— Può anche essere, o se non una rivoluzione, una serie di scosse violente, di convulsioni sociali, che, a poco a poco, modificheranno radicalmente lo stato attuale.
— E credi che comincerà presto questa... serie di rivoluzioni? — domandò il padre con un sorriso di chi dubita se il discorso sia serio o faceto.
— Credo che sia già cominciata — rispose, serio, il figliuolo.
A quelle parole suo padre e sua moglie s'alzarono tutti e due insieme ridendo, come per far capire che non dubitavano più d'uno scherzo — Da quando in qua hai queste idee? — gli domandò la moglie. E il padre ripeté la domanda, mettendogli scherzosamente una mano sulla spalla: — Giusto — da quando in qua hai queste idee?
Alberto s'alzò, un po' piccato, e rispose: — Ho parlato sul serio. Come potete pensare che io scherzi sopra un argomento di questo genere?
Il padre si fece serio — E perché allora non ci hai mai espresso le tue idee?
— Perché prevedevo che non ci saremmo intesi. E vedete bene che avevo ragione.
— Ma insomma — disse il padre prendendosi la fronte colle dita riunite della mano — dimmi proprio chiaro e preciso quello che pensi.
Il figliuolo rispose con pacatezza quasi dolce: — Ecco quello che penso. Penso che la parte che è data ai lavoratori sul prodotto generale della ricchezza non è proporzionata alla parte che essi rappresentano nell'opera generale della produzione della ricchezza medesima. Penso che non è giusto che quella parte della società che fa il lavoro più faticoso e più necessario per nutrire, vestire, alloggiare e dare a l'altra parte i mezzi e l'agio di educarsi, non guadagni abbastanza da nutrirsi, vestirsi e alloggiarsi umanamente, e sia esclusa dalla possibilità di istruirsi. Penso, insomma, che il lavoro non raccoglie i benefici che arreca il progresso della civiltà, perché questi benefici gli sono intercettati da un difettoso organamento sociale.
La signora intervenne, con la sua voce placida: — Ma, Alberto, come vuoi che tutti si trovino nelle stesse condizioni di fortuna?
Il padre approvò l'argomento col capo.
— Non dico questo —, rispose Alberto — ma perché si debbono tenere nelle condizioni peggiori quelli che lavorano di più e che sono più necessari? Perché ci dev'essere tanta gente che lavora troppo, e non mangia abbastanza, e tant'altra gente che, lavorando la metà, vive nell'agiatezza, e tant'altra che, non lavorando punto, nuota nell'abbondanza?
— Ma perché il mondo è fatto così, figliuolo mio — rispose il padre, sorridendo, quasi stupito dell'ingenuità del figliuolo — e perché così è sempre stato.
— No, papà, così non è sempre stato. C'era la schiavitù e il servaggio, e non ci son più; c'era il feudalesimo, c'era il dispotismo, e sono scomparsi; c'era l'ineguaglianza civile e politica delle classi, ed è stata soppressa. Vedi che il mondo è mutato, e se si è mutato, si può mutare; se si può mutare non è una legge soprannaturale che sia com'è al presente.
— Ma come dovrebbe ancora mutare, poiché hai detto tu stesso che abbiamo la libertà e l'eguaglianza, che è quanto dire che tutte le strade sono aperte a tutti per migliorare la propria sorte?
Il figliuolo s'eccitò. La contraddizione, di cui era intollerantissimo, cominciava a irritarlo, e malgrado l'affetto che aveva per suo padre, lo irritava di più la contraddizione di lui, appunto perché in tutte le altre quistioni l'aveva sempre trovato ossequiente. Un leggiero rossore gli salì alle guance.
— Ecco l'errore! — esclamò. — La libertà e l'eguaglianza furono una conquista di fatto per alcuni; una parola muta per tutti gli altri. L'eguaglianza non può sussistere fin che l'esistenza del maggior numero dipende dal capriccio o dalla fortuna buona o cattiva posta nelle mani del numero minore, fin che c'è da una parte chi ha tutto e dall'altra chi non ha nulla. La libertà non è che per chi ha mezzi e cultura. Chi non ha né gli uni né l'altra, è schiavo della miseria, dell'ignoranza e del caso. La strada a migliorare non è aperta a tutti, perché tutti quelli che nascono in migliori condizioni di fortuna si trovano già a mezza via, e non c'è uno su mille degli altri che li possa raggiungere. Pensaci un poco, papà. È una rivoltante ingiustizia. Se noi non ce n'accorgiamo, è perché i nostri interessi ci hanno falsata la coscienza.
Il padre lo guardò grandemente stupito. Poi si ribellò — Oh insomma — disse — ripetendo una frase udita — il mondo è di quelli che se lo presero, che son stati i più forti.
— Saranno stati i più forti una volta, ora non son che i più pochi e i più fortunati. Ma ammettiamo i più forti. Vuol dire che quando, mettendosi d'accordo, saranno i più forti i lavoratori, avranno diritto di metterci sotto i talloni, come noi facciamo di loro!
Il Bianchini ebbe una scossa.
— Ma Alberto! — esclamò la moglie scandalizzata, guardandolo come gli vedesse una faccia nuova.
— Ma, figlio mio —, disse il padre con una severità trista che non aveva mai usato col suo figliuolo — chi t'ha ispirato queste idee... indegne di te!
Un moto di sangue salì al viso del giovane:
Indegne di me?... — rispose, contenendo la voce. Ma, scusami, a me pare che fossero indegne di me quelle che avevo prima. E non ho detto la metà di quello che penso. Penso che, così com'è ora, la società è tutta organizzata e diretta a beneficio d'una piccola minoranza, che sfrutta tutte le energie dei lavoratori, con la protezione della legge, che ha fatto essa sola e per sé sola; che tutto l'edifizio si regge sull'ignoranza e sull'abbrutimento delle moltitudini; che è la sola violenza che lo tiene insieme; che questo stato di cose ci corrompe tutti, è come un'infezione nell'atmosfera morale; la causa prima di tutte le più tristi passioni e delle più nefande azioni e dell'affanno di tutti, e della menzogna d'ogni istituzione e d'ogni parola; e che questo stato non può durare, e non durerà, e che è sacro dovere d'ogni uomo onesto il far tutto il possibile perché non duri, se anche si dovesse sconvolgere il mondo.
La moglie, turbata, con uno slancio gli mise una mano sulla bocca. Il padre lo guardò un momento con gli occhi maravigliati, e poi, afferrandogli le due mani e mettendosele sul petto, gli disse a bassa voce, con accento di profondo affetto e di sincero dolore.
— Ma, Alberto, figliuol mio, sei in te, sei proprio tu, che dici queste cose?
— Son io — rispose con un sorriso nervoso, il figliuolo, liberando dolcemente le mani — mi rincresce di spiacerti. Ma con chi dovrei esser sincero, se non con mio padre? Io vedo ora il mondo sotto un aspetto nuovo, che è il vero. Credevo che il mondo fosse la bellezza, la scienza, la politica, e tutta la gente fortunata che s'occupa di queste cose: e non vedevo altro: ora vedo che il mondo è la moltitudine quasi relegata fuor del progresso, che alla società dà tutto e non ne riceve presso che nulla, che suda sopra la terra, e sotto la terra, e si logora nelle officine e copre delle sue ossa i campi di battaglia, senza cavarne altro frutto che di non morire di fame; che per miseria è costretta a vendere la carne e l'anima, l'onestà delle donne, il sangue dei fanciulli, e per miseria minaccia, ruba, si dispera, impazzisce, uccide, s'uccide, fa del mondo un inferno; mentre un piccolo numero, in disparte, canta degli inni alla patria e alla civiltà, e trova che è bella la vita. Ma io mi son persuaso che a tutto questo c'è rimedio, come altri millioni d'uomini se ne son persuasi. Questa convinzione m'è entrata nell'animo come un raggio di sole. Sarà un errore: il rimedio non sarà quello, saranno altri. Comunque sia, la prima cosa a farsi per guarire un male, per sopprimere un'ingiustizia, è quella di riconoscerla, è di proclamare il buon diritto di chi si lamenta. Non posso far altro; faccio questo; faccio eco alla voce degli oppressi, degli sfruttati, dei miserabili, — rifiuto la complicità del mio silenzio — all'oppressione — e protesto. Non posso più aver pace e dignità di coscienza che nell'adempimento di questo dovere. E lo adempirò a qualunque rischio e a qualunque costo!
Il padre diventò pallido. E gli domandò con voce alterata: — E tu scriverai queste cose? E le dirai queste cose che bisogna mutare le cose a patto anche di sconvolgere il mondo... le pubblicherai, col tuo nome, a rischio di rovinare la tua carriera, di mettere la discordia in famiglia, di alienarti tutti gli amici? Senza il minimo dubbio?
— Le scriverò — rispose con fermezza Alberto.
— Ma tu non sei in te! — esclamò la moglie, afferrandogli una mano.
Il Bianchini stette un momento a guardarlo, tremante di collera. — Ebbene, gli gridò poi, tu sei un altro da quello ch'io credevo. Tu non hai amore né per tuo padre, né per tua moglie, né per il tuo bambino. Tu hai perduta la coscienza e la ragione. Non riconosco più il mio figliuolo!
E si slanciò nell'altra camera.
La signora, spaventata da quelle parole, gli corse dietro, chiamandolo; ma egli chiuse l'uscio con violenza.
— Alberto —, disse allora severamente a suo marito, stentando a raccoglier la voce: — Perché non m'hai confidate mai queste tue idee?
Il marito, commosso profondamente dalla scena del padre, la più grave, la sola grave ch'egli gli avesse fatta in vita sua, si ricompose a fatica, e rispose con voce commossa, ma risoluta:
— Perché m'avresti fatto come papà... hai veduto.
— No — rispose la moglie — ma avrei cercato di moderarti, di farti riflettere prima... Avevo diritto a sapere... T'avrei impedito di dare a tuo padre questo dolore!
III
Il Bianchini padre rimase dopo quella scena come chi, rientrando in casa dopo un'allegra cena, trovasse nell'anticamera una bomba esplosiva con la miccia accesa. Bisognava provvedere senza indugio, darsi moto, tentare ogni mezzo per arrestare il figliuolo sull'orlo del precipizio. A prenderlo di fronte con la ragione non pensò neppure, perché aveva coscienza che non gli bastavan le forze della mente, e poi soffriva troppo a contraddirlo, e sentiva che, toccato nella corda del sentimento, sarebbe stato vinto alla prima. Ci voleva un amico autorevole. Pensò subito al Cambiasi. E appena fu libero, corse da lui. Sì, quello era l'uomo. Amico d'Alberto fin dall'Università, suo testimonio allo sposalizio, affezionato alla famiglia, esperto del mondo, pieno di buon senso e di cultura e ragionatore finissimo, era il solo che potesse riconvertire o frenare il suo figliuolo, e dare anche a lui una norma di condotta, di fronte agli avvenimenti, che minacciavano la pace della famiglia. Lo trovò in casa, e senza preamboli, in presenza della signora Cambiasi, in quel grande studio disordinato, ingombro di disegni architettonici, di balocchi e di cianfrusaglie delle signorine, mentre in una stanza accanto si sonava il pianoforte e in un'altra saltavano i ragazzi da sfondare il solaio, egli disse il caso suo e lo scopo della sua visita con un affanno così eloquente, con gli occhi così pronti a bagnarsi di lacrime, che il Cambiasi ne fu commosso. Ma non si stupì della cosa: n'aveva da qualche tempo un presentimento. Intanto ch'egli stava pensando, la bella signora tonda e sciocchina diede dei consigli di suo e da pari sua. Il meglio che si potesse fare era di mandar Alberto a passar quindici giorni a Superga: si sarebbe distratto, avrebbe mutato pensiero. Poi le balenò un'idea anche più luminosa: — Dica alla signora Giulia che gli tolga tutti i libri e tutti i giornali. — Ma il Bianchini non le badò: rifiatò soltanto quando l'ingegnere gli ebbe promesso di parlare ad Alberto: ci aveva già pensato; temeva egli pure che il suo amico si tirasse addosso dei guai. Non credeva però opportuno di parlargli subito, perché doveva essere ancora troppo eccitato dagli avvenimenti del 1° Maggio; era meglio aspettare che si fosse quetato un po', cogliere il buon momento, e allora, con tutto il cuore, egli avrebbe tentato di persuaderlo, se non altro, a moderarsi, a esprimer le sue idee con più riserbo, sopra tutto fuori di casa. Il Bianchini allargò le braccia in atto di gratitudine, e poiché il Cambiasi doveva uscire, s'offerse con un mar di parole d'accompagnarlo fin dove andasse, mentre le donne di servizio e i ragazzi gli cercavano il cappello, la canna e il portasigari, correndo e gridando per tutte le stanze, come se fosse preso fuoco alla casa.
Quando furon sul corso Vinzaglio, il Bianchini ricominciò a esporre diffusamente i suoi affanni e a domandar dei consigli; poi, soffermandosi, disse tutt'a un tratto, con un accento che voleva nascondere la sua curiosità inquieta: — Ma, insomma, mi dica un po' lei, caro Cambiasi: che cos'è, proprio, questo socialismo? Che cosa vogliono questi signori socialisti?