CAPITOLO VIII

2283 Words
CAPITOLO VIII Nab non si mosse. Il marinaio gli chiese: - Vivo? Il n***o non rispose. Spilett e Pencroff impallidirono, Harbert congiunse le mani e restò immobile. Era evidente che il povero n***o, assorto nel suo dolore, non aveva visto i suoi compagni né inteso la domanda del marinaio. Il giornalista si inginocchiò accanto al corpo dell'ingegnere, e gli posò l'orecchio sul petto. Trascorse un minuto, che parve un secolo; alla fine Spilett si raddrizzò e disse: - Vive! Anche Pencroff si inginocchiò accanto all'immobile corpo di Smith, anche il suo orecchio avvertì qualche battito lieve e un sottile soffio che uscì dalle labbra chiuse dell'ingegnere. A un cenno del marinaio, Harbert si precipitò fuori, per cercare dell'acqua. A cento passi dalla duna, trovò un ruscello d'acqua limpida e pura; non avendo nulla con cui raccogliere un poco di quell'acqua, si limitò a immergevi il suo fazzoletto, e poi tornò di corsa alla duna. Ma quel fazzoletto inzuppato d'acqua bastò: Spilett lo appoggiò contro le labbra dell'ingegnere, e quelle molecole d'acqua fresca operarono subito il miracolo... Un lungo sospiro sfuggì dal petto dell'ingegnere e le sue labbra si mossero come se pronunciassero qualche parola. - Lo salveremo! - fece il giornalista. Nab, a quelle parole, aveva ripreso animo. Svestì cautamente il suo padrone per vedere se avesse riportato qualche ferita; ma né il torso, né la testa, né le membra portavano il segno di contusioni, e nemmeno di escoriature: e il fatto era veramente miracoloso, perché il corpo di Smith aveva dovuto rotolare sulla costa, in mezzo alle rocce. Perfino le mani erano intatte; e non si riusciva a capire come mai l'ingegnere non recasse i segni degli sforzi disperati che aveva dovuto compiere per raggiungere la linea degli scogli. Ma la spiegazione di questo mistero doveva venire più tardi. Quando l'ingegnere avesse potuto parlare, avrebbe raccontato tutte le sue vicende. Per il momento si trattava di richiamarlo in vita, e lo si sarebbe più agevolmente ottenuto con delle energiche frizioni. Il che fu subito fatto con fulmineo profitto. Riscaldato da quel massaggio, infatti, l'ingegnere mosse un poco le braccia, respirò più regolarmente. Era estenuato di stanchezza e di debolezza: e, certamente, senza l'arrivo tempestivo dei suoi compagni, non si sarebbe risvegliato mai più. - L'avevi creduto morto, il tuo padrone, vero? - chiese il marinaio a Nab. - Sì, morto; e se Top non vi avesse trovati, io avrei seppellito il mio padrone e sarei morto accanto a lui. Ecco a che cosa si doveva la vita di Cyrus Smith! Nab raccontò poi le sue vicende. Dopo aver lasciato la grotta, era risalito lungo la costa, in direzione nord e cercato a lungo sulla spiaggia qualche piccolo indizio che lo mettesse sulla buona strada. Aveva scrutato soprattutto quella parte di spiaggia che l'alta marea non copriva perché, altrove, il flusso e il riflusso dovevano aver cancellato ogni traccia sulla sabbia. Nab non sperava ormai più di trovare il suo padrone vivo; ma andava alla ricerca del cadavere del suo adorato padrone perché voleva seppellirlo con le sue mani. Dopo lunghe e vane ricerche, lasciata quella costa, si era spinto ancora verso nord, pensando che forse la corrente poteva aver spinto il corpo più lontano. - Per altre due miglia - raccontò il n***o - risalii la costa, visitai, uno per uno, tutti gli scogli emersi per la bassa marea, e già disperavo di trovar qualcosa, quando, verso le cinque di sera, vidi l'impronte di un passo. - Impronte di un passo? - Sì. - E queste impronte cominciavano proprio alla fila di scogli? - No, cominciavano al limite della marea, perché da questo limite agli scogli dovevano essere state cancellate. - Continua, Nab - lo stimolò Spilett. - Quando vidi quelle impronte, mi parve di impazzire. Erano riconoscibilissime, e si dirigevano verso le dune. Le seguii per un quarto di miglio, correndo, ma attentissimo a non perderle. Cinque minuti dopo, quando già scendeva la notte, sentii il latrato di un cane. Era Top, e fu Top che mi guidò qui, dentro questa specie di grotta, accanto al mio padrone. Nab finì descrivendo il suo dolore trovando il corpo inanimato dell'ingegnere. Aveva cercato di sentire in quel corpo un segno di vita, ma tutti i suoi sforzi erano stati inutili, e si era persuaso che non gli restava ormai più che rendere gli estremi onori a colui che egli aveva adorato. Poi aveva pensato ai suoi compagni. C'era Top; non ci si poteva forse fidare della intelligenza e dell'istinto di quel bravo animale? Nab disse allora, a voce forte, due o tre volte, il nome del giornalista, come quello dei compagni di Smith che l'ingegnere conosceva da maggior tempo; quindi gli mostrò la direzione da prendere; e il cane subito si lanciò abbaiando verso il sud... I compagni di Nab avevano ascoltato il suo racconto con intensa attenzione. Ma c'era qualche cosa che non si riusciva a spiegare: e cioè come mai l'ingegnere, dopo gli sforzi che aveva dovuto fare per sfuggire al mare, traversando la scogliera, non avesse la più piccola graffiatura addosso; e altrettanto misterioso come fosse riuscito a raggiungere, nelle condizioni nelle quali si trovava, quella grotta scavata nelle dune. - Non sei stato tu - chiese il giornalista a Nab - a portare il corpo dell'ingegnere fino a qui? - No, no. - Bisogna concludere che l'ingegnere ci è arrivato da solo. - Sì, bisogna concludere così - ammise Spilett. - Ma è incredibile. La spiegazione del mistero non la si sarebbe potuta avere che dalla bocca dello stesso ingegnere. Bisognava allora attendere che potesse parlare. Per fortuna, però, la vita rifluiva in Cyrus Smith rapidamente; il massaggio aveva ristabilito la circolazione nel sangue. L'ingegnere tornò a muovere le braccia, poi la testa, poi qualche incerta parola sfuggì dalle sue labbra. Nab, curvo su di lui, lo chiamava, ma l'ingegnere pareva non lo sentisse e i suoi occhi si mantenevano ostinatamente chiusi. Evidentemente, i sensi non si erano ancora risvegliati in lui. Pencroff si rammaricava di non poter fare un po' di fuoco. Avesse almeno portato con sé la striscia del suo fazzoletto bruciacchiata! Avrebbe potuto facilmente ottenere del fuoco, battendo una contro l'altra due pietre accanto a quella specie di miccia. Quanto alle tasche dell'ingegnere, erano assolutamente vuote, tranne quella del suo panciotto che conteneva l'orologio. Bisognava trasportare subito l'ingegnere alla grotta: tutti furono dello stesso avviso. Intanto, però, le cure prodigate a Cyrus Smith dovevano restituirlo alla vita più rapidamente di quanto nessuno sperasse. L'acqua con cui gli si umettavano le labbra lo rianimava a poco a poco. Pencroff ebbe a un certo punto l'idea di mescolare a quell'acqua un poco di sugo della carne di tetras, che egli si era portato con sé. Harbert corse alla spiaggia, e ne portò due grandi conchiglie che aveva riempito d'acqua dolce al ruscello; Pencroff vi stemperò il sugo, e quel liquido denso e scuro venne introdotto cautamente nella bocca di Smith, che parve berlo con avidità. Allora aprì gli occhi. Nab e il giornalista erano curvi su di lui. - Padrone! Padrone! - mormorò il n***o. L'ingegnere lo udì. Riconobbe Nab e Spilett, poi il marinaio e Harbert, e, alzata faticosamente una mano, strinse le loro mani, a una a una, mollemente. E infine, qualche parola sfuggì dalle sue labbra, parole che, evidentemente, aveva già dovuto pronunciare e che indicavano quali pensieri tormentavano allora il suo spirito. Questa volta, tutti le intesero, le compresero: - Isola o continente? - aveva sussurrato. - Ah! - esclamò Pencroff. - Noi ce ne infischiamo, signor ingegnere, dal momento che siete vivo. Isola o continente? Lo vedremo dopo. L'ingegnere fece un debole cenno di assenso, e parve addormentarsi. Rispettarono quel sonno, e il giornalista dispose subito perché lo si potesse trasportare senza indugio alla grotta nelle condizioni migliori. Nab, Pencroff e Harbert si diressero verso una duna vicina, alla sommità della quale sorgevano alcuni alberi magri. Andando, il marinaio ripeteva fra sé le parole mormorate dall'ingegnere: - Isola o continente? Pensare a queste cose quando non si ha più che un poco di respiro! Che sorta di uomo! Giunti sulla duna, i tre, senz'altro utensile che le loro braccia, strapparono i rami maggiori di uno di quegli alberi, e, con quei rami, formarono una specie di barella coperta di foglie e di erbe; e dopo tre quarti d'ora, verso le dieci, erano di ritorno. In quel momento, Cyrus Smith si risvegliava e si guardava intorno. Le sue guance avevano ripreso un po' di colore; riuscì a sollevarsi sul gomito. - Cyrus - gli chiese Spilett. - Potete ascoltarmi senza fatica? - Sì. - Io credo che il signor ingegnere vi sentirà anche meglio intervenne Pencroff - se riassaggia ancora un poco di questo specie di brodo freddo. E offrì a Smith l'acqua nella quale era stato sciolto il sugo di tetras, e dove il marinaio aveva mescolato, questa volta, anche qualche pezzettino di carne. Cyrus Smith masticò quei bocconi di carne lentamente, mentre gli altri si dividevano i resti di quella poca carne che giudiziosamente Pencroff aveva portato con sé. - La colazione è magra - osservò il marinaio, - ma ci aspetta una colazione migliore nella nostra grotta. Signor Cyrus, dovete sapere che, laggiù, verso sud, noi abbiamo una casa con delle stanze, dei letti, un focolare e, nella dispensa, qualche dozzina di uova di colombi di roccia e degli uccelli che il nostro Harbert chiama coucourus. La barella è pronta, e quando ve la sentite, noi siamo qui per portarvi a casa. - Grazie, amico mio - gli rispose l'ingegnere. - Ancora un'ora o due, e potremo partire... Intanto, ditemi, Spilett. Il giornalista fece allora il racconto di tutto quello che era avvenuto dalla caduta del pallone, fino alla disperazione di Nab, alla sua partenza dalla grotta, alla comparsa di Top. - Ma... - chiese perplesso l'ingegnere, - non siete stati voi a portarmi qui? - No. - A che distanza è questa grotta dalle scogliere? - A circa un mezzo miglio - disse Pencroff; - e se vi meravigliate voi, anche noi siamo stupiti, e non poco. - Già - mormorò Cyrus Smith, che si era ripreso notevolmente. La cosa è veramente singolare. - Non potete dirci che cosa vi è successo dopo che quel colpo di mare vi strappò dalla navicella? Cyrus Smith si concentrò per ricordare; ma sapeva ben poco. Strappato via dal pallone, era affondato in mare; tornato a galla, aveva sentito qualcosa aggirarsi accanto a lui, era il suo fedele Top, lanciatosi in acqua per soccorrerlo. Alzando gli occhi, non aveva più visto il pallone, che, alleggerito dal suo peso, era balzato in alto con la velocità di una freccia. Vistosi in mare, a una distanza di un buon mezzo miglio dalla costa, tentò di nuotare con energia, aiutato da Top che lo reggeva per la giacca coi denti; poi una fortissima corrente lo prese, lo trascinò verso il nord. Dopo una mezz'ora di sforzi, si era abbandonato insieme con Top alle onde e... da quel momento non ricordava più niente. - Eppure, bisogna bene che siate stato gettato sulla costa osservò Pencroff. - E bisogna che abbiate avuto la forza di trascinarvi sin qui, dal momento che Nab vi ha trovato. - Già... bisogna pure... - disse pensoso Cyrus. - Ma... non avete visto impronte di passi sulla sabbia? - Nessuna - gli rispose Spilett. - Ma, d'altro canto, se ci fosse un salvatore, perché mai vi avrebbe abbandonato poi, solo, in questa grotta? - Anche questo è giusto, Spilett. Nab - aggiunse l'ingegnere volgendosi verso il suo fedelissimo n***o, - non sei stato tu a... magari durante un momento di abbandono, di incoscienza... Ma no, è assurdo... Ci sono ancora delle impronte sulla sabbia? - Sì, padrone - lo assicurò Nab. - Proprio contro questa duna, sul rovescio, in un punto riparato dal vento e dal mare... Le altre sono state cancellate dal mare. - Pencroff - pregò l'ingegnere. - Usatemi la cortesia di prendere una delle mie scarpe e di controllare se vanno bene in quelle impronte. Pencroff e Harbert, guidati dal n***o, uscirono a eseguire quel controllo, mentre Cyrus Smith diceva al giornalista: - Ci sono delle cose misteriose. - Veramente misteriose. - Per adesso, lasciamole stare. Cercheremo di spiegarle più tardi. Pochi minuti dopo Pencroff rientrava nella grotta. Non c'era possibilità di dubbio; le scarpe dell'ingegnere si adattavano esattamente a quelle impronte. Segno evidente che era stato lo stesso ingegnere a lasciarvele. - E va bene - concluse Cyrus. - Quegli attimi di incoscienza che io volevo mettere in conto a Nab, li ho avuti io. Avrò camminato come un sonnambulo, senza aver coscienza di quello che facevo; e sarà stato Top, nel suo istinto, a guidarmi in questo sicuro rifugio. Top, vieni qua! vieni, Top! Il magnifico animale balzò verso il padrone abbaiando e cercando di lambirgli il viso teneramente... In realtà, non c'era altro modo per spiegare la cosa... Verso mezzogiorno, Cyrus Smith, con uno sforzo energico della sua volontà, si alzò in piedi; ma dovette appoggiarsi al marinaio per non cadere. Venne recata la barella, Cyrus Smith vi si stese; e Pencroff e Nab reggendo il carico prezioso, tutti si misero in cammino verso la grotta. C'erano otto miglia da fare; ma non si poteva andare in fretta, sarebbe stato necessario sostare ogni tanto, era insomma necessario contare sopra sei ore di cammino per arrivare alla meta. Il vento era sempre violento, ma non pioveva più. Lungo la strada, l'ingegnere, appoggiato al gomito, osservava la costa e quella terra ignota. Non parlava, ma scrutava con attenzione terra, foresta, sabbia, roccia; poi, dopo due ore, la stanchezza ebbe su di lui il sopravvento, e si addormentò profondamente. Alle cinque e mezzo la comitiva arrivò presso la grotta; tutti si fermarono, la barella fu deposta sulla sabbia. Cyrus Smith dormiva sempre. Pencroff, con suo sommo stupore, intanto si guardava intorno: la spaventosa tempesta aveva cambiato la faccia al luogo. Nuovi ammassamenti di rocce si erano formati, e il mare doveva essere giunto, con le sue ondate furenti, fino lì, perché tutto appariva sconvolto caoticamente. Davanti all'ingresso della loro grotta, poi, il terreno era addirittura scavato, sconquassato, irriconoscibile. Il marinaio ebbe come un presentimento drammatico, e si precipitò nella grotta. Quasi subito ne usciva, e sostava immobile, le braccia penzoloni, guardando angosciato i suoi compagni... Il fuoco era spento; le ceneri ridotte a fanghiglia; la striscia di fazzoletto bruciacchiata, scomparsa... Il mare aveva fatto irruzione fino in fondo alla grotta e vi aveva tutto distrutto.
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