveva avere del ghiaccio in bocca. Be’, così era... semplicemente irresistibile. Vran la leccò proprio sopra il “bottone di emergenza” (doveva chiedergli se aveva un nome meno idiota), procurandole un lungo brivido. Ees aprì le cosce e gli posò le mani tra i capelli. Sentì la sua lingua che scorreva nella sua fessura, fresca. Era ancora gonfia e dolorante, ma non poté impedirsi di gemere. Subito dopo, avvertì qualcosa di gelido e duro, piccolo e squadrato. Ghiaccio. Vran lo fece scorrere tra le labbra della sua fichetta accaldata e più in alto, sul bottone. Ees iniziò ad ansimare forte, stringendogli i capelli. Lui la leccò ancora in quel punto meraviglioso, portandola vicina all’orgasmo. Sentì qualcosa che le entrava dentro. Non il suo cazzo, ma del ghiaccio. Un cubetto, poi un altro. L’interno della sua fica sembrò attraversato da una scossa. Pochi istanti dopo, un rivolo d’acqua le colò fuori. Vran tornò a leccarla sul bottone. Ees si inarcò ulteriormente. Vran le infilò dentro un altro cubetto e poi un dito. Un altro. Li mosse delicatamente, mentre continuava a leccarla con quella meravigliosa lingua gelida. Ees tremò. Urlò. Fu scossa dai tremiti di un orgasmo, mentre la sua fica si contraeva attorno alle sue dita e il ghiaccio le si scioglieva dentro. Vran allontanò la testa e le posò una mano sulla pancia, accarezzandola piano. «Grazie» sussurrò lei, senza aprire gli occhi, «non faceva parte dei patti». Suo marito tornò a stendersi accanto a lei, ma non troppo vicino. «Va bene» le disse. «Non faceva parte dei patti nemmeno che ti ritrovassi la fica rossa come un gambero». «E tu?» chiese lei, sfiorandolo tra le gambe. Era duro. «Domattina» sbadigliò Vran. «Sposta quella mano. Domattina ti faccio urlare».
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