Prologo

578 Words
PROLOGO JAY Lascio cadere la penna sul blocco di carta e crollo sulla sedia di legno traballante che fa compagnia al tavolo pieghevole. La casa è vuota. Ogni superficie è stata tirata a lucido e l’odore stantio dell’alcol e delle sigarette è stato coperto da quello pungente della candeggina e della pittura fresca. Anche se tutto nella mia casa d’infanzia sembra diverso, le pareti nuove e sterili non riusciranno a cancellare i ricordi oscuri che si nascondono nell’ombra, tormentandomi. Erano trascorsi anni dall’ultima volta che ero stato lì e, per un po’, mi ero convinto che niente mi ci avrebbe più riportato. A venticinque anni, lasciare questo posto era stata la cosa più semplice della mia vita. Ero scappato dal circolo vizioso di fallimenti e mi ero concentrato sulle nuove possibilità. Il mio futuro era una tela bianca. Avevo pianificato di riempire la strada vuota davanti a me con esperienze così diverse che sarebbe diventata irriconoscibile. A casa ero il ragazzo che tutti disprezzavano. Quello che tutti temevano, e io lo adoravo. Quando la gente diceva “tieniti stretti gli amici ma ancora di più i nemici”, ero io il nemico a cui si riferivano. La lealtà aveva un prezzo che, fortunatamente per me, tutti erano disposti a pagare. Pensavo che non ci fosse niente di più importante che trovarsi in cima alla catena alimentare. Ero intriso di odio e vendetta, certo di essere l’unica persona al modo ad avere il diritto di provare quei sentimenti. L’unica persona al mondo che si era guadagnata il diritto di vantarsene. Erano il mio segno di riconoscimento. La mia armatura. La mia motivazione. Tra queste quattro mura, gli insulti mi seguivano come una nuvola nera, e fuori, per strada, li scaricavo su tutti quelli che incontravo. Li proiettavo sugli altri ogni volta che potevo. Mentivo, prendevo in giro, seducevo… tutto era un gioco. Finché non avevo incontrato qualcuno che non voleva giocare. La vita mi aveva fatto credere di essere il re del mio mondo e che qualsiasi cosa su cui posassi gli occhi fosse mia. Ero invincibile. Intoccabile. Indistruttibile. Finché non lo ero stato più. Con la sua pelle diafana e i capelli scuri come la notte era stata la dolorosa dose di realtà che aveva sollevato il mio velo di bugie. Con lei non si trattava soltanto di quanto fosse bella o di quanto mi fossi innamorato di lei. Non era un angelo e non l’avrei contaminata con la mia oscurità. Non si trattava di come avrei potuto averla, se avessi insistito abbastanza. Di come avrei potuto attirarla all’inferno e divertirmi. No, il problema era essermi reso conto che tutto quello che avevo fatto prima di lei era stato inutile. Non ero felice. Non ero amato. Non ero nessuno che valesse la pena di essere ricordato. Sento il rumore di passi in corridoio accompagnati da una pletora di parole pronunciate male da un bambino. Mi alzo e guardo la donna venire verso di me. La sua mano stringe il centro del mio universo e i suoi occhi la fissano meravigliati. La incontro a metà strada e mi inginocchio mentre allargo le braccia. Lei solleva lo sguardo e si lancia su di me. È tutta riccioli e risatine mentre urla: «Casa nuova. Casa nuova.» La afferro e la stringo forte. Inspiro il profumo dell’innocenza e dell’amore e guardo gli occhi della donna che mi ha attirato di nuovo all’Inferno mentre sussurro: «Spero di no, piccolina. Spero di no.»
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