Parte prima
I
Alle sette in punto il signor cavaliere Bianchini saltò giù dal letto e, affacciandosi alla finestra, ebbe due dispiaceri: vide che il cielo era tutto azzurro e che il muratore Peroni non era andato al lavoro. Questi se ne stava seduto, con la giacchetta sulle spalle, sullo scalino del suo uscio a vetri, in fondo al lungo terrazzino della casa bassa che formava un cortile triangolare con le due grandi ali dell'isolato. Diamine! Se festeggiava il 1° Maggio il Peroni, un operaio vecchio e tranquillo, c'era da credere che lo festeggiassero tutti gli operai di Torino.
Questo pensiero spiacevole fece dimenticare al signor Bianchini di esaminarsi il viso e la lingua allo specchietto per la barba, come faceva ogni mattina, compiacendosi della floridezza ammirabile, benché un po' pingue, dei suoi sessant'anni.
Vestito che fu, uscì dalla camera, e udendo nella cucina una voce d'uomo che discorreva con le donne di servizio, si fermò ad origliare all'uscio socchiuso. Era il garzone panattiere, a cui Rosa, la cameriera, saldava il conto del mese, contando delle lire sulla tavola. Il giovane diceva: — Dell'argento?... Ah! sta bene, perché i biglietti... Presto ha da accadere qualche cosa di grosso, per cui i biglietti dei signori non varranno più niente. — La cameriera gli diede dello spaccone. Ma Antonia, la vecchia cuoca, biascicando le parole con voce acre, confermò la profezia. Fin dall'alba giravano per Torino pattuglie di fanteria e di cavalleria. Essa aveva inteso dire nelle botteghe che nella giornata del 1° Maggio sarebbero venuti in città i contadini, con le falci e i tridenti, ad aiutare gli operai, e assicurava che molte famiglie avevan fatto provvista di pane e di carne per tre o quattro giorni, in previsione d'una rivoluzione.
Il signor Bianchini tirò via, seccato. Erano due o tre giorni che quella vecchia ciaccolona riportava in casa tutte le più sinistre e strampalate pastocchie che sentiva dire in mercato, con l'evidente proposito di destare inquietudine nei padroni...
Il Bianchini andò nella sala da desinare, che aveva due grandi terrazzini, l'uno su piazza dello Statuto, l'altro sul corso Beccaria, e s'affacciò al terrazzino della piazza. Questa aveva l'aspetto solito di quell'ora: non c'era nessun capannello; coppie e gruppi di ragazzi s'avviavano alle scuole. Egli scrollò una spalla e disse: — Non seguirà nulla —. Poi, guardando con occhio sereno le Alpi azzurre, sorbì lentamente il caffè, che gli portò la cuoca. Era questo uno dei più vivi piaceri della sua vita. I suoi piaceri erano molto modesti. Una passeggiata igienica la mattina per i viali di piazza d'armi, leggendo la Gazzetta del popolo, due buoni pasti fatti con buon appetito, il vermouth, il sigaro Cavour, gli amici del caffè Londra la sera, quando non accompagnava moglie e figliuola in società o al teatro, e un buon sonno filato di otto ore: non gli bisognava a coronare la propria felicità; il cui fondamento era un affetto grandissimo, misto a una profonda ammirazione, che aveva per il suo unico figliuol maschio, Alberto, professore di lettere nel liceo Brofferio.
Preso il caffè, entrò nella stanza accanto, dov'egli aveva una piccola biblioteca, di cui non apriva mai un volume. Fu stupito di trovarvi già la sua figliuola, Ernesta...
— Ebbene —, gli domandò la ragazza, porgendogli la fronte, come soleva fare ogni mattina — che cosa accadrà quest'oggi?
— Che vuoi che accada? — rispose il padre — Un po' di chiasso, tutt'al più.
— Non dovrà mica intervenire la truppa?
— E quando dovesse intervenire?... Suonan la tromba e tutti scappano, come in tutte le dimostrazioni. T'hanno lasciata quetare questa notte?
In quel punto entrò la signora Bianchini, alta e maestosa, già stringata nel busto, coi capelli tinti ben pettinati, con la sua larga faccia bruna ben depilata, mostrando i bei denti incisivi da un marengo l'uno. E rispose, entrando, alla domanda del marito: — Se ci hanno lasciato quetare?... È stato un chiasso indemoniato fino alle tre della mattina. Io non ho chiuso occhio. Non è possibile tirare avanti in questa maniera. È tempo che tu ci metta rimedio.
Alludeva al chiasso fatto sotto le finestre della sua camera, sul corso Beccaria, dov'erano due sedili di pietra in mezzo agli alberi, e vi si radunavano quasi ogni notte dei giovinastri brilli o briachi, che cantavano, ballavano, leticavano, senza che comparisse mai una guardia.
— Questa notte poi, — soggiunse, sogguardando la figliuola, che abbassò gli occhi —, c'erano anche delle donne, e si son sentiti dei discorsi... Insomma, se non ti decidi una buona volta a andar dal Questore, gli scriverò io!
Il Bianchini rispose che ci sarebbe andato; ma non quel giorno, di certo, perché in questura dovevano aver ben altro da pensare che agli schiamazzi notturni del corso Beccaria.
— Ah! giusto —, esclamò la signora, ricordandosi; — oggi è il 1° Maggio. Un altro regalo. — E dopo aver dato uno sguardo scrutatore alla piazza, domandò: — Ma, in conclusione, che cosa vogliono questi operai?
Il marito rispose che volevano ridotto a otto ore il lavoro giornaliero, per avere otto ore da dormire e otto ore di libertà.
— E che vogliono farne di queste otto ore di libertà? — domandò la signora.
Il Bianchini che, per antica abitudine, quando non aveva naturalmente un'opinione opposta a quella di sua moglie, fingeva d'averla, rispose, con l'aria di giustificar gli operai: — Oh bella!... Vogliono otto ore per star con la propria famiglia,... per coltivar lo spirito, istruirsi.
— E cosa ne voglion fare dell'istruzione? — domandò la moglie. Poi soggiunse: — Non hanno mica da fare i professori. Vorranno le otto ore per passarle all'osteria. Già, son tutti eguali. Io li giudico da quelli che passan la notte sotto le mie finestre.
— Eh, andiamo —, disse il Bianchini — non bisogna metterli tutti in un mazzo. Vedi il muratore Peroni, per esempio. È un ottimo uomo.
— Sarà un'eccezione, di certo. Del resto... ha una faccia scura. Non è rispettoso.
— Saluta —, osservò il Bianchini, con un sorriso; — è quanto si può pretendere. Non c'è ragione perché si sprofondi in scappellate — E arrotondò la bocca, come per zufolare.
La signora lo fissò con uno sguardo acuto e sprezzante, come faceva sempre quando s'accorgeva d'esser contraddetta per proposito, e, troncata la discussione, andò sul terrazzino a guardare in su, per vedere se fosse alla finestra il suo nipotino Giulio, figliuolo d'Alberto, che abitava sopra di loro, al secondo piano. Suo marito andò a pigliare il cappello per uscire alla passeggiata solita. La ragazza, nell'anticamera, gli raccomandò di ritornar subito a casa se avesse visto degli affollamenti per le strade.
Sotto il portone il Bianchini incontrò l'ordinanza d'un maggiore medico, che abitava sull'altra scala, un piccolo calabrese nero, che portava il cheppì per traverso, un ameno originale...
— Buon giorno al signore! — gli disse questi sorridendo, e come avrebbe annunziato un allegro spettacolo, soggiunse: — Oggi, dunque, c'avremo la ribellione delli borghesi!
— Credete? — gli domandò il Bianchini.
— Ma! — rispose quegli — Pare che voglian tentare il saccheggio!
E tirò via, allegro, lasciando il Bianchini a masticare quelle due brutte parole: ribellione, saccheggio. Quando fu sulla piazza, voltandosi a destra, vide l'imboccatura del Borgo San Donato chiusa da una fila di soldati di fanteria, comandati da un ufficiale, davanti ai quali stavano in contemplazione una dozzina di donne e di ragazzi con le cartelle sotto il braccio. Anche questo gli spiacque. Si diresse verso via Garibaldi, interrogando il viso di tutti i passanti, che gli pareva avessero aspetto d'operai; ma erano i visi di tutti i giorni. Infilò corso Palestro. Gli fece piacere veder dei muratori che lavoravano alla porta del lavatoio pubblico, e si soffermò un momento a guardarli con occhio benevolo; poi accese un mezzo Cavour. In quel punto sentì una voce dall'alto che disse: — I signori, dopo che hanno mangiato, fanno una fumata. — Era un ragazzo muratore, ritto sopra una scala a mano, che aveva detto quelle parole per lui. Egli gli sorrise; ma quegli guardava già per aria. Tirò innanzi, meditando su quella satira, che gli parve un indizio. A malincuore. Gli rincrebbe di non aver avuto l'idea di offrire un sigaro a quel piccolo impertinente. Sboccò in via Cernaia: nulla di nuovo. Ma poco dopo vide passare di corsa quattro o cinque ragazzi, di cui uno disse: — Hanno dato fuoco a una fabbrica al Martinetto. — Diamine, la cosa si faceva seria. Ma pensò che non fosse vero. Correvano tante voci... Rimase però pensieroso. E gli venne in mente d'andare in cerca di qualche amico per avere la « parola della situazione » bisogno che sentiva in occasione d'ogni avvenimento pubblico: un' « idea » di qualcuno, da far sua, una traccia per i suoi pensieri della giornata.
Giusto in quel momento vide sbucare dai portici di corso Vinzaglio l'ingegnere architetto Cambiasi, intimo amico del suo Alberto, il quale come ogni mattina veniva a prendere il tranvai da piazza Vittorio Emanuele per andare a vedere una casa in costruzione in Vanchiglia. Era un uomo d'ingegno, che pensava con la sua testa, che s'intendeva di tutto e aveva gran pratica d'operai.
Andò verso di lui. Quegli, appena lo vide, gli mosse incontro, agitando il suo gran corpo robusto, con passo giovanile. Era un bel colosso, con un bel faccione simpatico, un sorriso cordiale franco, ma due occhi astutissimi. — Come — gli disse — fuori di casa? Non ha paura della rivoluzione?
— Ah! giusto — rispose quegli — la rivoluzione... — e rise, scotendo le spalle. Ma era un uomo che non sapeva dissimulare, era un viso trasparente, a traverso a cui il Cambiasi lesse subito l'inquietudine.
— Crede lei che accadrà qualche cosa? — domandò il Bianchini giovialmente.
L'ingegnere si fece serio, fissando gli occhi sul muro della casa in faccia. Poi disse: — Non si può predire nulla.
Allora si fece serio anche l'altro.
— Certo, questa qui del 1° Maggio è stata una gran pensata. Per il socialismo è come il punto d'appoggio, che cercava Archimede... per sollevare la terra. E la mobilitazione internazionale delle forze operaie... Le par poco? ma questa commozione che c'è già da un mese nei governi, nella stampa, in tutto il pubblico, in attesa del 1° Maggio, è già una grande vittoria. Chiamano l'attenzione del mondo sulla quistione. La quistione delle 8 ore... da ridere! dietro la quistione delle otto ore, c'è il socialismo intero che s'avanza e minaccia. Comincia il periodo d'azione della collettività... l'entrata in linea del diritto universale... Caro Bianchini — soggiunse sorridendo, mettendogli una mano sulla spalla — siamo all'89 dei proletari!
Il cavalier Bianchini corrugò fortemente le sopracciglia, per fingere d'aver capito. Poi disse:
— Capisco. Ma oggi, cosa crede lei che avverrà?
— Oggi — rispose, reprimendo un sorriso che gli distorse quella straordinaria serietà
—oggi... Una rivoluzione no, di certo. Le rivoluzioni a data fissa sono sogni: lo ha detto anche Bismarck. Sono le rivoluzioni che rendono celebri le date; non le date che fanno le rivoluzioni celebri. Possono seguire disordini... anche gravi... questa sera; ma non tali da mettere in pericolo la società, si capisce. Quello che è grave, quello che mi sconcerta, è che questo 1° Maggio non andrà più giù, e che sarà ogni anno più serio. Vede, ci son mille ragioni per cui il movimento deve crescere; nessuna perché debba diminuire. — E dicendo questo lo fissò negli occhi, arricciandosi un baffo.
Il Bianchini fece un cenno d'assenso col capo. Ma la risposta non lo soddisfaceva ancora. — Ma lei che ha conoscenza d'operai, che cosa intendono di fare?
— E chi lo può sapere?... Egli ce n'aveva sei o sette socialisti, che avevano simpatia e fiducia in lui, e gli esponevano apertamente le loro idee, che egli ribatteva apertamente. Ma le idee, non le intenzioni! Per esempio, su quel che avessero architettato di fare il 1° Maggio, non s'erano lasciati uscire una sillaba, benché fossero certi che in nessun caso egli l'avrebbe riportata. I socialisti — disse — staranno cheti —, chi tenterà un colpo saranno gli anarchici. Ah! egli ne conosceva uno, un operaio metallurgico, un tipo! Un gran diavolo d'anarchico, una faccia... C'eran secondo lui, certe faccie che incarnavano certe quistioni: ebbene: la faccia di quello era la quistione sociale con la fronte, gli occhi, il naso, la bocca. Un viso su cui sfolgorava un'idea unica, una convinzione irremovibile, un'audacia fanatica: la risoluzione d'un uomo pronto ad agire, a morire domani, oggi, in qualunque momento, anche senza alcuna speranza, col solo scopo di dare un esempio... Ebbene costui, era da vari giorni in uno stato d'eccitazione straordinaria... ma muto come un pesce, si capiva che macchinava qualche cosa... Se qualche cosa segue — disse — son certo che è fatto suo. Ecco il tranvai. Mille saluti a tutti. — E di sul tranvai, diede un'occhiata furtiva al Bianchini rimasto pensieroso sul marciapiede.
Poi riprese giù per via Cernaia, col capo basso. Un nuovo ordine d'idee gli s'apriva. Fino allora egli non aveva annesso a quella parola socialismo che un'idea confusa d'un pericolo indeterminato e remotissimo. Ma ora che c'era un giorno fisso, che sarebbe ritornato ogni anno, quell'idea gli s'avvicinava straordinariamente. Egli vedeva davanti a sé, con infinita modestia, una lunga serie di primi maggio, l'uno più tumultuoso e più minaccioso dell'altro, e questo lo spaventava, non per viltà d'animo, ma per il suo immenso amore della pace e per le dolci soddisfazioni dello status quo che era abituato a considerare come assicurato per tutta la vita. La sua immaginazione correva subito agli estremi: vedeva la sua casa di San Salvario, frutto di tanti risparmi, occupata a forza da operai che non pagavano; la sua cascina venduta all'incanto, a pezzi; le sue cedole ridotte a carta straccia. E allora? Non ci sarebbe stato che un rimedio eroico, vender tutto, andar all'estero... Ma dove? Questo nuovo pericolo aveva anche questo di unico e di terribile che era universale, che lo avrebbe trovato eguale, forse maggiore, in qualunque altro paese d'Europa si fosse rifugiato. Tutto il mondo n'era infetto. Egli aveva inteso dire che di tanto in tanto partivano masse enormi da Ginevra, da Parigi, da Londra, da Nuova York, diretti a ogni parte, manifesti internazionali in tutte le lingue, eccitanti nei termini più violenti il proletariato a sollevarsi... Era come trovarsi in mezzo a un cerchio di fuoco. A questa bella prospettiva dovevano condurlo 58 anni di vita onesta, laboriosa, di buon impiegato, di buon padre, di cittadino integro? — E con questo pensiero compì la sua passeggiata solitaria intorno a piazza d'Armi vecchia.