Ritornando verso casa, non vide per le vie nulla di nuovo, fuorché qualche pattuglia di cavalleggieri, che passavano, guardando intorno con aria annoiata. Ma un angolo di piazza Solferino, intese un giovine operaio a crocicchio con dei facchini, il quale si vantava d'aver detto ai soldati, non si sa dove: — Tirate, se siete buoni!... E non han mica avuto coraggio di tirare! — Era dunque seguito già qualcosa di serio? Entrò in casa di malumore e salì difilato al 2° piano, dal bisogno di avere «una parola sulla situazione» da suo figlio. Gli aperse la nuora, la cui bellezza fresca e placida lo metteva sempre di buon umore. Ma il figliuolo ci aveva nello studio due professori del Liceo.
— Tornerò —, disse il padre. — Cosa dice Alberto del 1° Maggio?
— Non saprei — rispose sorridendo — non ne parla, non ne vuol nemmeno sentir parlare.
— Già —, disse il padre — ne sarà seccato anche lui. Egli è tutto nella letteratura. E il papà?
La ragazza sorrise — Oh il papà... — disse a bassa voce. — L'ho visto ieri sera. È terribile!
Gli spiacque: se un uomo di quella levatura era irritato, la causa doveva essere importante.
Bianchini scese a far colazione, e appena scambiò qualche parola con la moglie e la figliuola, che gli parlarono del 6 maggio, l'anniversario del loro matrimonio, che da molti anni solevano festeggiare ogni anno, invitando parenti ed amici a un piccolo trattenimento: la signora ci teneva. Soltanto si scosse sulla fine a una delle solite fiabe che raccontò la vecchia serva mettendo in tavola le frutte. Raccontava d'aver inteso dire da una donna delle soffitte, che bisognava sprangar bene gli usci, perché da un po' di giorni entravano nelle case delle faccie terribili, che pigliavan la gente pel collo, e dicevano: — O sei socialista con me, o ti faccio la pelle! — E bisognava farsi socialista per forza. Il Bianchini andò in collera — Eh! finitela una volta con le vostre sciocchezze! — le gridò. E quella tacque, ma sentirono il suo brontolio minaccioso nell'anticamera. La signora rimproverò il marito: non erano quelli i modi: la serva poteva prender cappello e piantarli lì su due piedi. — Oggi tu hai i nervi —, gli disse —, faresti bene a andare a passar un'ora col signor Moretti.
— Lo credo anch'io. — È l'unica persona di buon senso che stia in questa casa — rispose, e s'alzò!
Il Moretti stava al 3° piano. Era un vecchio celibe, ispettore della dogana giubilato, sano e allegro come un ragazzo, vecchio amico di casa, e ugualmente simpatico alla signora perché era un adoratore, un servitore nato del bel sesso, e al marito, per il suo ottimismo roseo come il suo viso, che armonizzava con l'indole di lui, e per l'abbondanza dei disegni, progetti, riforme, fantasie politiche, economiche, sociali, amministrative, che pullulavano continuamente nel suo cervello disoccupato di pensionato. Il Bianchini andò a fare la sua siesta obbligata, e poi uscì per andarlo a cercare al caffè delle Alpi, dove andava ogni giorno a leggervi i giornali verso le tre.
Per le strade cominciava a raffittire la gente; ma non c'erano ancora attruppamenti. Si sentiva qualche cosa per l'aria. Ai crocicchi, tutti guardavano nelle quattro direzioni come se aspettassero di veder comparire una dimostrazione in fondo a ogni strada. Egli fece un giro. Davanti alle due caserme di via Garibaldi e di via del Carmine v'eran degli ufficiali in cheppì e sciarpa. Nei cortili v'eran dei fasci d'arme, e formicolavano di soldati. Il pensiero della vicinanza di quelle due caserme a casa sua, tranquillò il Bianchini. Il caffè delle Alpi era più popolato del solito. Appena entrato nella seconda sala, vide in un angolo gli occhi azzurri e il viso rosato del Moretti, incorniciato nella barba bianchissima, che pareva di cotone.
Questi lo salutò col suo sorriso giovanile, e se lo fece seder vicino. Poi disse: — Crispi ha torto. Non doveva proibire la dimostrazione, che sarebbe stata uno sfogo, una cosa imponente, bella. Mal fatto, mal fatto. Gli operai s'offendono a vedersi trattare come nemici. Appena vogliono manifestare un'idea, anche con le più oneste intenzioni, fuori fanteria, fuori cavalleria, fuori artiglieria... Eh, che diavolo! È la paura che provoca i disordini.
— Crede lei che seguirà qualche cosa?
— E che cosa vuol che segua?... I nostri operai hanno buon senso. La maggior parte son padri di famiglia; han tutt'altro pel capo che le chiassate. Il popolo è buono. Veda nelle rivoluzioni. Son sempre borghesi spostati quelli che spingono alle violenze. S'è visto durante la Comune. Il concetto del 1° Maggio è pacifico. Non ci sarà nemmeno un vetro rotto.
Il Bianchini si sentì riconfortato. Ma gli rimanevan dei dubbi — Eppure — disse — del malcontento ce n'è, non si può negare.
— È un bene che ci sia —, rispose il Moretti — dove non c'è malcontento non c'è progresso. — Rimase un momento sopra pensiero: poi disse alla sfilata, in fretta: — Bisogna rialzare l'agricoltura, risanare i terreni paludosi, dissodare le terre incolte; bisogna fondare delle banche d'assicurazione del prodotto del lavoro; bisogna modificare la legge di successione, caro signor Bianchini... Bisogna fondare delle case da thè per gli operai, come in Inghilterra, mettere i teatri a buon mercato... istituire delle centinaia di biblioteche popolari circolanti...
In quel punto fu interrotto da un rumore per la strada: guardarono tutti e due per la finestra e videro passare un uomo, che pareva un operaio, ammanettato, pallido, col viso alto, in mezzo a due carabinieri, seguiti da molta gente.
— Vede se non cominciano i disordini! — disse il Bianchini, alzandosi.
— Sarà un borsaiolo — rispose il Moretti, rattenendolo. Ma il Bianchini s'accomiatò, voleva tornare a casa, per tranquillizzar la famiglia, se fosse seguito qualche cosa in piazza. Il Moretti uscì con lui; ma lo lasciò all'uscio, dovendo andar da Rossi a prender delle scatole di conserva; perché era ghiotto, al corrente di tutte le salse e conserve nuove, e ne aveva in casa un magazzino.
Il Bianchini rimontò verso piazza Statuto. La gente era raffittita ancora, i bottegai erano sugli usci, molti curiosi alle finestre, senza che nulla giustificasse la cosa. Tutti si guardavano a vicenda, e intorno. C'erano crocchi di donne e ragazzi alla cantonata. Si sentiva come un ronzio diffuso. Circolava la vita ordinaria, ma rallentata e come distratta da un'aspettazione. Ogni più piccolo rumore, come il grido d'un ragazzo, una persiana sbattuta con violenza, faceva voltare cento visi. Ma non si vedevan gruppi d'operai da alcuna parte: ciò che fece piacere al Bianchini. Sbucando nel corso Palestro, vide avanzarsi a destra, lentamente, un plotone di cavalleggieri, comandato da un ufficiale, che s'avviava verso piazza dello Statuto, seguito da molti ragazzi. Lo seguì egli pure, e, entrando nella piazza, vide in fondo, sul ponte della ferrovia, dove sbocca il viale di Rivoli, un gruppo di circa cento tra operai, ragazzi, curiosi, tutti immobili e rivolti verso la città, come se aspettassero qualcuno, e tranquilli, come se si fossero assembrati col solo scopo di farsi sciogliere. Stette in distanza a osservare. Quando furono davanti al gruppo, i soldati spronarono il cavallo in varie direzioni, e la folla si sparse spontaneamente, rompendosi in vari gruppi, verso i quali di nuovo si mossero i cavalieri, e allora la gente si sparpagliò per la piazza e pei viali, a passo lento, senza mormorare, parte malcontenti, parte ridendo. Quel modo di sciogliersi gli parve di buon augurio: così si sarebbero anche sciolti la sera. Il Moretti aveva forse ragione.
Quando fu davanti a casa sua, vedendo sul terrazzino il Geri, figlio del padron di casa, che stava accanto a lui, sullo stesso piano, affrettò il passo. Quello lì, uomo d'affari mescolato nella finanza, nel giornalismo finanziario, nell'industria, sempre in giro per Torino, doveva essere in caso di dargli delle notizie e delle idee. Erano molto in relazione, dopo che un suo figliuolo, entrato nel ginnasio Brofferio, era scolaro del suo Alberto.
Salito, intese dalla cameriera che quella sera sarebbe scesa a desinar con loro la nuora, perché il signor Alberto era andato a pranzo con amici. La signora e la signorina erano in saletta colla signora Cambiasi.
— A pranzo fuori questa sera! — disse tra sé il Bianchini — Gli pareva una sera mal scelta. — Che idea!... Un'idea da letterato. — E si diresse al terrazzino, per parlare col Geri, al quale, tendendo il braccio, avrebbe potuto quasi stringere la mano, poiché i due terrazzini eran vicinissimi.
— Ebbene — gli disse sorridendo — siamo nei migliori posti per goder la rappresentazione. Pare che sarà una rappresentazione pacifica.
Il Geri scrollò il capo in atto dubitativo, guardando la piazza, dove giravano gli elementi sparsi d'una folla, che pareva si cercassero, senza volersi ancora riunire. Alto, secco, un po' curvo, con un lungo naso aquilino che terminava in una punta acuta, con un viso pallido e un po' logoro per i suoi trentott'anni, torcendosi i baffi acuminati con una mano nervosa, egli aveva l'aria d'un ufficiale di cavalleria in borghese... Un'espressione vaga di disprezzo ch'era sempre nei suoi occhi chiari e freddi, ingrandiva nel Bianchini il concetto che egli aveva della forza del suo carattere, benché sapesse che tra lui e suo figlio non c'era simpatia.
Il Geri finì con rispondere: — Non sarà una dimostrazione pacifica. Sono due mesi che quel velenoso giornaluccio la Quistione Sociale stuzzica tutta questa gente...
Il Bianchini, che non conosceva quel piccolo giornale settimanale che per averlo visto appeso dai rivenditori, si mostrò incredulo. — Ma se non lo legge nessuno! — esclamò. Chi sa che esista la Quistione Sociale?
— Gl'interessati del partito lo leggono — rispose l'altro — d'altra parte una quantità d'altri giornaletti socialisti provenivano a Torino da varie città d'Italia; ne venivano anche di Francia. — E masticò delle parole acri contro l'avvocato Rateri, direttore della Quistione, un mascalzone, uno dei tanti spostati ambiziosi, che miravano a farsi una carriera pubblica perché non erano riusciti a farsene una privata. E quell'altra avventuriera di Maria Zara.
— Lei crede dunque che ci saranno dei disordini seri? — domandò il Bianchini.
— Appena notte —, rispose il Geri — perché costoro hanno tutto l'interesse a non esser riconosciuti. E li lasceranno fare. La truppa si lascerà, al solito, insultare e prendere a sassate per due ore filate. — L'esercito, secondo lui, non era atto a questi servizi. Per la repressione di quel genere di disordini egli avrebbe voluto che si istituisse una milizia borghese, armata di fucili perfezionati; la quale non avrebbe fatto tanti complimenti. Si era visto come nel Belgio la guardia nazionale aveva ristabilito l'ordine, nel grande sciopero del 1885.
Il Bianchini non rispose, occupato a osservare un brigadiere di P.S. con due agenti che faceva sciogliere un gruppo formatosi all'entrata del piccolo giardino del Meridiano. Quando fu sciolto, mise un respiro. Poi domandò: — E il papà che cosa ne pensa?
Il Geri sorrise. — Oh il papà — disse — lei lo deve sapere. Ha sempre la sua idea fissa: Malthus, il celibato, l'amplesso preventivo. Non c'è altro mezzo di salvare il mondo. Tutti i mali derivano dalla moltiplicazione. Vorrebbe stabilire un premio per i celibi. Quando vede passare per la strada una coppia con cinque o sei figli, si mette di malumore.
— Eppure c'è del buono nell'idea — osservò il Bianchini, tenendo d'occhio la piazza.
— Bah! Non si può mai entrare nella testa del popolo. Il popolo non segue che l'istinto. Non ci sarebbe che l'evirazione, come la praticano gli Skoptzy in Russia, obbligatoria, però.
Mentre il Bianchini rideva, il Geri fu chiamato di dentro. Lo salutò, e gli disse andandosene col suo sorriso sarcastico: — Se assaliranno la casa, conto sul suo concorso per una difesa eroica.
Il Bianchini rise forte, ma di mala voglia, pensando alla sua casa di San Salvario. Ma era troppo fuori di mano... Andò a salutare la signora Cambiasi nel salotto, dove erano pure la moglie di suo figlio e il ragazzo.
La signora Cambiasi, una stupenda bruna di trentasette anni, che ne mostrava molti di meno, con due splendidi, dolci, ridenti e ingenui occhioni neri, grassissima, schiattante di salute e di buon umore, si mise a ridere — per sospetto d'esser canzonata — quando il Bianchini s'offerse d'accompagnarla a casa, pur di non correre pericolo per la strada. Il Bianchini dovette spiegarle che non era uno scherzo; ed essa rise più forte. Ah! il 1° Maggio — sì — n'aveva inteso parlare. Era la festa degli operai; ebbene che c'era da temere? No?... Volevano otto ore di lavoro. — Ebbene —, disse ingenuamente — perché non li contentano, poveretti? A me spiace quando s'ubbriacano, ma quando son sul lavoro, che fanno colazione, discorrendo, alle volte hanno delle uscite così comiche! — L'autunno scorso in campagna, dove fabbricavano un villino accanto a casa sua, s'era divertita un mondo di dietro alle persiane, a sentire la conversazione dei muratori. C'eran dei tipi!