CAPITOLO VII

2038 Words
CAPITOLO VII Gedeone Spilett se ne stava immobile sulla spiaggia, a braccia conserte, e guardava il mare all'orizzonte del quale si scorgeva una grossa nuvola nera salire sotto la spinta di un forte vento, indizio di una non lontana bufera. Harbert entrò nella grotta, mentre Pencroff si avvicinava al giornalista che, tutto preso dai suoi pensieri, non lo vide venire. - Avremo una pessima notte, signor Spilett - disse il marinaio.Si prepara una pioggia e un vento da far impazzire di gioia le procellarie. Spilett si volse, vide Pencroff e bruscamente gli domandò: - Secondo voi, a quale distanza dalla costa abbiamo ricevuto quel colpo di mare che ha portato via il nostro compagno? Il marinaio, che non si aspettava una domanda siffatta, rifletté un poco, poi rispose: - A quattrocento metri, al massimo. - E allora Cyrus Smith sarebbe scomparso a quattrocento metri dalla costa? - Press'a poco. - E anche il suo cane? - Anche il suo cane. - Quello che mi stupisce è che, ammettendo che l'ingegnere sia perito abbia trovato la morte anche Top, e non si trovi qui sulla costa né il corpo dell'uno né quello dell'altro. - Non c'è troppo da stupirsene, con un mare così agitato. Può darsi che le correnti abbiano portato i corpi lontano dalla costa. - E voi pensate proprio che l'ingegnere sia perito nel mare? - Lo penso. - Per conto mio, fatto tanto di cappello alla vostra esperienza in materia, trovo che questa doppia scomparsa di Smith e del suo cane ha qualche cosa di inspiegabile e di inverosimile. - Vorrei pensarlo anch'io, signor Spilett; ma, purtroppo, la mia convinzione e' un altra. Ciò detto, Pencroff entrò nella grotta, dove scoppiettava un allegro fuoco che illuminava le pareti rocciose del rifugio. Senza indugio, il marinaio si accinse a preparare la cena. Desideroso di offrire ai suoi compagni un piatto un poco sostanzioso, spiumò due tetras, li infilò sopra una bacchetta e li fece arrostire davanti alla vigorosa fiamma del focolare. Alle sette di sera Nab non era ancora tornato. Pencroff era molto inquieto per questa assenza; temeva che fosse capitato qualche brutto incidente al povero n***o o che la disperazione gli avesse suggerito qualche gesto insano. Harbert invece, dal ritardo del n***o, traeva riflessioni d'altra natura: per lui, se Nab non tornava era perché gli si era presentata qualche nuova circostanza che lo aveva consigliato a continuare nelle sue ricerche e a ritardare il suo ritorno: ora, questa nuova circostanza non poteva che essere favorevole. Infatti perché mai Nab non sarebbe rientrato se una nuova speranza non lo tratteneva fuori? Forse, aveva trovato qualche indizio, un'impronta sulla sabbia, un rottame indicatore... Forse, in quello stesso momento, stava seguendo una buona pista... Forse, era già accanto al suo padrone... Così pensava il giovinetto, e i suoi pensieri, a un certo punto, espose ai compagni, che lo lasciarono dire in silenzio. Soltanto il giornalista ebbe un cenno di consenso. Pencroff sosteneva invece che Nab, avendo spinto le sue ricerche più al di là della zona percorsa il giorno prima, non poteva essere di ritorno ancora. Harbert, in preda ai suoi presentimenti, avrebbe voluto uscire e andare incontro al n***o; ma Pencroff gli dimostrò che, con l'oscurità che era scesa e con quel tempo minaccioso, la sua sarebbe stata una camminata inutile e non sarebbe mai riuscito a rintracciare Nab. Era meglio aspettarlo nella grotta. Se l'indomani Nab non fosse stato ancora di ritorno, allora anche Pencroff si sarebbe unito ad Harbert per andare in cerca di Nab. Anche Spilett diede ragione al marinaio, e Harbert si arrese; ma due grosse lacrime silenziose gli scesero dagli occhi: tanto che il giornalista non poté trattenersi e abbracciò il generoso ragazzo. Intanto, fuori, il tempo si era messo decisamente al brutto. Un vento di formidabile violenza spazzava la costa, il mare ruggiva contro gli scogli e la pioggia precipitava in rovesci terribili, mescolata a nuvole di sabbia sollevate dalle raffiche incessanti. Anche il fumo del focolare, respinto dal vento, si abbatteva all'indietro e si perdeva nella grotta, rendendola quasi inabitabile. E così, non appena gli uccelli furono pronti, Pencroff spense il fuoco e seppellì la bragia sotto la cenere. Alle otto Nab non era ancora tornato; ma si poteva anche pensare che, sorpreso dall'uragano, avesse cercato rifugio in qualche altro buco roccioso per aspettare la fine del rovescio o, almeno, il ritorno del sole. Sempre più impossibile, comunque, uscire per andargli incontro. I tetras arrostiti erano eccellenti, e tutti li gustarono volentieri; Pencroff e Harbert, poi, stanchi della lunga camminata, fecero a essi un onore eccezionale. Finita la cena, ognuno si ritirò nel suo cantuccio, e Harbert fu il primo a cedere al sonno, disteso accanto al marinaio, davanti al focolare. Fuori, intanto, con l'avanzare della notte, l'uragano si faceva sempre più violento. Per fortuna, l'ammasso di rocce che proteggeva la grotta era tale da costituire una barriera insormontabile, per le raffiche. Eppure, qualche volta, sotto l'impeto delle ventate, qualcuno di quei graniti ciclopici pareva perfino che tremasse, e Pencroff, che ogni tanto appoggiava la sua mano sopra la parete della grotta, avvertiva come dei brividi misteriosi. Dominava allora le sue inquietudini, pensando che quelle masse rocciose non correvano alcun pericolo, anche se sentiva delle pietre staccarsi e rotolare fragorosamente sulla spiaggia. Due volte, il marinaio si alzò e venne fino all'apertura della grotta a guardare lo spettacolo pauroso dell'uragano; e tutt'e due le volte si rassicurò, e tornò a distendersi tranquillo davanti al focolare. Nonostante il fragore orrendo della bufera, Harbert dormiva profondamente, e anche Pencroff finì per lasciarsi prendere dal sonno. Soltanto Spilett restava sveglio, tormentato dall'inquietudine. Egli si pentiva di non aver accompagnato Nab. Sperava ancora, i presentimenti che avevano agitato il giovinetto erano ora passati nel suo cuore. Perché mai Nab non era tornato? E si voltava e si rivoltava nel suo cantuccio, sulla sabbia, prestando appena appena orecchio alle furie degli elementi. Frattanto i suoi occhi, appesantiti dalla fatica, si chiudevano, ma poi qualche improvviso pensiero glieli riapriva. Potevano essere le due del mattino, quando Pencroff si sentì svegliato bruscamente: il giornalista era curvo su di lui e gli diceva: - Pencroff!... Ascoltate!... Ascoltate!... Il marinaio ascoltò, ma non udì altro che gli urli del vento e i ruggiti del mare. - Il vento - disse. - No - gli sussurrò Spilett. - Mi è parso di sentire... - Che cosa? - I latrati di un cane... - Di un cane!?... - esclamò Pencroff balzando in piedi emozionato. - Sì... dei latrati... - Ma non è possibile. Nel fracasso della tempesta... - Ascoltate... ascoltate... Il marinaio stette in ascolto e, difatti, in un attimo di calma, gli parve di udire un latrato. - Avete sentito? - Sì... sì... - E' Top... Non può essere che Top - gridò Harbert che si era svegliato, e tutti e tre si lanciarono verso l'apertura della grotta. La furia del vento era tale che durarono fatica a uscire. Finalmente, riuscirono a sbucare all'aperto, ma non poterono restare in piedi che appoggiandosi contro le rocce. Guardavano, ma non potevano parlare. Il buio era fittissimo; mare, cielo e terra tutto era fuso in una eguale tenebra profonda. Per qualche minuto, tutti e tre stettero in ascolto, schiacciati dal vento, sotto la pioggia, accecati da turbini di sabbia; poi ancora sentirono quei latrati lontani. Sì, non poteva essere che Top. Ma dove era mai? E chi lo accompagnava? Doveva essere solo, perché se Nab fosse stato con lui, si sarebbe affrettato a correre verso la grotta. A un certo punto, Pencroff strinse una mano del giornalista, come per dirgli «aspettate», e rientrò nella grotta; e poco dopo ne uscì con un grosso legno infiammato che buttò nelle tenebre davanti a sé, accompagnando il gesto con dei fischi acutissimi. A quei fischi, i latrati ripresero, più vicini, sempre più vicini, e alla fine un cane piombò in mezzo a loro e corse dentro la grotta. Pencroff, Spilett e Harbert lo seguirono, buttarono legna secca sul fuoco, un'altra fiamma crepitò e divampò illuminando l'antro... Sì, era Top, il magnifico anglo-normanno dell'ingegnere, velocissimo e gagliardo, finissimo di fiuto e resistente. Ma era solo! Né l'ingegnere, né il n***o lo seguivano! Ma come mai il suo istinto aveva potuto condurlo fino alla grotta che egli non conosceva? E in una notte così buia e tempestosa, per giunta? Particolare ancora più misterioso, Top non appariva né stanco né disfatto e nemmeno insudiciato di mota o di sabbia. Harbert se lo era preso vicino e lo accarezzava; il cane si lasciava fare e fregava il suo muso contro il braccio del ragazzo. - Se si è trovato il cane, troveremo anche il padrone - affermò il giornalista. - Dio lo voglia! - esclamò Harbert. - Andiamo. Top ci guiderà. Questa volta, nemmeno Pencroff fece la più piccola obiezione. L'arrivo di Top poteva dare una smentita alle sue pessimistiche congetture. - Andiamo - disse con risolutezza. Coperta con cura la bragia, il marinaio, seguito da Harbert e dal giornalista, uscì nella notte dietro il cane che pareva esortare gli uomini ad affrettarsi con i suoi brevi latrati. La tempesta aveva allora raggiunto il suo acme. La luna, che si era fatta in quei giorni, non riusciva a filtrare nemmeno un fil di luce traverso le nuvole. Arduo era tenere una direzione precisa, ed era meglio lasciarsi condurre da Top. Spilett e Harbert camminavano dietro il cane, il marinaio chiudeva la marcia. Non si poteva parlare, la pioggia non era forte perché veniva polverizzata in aria dall'uragano, ma la furia dell'uragano terribile. Ma una circostanza si presentò, favorevolissima, per i tre temerari: e cioè, il vento, soffiando da sud-est, li spingeva; quei turbini di sabbia che, se li avessero investiti di fronte, non avrebbero loro permesso di procedere, li ricevevano nella schiena e in tal modo la loro marcia non era per nulla ostacolata dalla tempesta, ed era anzi assai più veloce di quanto non avessero immaginato e sperato. D'altro campo, un'ardente speranza spronava i loro passi; questa volta non andavano più all'avventura; essi sentivano con certezza che Nab aveva trovato il suo padrone e aveva mandato alla grotta il fedelissimo e intelligentissimo Top. L'unico dubbio angoscioso era se avrebbero trovato ancor vivo l'ingegnere... Dopo un primo tratto di cammino, si fermarono un attimo a riprender fiato contro una parete rocciosa che li proteggeva dall'uragano. In quel punto, potevano parlare, udirsi. Harbert aveva pronunciato il nome di Cyrus Smith, e Top aveva subito abbaiato come se avesse voluto assicurare i tre compagni che il suo padrone era salvo. - Top, Top... - disse Harbert, - tu vuoi dire che il tuo padrone è salvo, vero? Top tornò ad abbaiare come se volesse rispondere all'affannosa domanda del ragazzo. Fu ripresa la marcia. Erano le due e mezzo del mattino. L'alta marea cominciava a farsi sentire, e, spinta dal vento, minacciava di essere fortissima. Le grandi onde si spaccavano fragorose contro gli scogli. Come ebbero lasciato la parete rocciosa che li difendeva, i tre uomini furono assaliti dalla furia del vento. Curvi, spinti dalla bufera, camminavano di buon passo seguendo Top, rabbrividendo per il freddo acuto che sentivano. Ma nessuno dei tre si lamentava: erano decisi a seguire l'intelligente cane fin dove esso li avrebbe condotti. Verso le cinque, cominciò a balenare la luce del giorno. Qualche sfumatura grigiastra ruppe le tenebre a oriente, poi una linea rossa disegnò vivacemente l'orizzonte, mentre, a occidente, emersero dal buio la costa rocciosa e il mare. Alle sei, era giorno fatto. Si vedevano le nuvole correre rapide in alto, cacciate dal vento. In quel momento, Pencroff e i suoi compagni erano a circa sei miglia dalla grotta. Camminavano sopra un greto pianeggiante, limitato al largo da una linea di rocce semisommerse dal mare, gonfio per l'alta marea. Dall'altro lato, una fila di dune irregolari dava al paesaggio un aspetto squallido e triste. Qua e là due o tre alberi svettavano malinconicamente nel vento, rami e fronde tese disperatamente verso occidente. Più lontano, nereggiava la foresta. A un certo punto, Top diede dei segni evidenti di agitazione. Correva avanti, poi tornava verso Pencroff agitando la coda e emettendo dei guaiti ansiosi: pareva che volesse stimolarli a far presto, ancora più presto. Guidato dal suo infallibile istinto, aveva lasciato la costa e correva verso le dune. Lo seguirono; il luogo era deserto. I monticelli sabbiosi si estendevano a perdita d'occhio, come una Svizzera in miniatura. In quel labirinto di collinette microscopiche tutti si sarebbero smarriti; ma Top andava con sicurezza, e li portò davanti a una specie di anfrattuosità scavata dentro una duna più alta. Qui, Top si fermò e abbaiò forte. Spilett, Harbert e Pencroff entrarono nella grotta: e dentro trovarono Nab inginocchiato accanto a un corpo disteso sopra un letto d'erbe. Era il corpo dell'ingegnere Cyrus Smith.
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