Parte prima-4

2003 Words
Allora disse forte: — Potete riaccendere i lumi, che diavolo! Si accesero i lumi. La signora Bianchini e la figliuola stentavano a rimettersi dallo spavento. Anch'esse avevano creduto che si fosse tirato a palla. Ma il Bianchini, con aria d'intenditore, disse che s'era accorto subito che no, non avendo sentito i colpi delle palle nella facciata della stazione di Rivoli. — Ah! — esclamò la signora Bianchini — speriamo che ora ne facciano una buona retata! Scellerati! Che momenti ci hanno fatto passare! — Le donne di servizio accorsero ansiose a domandare se c'erano stati dei morti — Ma che morti! —disse con disprezzo il padrone; e domandò con gran tenerezza al ragazzo, carezzandolo, se aveva avuto paura. La signora Giulia tornò ad angustiarsi per suo marito, esclamando: — Ma che giudizio, ma che cuore, a farmi stare in pena in questo modo! Ma come farà a tornare a casa! — Ma se ora è tutto finito! — disse il Bianchini. Non di meno la nuora volle tornare in casa, per riveder suo marito subito, caso che, sul ritornare, non fosse passato da suo padre, per andarla a tranquillizzare immediatamente. Il Bianchini l'accompagnò fino all'uscio, e pregò la nuora d'avvertirlo con tre colpi sul solaio della sua stanza, quando Alberto fosse rientrato. Poi tornò in casa a finir la bottiglia sulla tavola non ancora sparecchiata. Un'onda di parole gli uscì dalla bocca; aveva un'allegria nervosa, attraversata ancora a momenti da lampi di timori, che gli facevan tendere l'orecchio verso la piazza, aveva bisogno di esprimere le sue impressioni; ma taceva la più forte. Era pieno d'ammirazione per la condotta della truppa; gli erano parsi stupendi i bersaglieri; diceva che lo spettacolo di tutte quelle vie deserte, chiuse dalla forza, in quell'oscurità, in quel silenzio, aveva «qualche cosa di grandioso». La signora, dalla finestra, l'interruppe dicendo: — Tutto il marciapiede è coperto di vetri: non c'è più un lampione intero. Che barbara gente! Che malvagia canaglia! — Ma il Bianchini non approvava quel giudizio. Svanito il pericolo, egli inclinava all'indulgenza per gli operai, come per annegare in essa quel po' che gli rimaneva di paura. Eh! — disse — vanno compatiti, anche loro... In somma, per 364 giorni dell'anno stanno queti... Potevano far di peggio. La signora lo zittì vivamente. — Ah! Non ti basta?... Ebbene; faranno di peggio l'anno venturo, non dubitare. Quella risposta lo raffuscò. Egli aveva quasi dimenticato che quel 1° Maggio era il primo; ma non l'ultimo. E si turbò di più quando l'Antonia, sparecchiando, sospirò: — Basta, qui è passata. Ma chissà cosa sarà seguito nelle altre parti di Torino! Il Bianchini s'alzò inquieto, e andò nell'altra stanza, sul terrazzino a destra. La piazza presentava il medesimo aspetto di poco prima: le truppe immobili, le vie, i portici deserti. Solo c'eran varie finestre delle case rischiarate. Mentre stava osservando, si sentì chiamare. Era il Geri figlio, sul terrazzino accanto. Era allora rientrato in casa, aveva visto tutto d'in fondo alla piazza. — Ha veduto? — disse al Bianchini con la sua rabbia fredda e sorridente, — non manca più che delegati e ufficiali si lasciassero sputare in faccia a uno a uno. Delle autorità che si lasciano malmenare a quel modo, meritano tutto. È una vigliaccheria che fa stomaco; che incoraggia e giustifica la rivolta. E disse che in via Garibaldi avevan fatto di peggio, ferito dei soldati, accoltellato delle guardie, saccheggiato delle botteghe, tentato d'invadere delle case. — Avremo il resto domani —, concluse. — Ma non è finita neppure questa sera. Credo che si battano in fondo al borgo San Donato... Ma io vorrei che appiccassero il fuoco ai quattro canti di Torino, per vedere se il Governo si sveglierebbe. E prima che il Bianchini riuscisse a spiccicare le labbra, gli diede la buona notte, e rientrò. Il Bianchini rimase tristo e sgomento. Aveva avuto fino allora una serie di alti e bassi di coraggio e di timore; ma dall'impressione di quelle ultime parole sentì che non si sarebbe più liberato. Il sentimento della precarietà dello stato delle cose, del governo, della sua fortuna, gli entrò e gli crebbe nell'animo e gli montò la fantasia con una forza tutta nuova in quel silenzio severo della notte. Precorse gli anni col pensiero, vide le strade di Torino insanguinate, i palazzi fumanti, tutte le forze legali disciolte, la moltitudine padrona di tutto; si vide ridotto povero —, errante per le vie — minacciato da pattuglie armate d'operai avvinazzati —, costretto a chiedere asilo e un pezzo di pane al muratore Peroni... Poi si riscosse da quelle fantasie come da un sogno orribile, andò a dar la buona notte alla moglie e alla figlia, e poi entrò nella sua camera per andar a letto. Guardò per le vetrate la finestra rischiarata del Peroni, e quasi lo invidiò, poiché egli non aveva nulla da temere da un cataclisma sociale. Poi gli ritornò il pensiero della sua onestà, della legittimità della sua fortuna, dell'ingiustizia mostruosa che sarebbe stata la sua rovina, e un impeto di indignazione lo prese. Sì, il Governo doveva difendersi, ci voleva del fuoco e del piombo, si sarebbe dovuto tornare al governo assoluto, con un esercito spietato e delle leggi tremende. Ma una voce intima lo avvertiva che tutto questo avrebbe fatto peggio, che c'era qualche forza immensa e fatale più forte d'ogni resistenza. E quando mise la testa sul cuscino, l'ira era sbollita, non gli restava più che una profonda tristezza. In quel punto sentì i tre colpi sul soffitto. A quel segnale, che annunziava che suo figlio, il suo caro Alberto, la gioia e l'orgoglio della sua vita, era tornato sano ed illeso, una grande tenerezza gli entrò in cuore e gli inumidì gli occhi. — Caro, adorato figliuolo! Quale sarebbe stato il suo avvenire? Quali pericoli l'aspettavano nell'avvenire oscuro? Con questo pensiero triste chiuse gli occhi. Lo riscossero violentemente degli squilli di tromba della cavalleria che passava sul corso Oddone. Poi tutto tacque. — Basta — pensò sospirando — la casa è guardata. E stanco delle emozioni della giornata, s'addormentò. II La mattina dopo svegliandosi, fresco di forze e chiaro di mente, al primo pensiero che il 1° Maggio era passato, il Bianchini ebbe un grande piacere, e si vergognò un poco del turbamento e delle sinistre previsioni da cui s'era lasciato abbattere la sera avanti. Ma nell'animo rassicurato gli risorse più forte lo sdegno contro l'audacia dei perturbatori che avevano fatto passare a un galantuomo par suo una così triste giornata. Certo, egli era più inclinato che sua moglie alla benevolenza per le classi inferiori; ma questa era d'una natura particolare: era la pietà che prova un uomo ben pasciuto e buono diavolo, per chi mangia male ed è malcontento. L'idea d'un diritto qualsiasi del maggior numero ad una sorte migliore non gli era mai passata per la mente. Il mondo è fatto così — era la massima fondamentale della sua filosofia, ed egli non aveva mai visto la società, nemmeno di sfuggita, da un punto di vista diverso da quello in cui la fortuna l'aveva posto. Tutto il movimento d'idee del socialismo gli era affatto ignoto. Anni prima aveva letto in un giornale che divisa la ricchezza di tutta la provincia di Lipsia, una delle più ricche della Germania, per il numero totale della popolazione, sarebbero toccate 300 lire a ciascun abitante, una volta per sempre; ciò che avrebbe impoverito i ricchi e non migliorato la sorte di nessuno. E questa era rimasta il caposaldo delle sue idee intorno la quistione sociale, l'argomento che citava in ogni occasione. — Non c'è rimedio — ripeteva. Per questo quel moto popolare che aveva visto, a ripensarci a mente fredda, gli pareva una cosa da pazzi, e i particolari di violenze che lesse nella Gazzetta quella mattina lo indignarono. Sì aveva ragione il Geri. Il Governo, le autorità si mostravano troppo deboli; ma perché non eran spalleggiati, perché era debole la cittadinanza. Era tempo che tutti i galantuomini si schierassero risolutamente in difesa della causa dell'ordine, bandissero le condiscendenze e le transazioni pericolose, e facessero sentire alta la loro voce contro i principi sovversivi che guadagnavan terreno. La sera sarebbe andato al caffè Londra a dir l'animo suo agli amici. La traccia del suo pensiero, per quel giorno, eran le parole del Geri. Quella mattina alle dieci, tornato dalla sua passeggiata solita, mentre sua moglie e sua figlia erano andate a messa, gli capitarono in casa Alberto e la nuora. Egli si lanciò verso il figliuolo come se non l'avesse visto da un mese. Entrarono nella grande stanza da lavoro inondata di luce, tutti e due così freschi, belli, vestiti bene, splendidi di gioventù e di letizia, che il Bianchini mandò un'esclamazione di allegrezza, e rimase un momento a contemplarli tutti e due. Oh! Quell'Alberto! Quel caro figliuolo, era l'idolo e la gloria, e l'orgoglio suo! Ogni volta che lo vedeva, era tentato di cacciargli le mani in quei suoi folti capelli biondi arricciolati, come glie le metteva quand'era bambino, che ci si perdevano, come in un mucchio di matassine di seta! Non era molto alto di statura, ma di membra ben proporzionate e robuste, ed aveva il viso di suo padre, raffinato di forme, ma nobilitato dalla luce dell'ingegno, e la sua aria di bontà, ma ingentilita, e mista a una bella espressione d'alterezza virile. Egli provava ogni volta davanti a lui la gioia d'un artista mediocre a cui è scappato un capolavoro, il cui successo inaspettato lo stupisce e lo esalta. Ed egli godeva a metter giù davanti a lui ogni aria d'autorità paterna, a dimostrargli che sentiva la sua superiorità, per fargli meglio comprendere il suo affetto e la sua gratitudine. Sedettero un momento tutti e tre intorno a una tavola rotonda, di contro alla finestra, donde entrava un raggio di sole. E il Bianchini interrogò subito il figliuolo sugli avvenimenti del giorno innanzi, scherzando, parato a una scrollata di spalle di lui, che viveva tutto nella letteratura, e d'ogni altro argomento non si curava. — Hai visto, eh! — gli domandò — hai sentito ieri sera, quei mascalzoni? Il figliuolo rispose indifferentemente: — Ho visto. — E tacque un momento, come se gli rincrescesse di soggiungere quello che aveva in mente. — Ma che vuoi... — disse dopo — per me... mi fa pena una società che, quando quelli che la fanno vivere domandano un po' meno di lavoro e un po' più di benessere, per tutta risposta, mostra loro le baionette. Il padre lo guardò. — Capisco —, rispose poi — ma lo domandino in un altro modo. — È un pezzo che lo domandano in altro modo — osservò il figliuolo sorridendo — Che cosa hanno ottenuto finora? — Bisogna vedere se le loro domande sono ragionevoli. Insomma, la condizione degli operai s'è migliorata molto... da una volta. — È opinione discutibile. Se migliorata per alcuni, s'è peggiorata per altri, è diventata più precaria per tutti. Riconosco che stessero peggio una volta... ti parrebbe giusto negare a un giovane n***o un diritto, per la ragione che suo padre non ne aveva nessuno? Il Bianchini non afferrò lì per lì l'argomento. — Però ― disse — lasciamo andare; il migliorare la propria condizione dipende anche in gran parte da loro. Facciano anche un po' d'economia, smettano i vizi, s'istruiscano... — Ma caro papà — gli disse con un sorriso amorevole il figliuolo —; quando il salario basta appena alla vita come vuoi che basti a fare economia? I vizi! Dio mio, noi lo sappiamo bene che grandi vizi si possono avere senza danaro! E che tempo è lasciato loro per istruirsi? — Che tempo è lasciato loro per istruirsi! — ripeté il padre — dunque, tu sei per le otto ore di lavoro? — Certo. — E credi che le otterranno? — No. Gl'industriali dicono che non possono ridurre le ore, se in tutti i paesi i governi non le riducono; ciò che è vero. E i governi dicono che non possono perché le condizioni dei vari paesi, per industrie, clima etc., son troppo diverse. — Vedi dunque che lo stato attuale delle cose è inevitabile. — No, papà. Tu vuoi dire lo stato attuale delle cose era inevitabile che avvenisse, se prodotto necessariamente, come ogni fase d'uno sviluppo; questo è vero; ma è un'altra cosa. Come lo stato attuale è derivato da un altro, così un altro, col tempo, succederà a questo, necessariamente, per forza indipendente dalla volontà dei proletari e dei governi. Il Bianchini poi con stupore scrollò il capo, non persuaso. Poi domandò improvvisamente: — In che maniera? — Ah! quanto a questo — rispose sorridendo il figliuolo — io non lo posso sapere. Si può prevedere a che cosa arriverà la società, ma non segnare la via o le vie per cui passerà per arrivarvi. — Vorresti dire una rivoluzione? — domandò il padre fissandolo.
Free reading for new users
Scan code to download app
Facebookexpand_more
  • author-avatar
    Writer
  • chap_listContents
  • likeADD