Capitolo 1

2363 Words
1 Julian Un grido soffocato mi fa svegliare, interrompendo il mio sonno inquieto. Una scarica di adrenalina mi fa aprire l’occhio sano, e mi siedo, provocando con quel movimento improvviso un forte dolore alle costole rotte. Il gesso sul mio braccio sinistro sbatte al monitor che controlla il battito cardiaco accanto al mio letto, e l’ondata di dolore è così intensa da farmi girare la stanza dalle vertigini. Il cuore mi batte all’impazzata, e ci metto un attimo a rendermi conto di cos’è stato a svegliarmi. Nora. Dev’essere stata in preda a un altro incubo. Il mio corpo, già pronto a combattere, si rilassa un po’. Non ci sono pericoli, nessuno che ci stia dando la caccia. Sono sdraiato accanto a Nora nel mio lussuoso letto d’ospedale, e siamo entrambi al sicuro, visto che Lucas si è assicurato che la clinica svizzera fosse il posto più sicuro possibile. Il dolore alle costole e al braccio è più sopportabile ora, più tollerabile. Muovendomi attentamente, poggio la mano destra sulla spalla di Nora e cerco di svegliarla delicatamente. È girata dall’altra parte, con lo sguardo rivolto nella direzione opposta, quindi non posso guardarla in faccia per dire se stia piangendo o meno. La sua pelle, tuttavia, è fredda e sudata. Dev’essere stato un incubo lungo. Sta addirittura tremando. "Svegliati, tesoro" mormoro, accarezzando il suo esile braccio. Vedo la luce filtrare dalla finestra, e capisco che è mattina. "È solo un sogno. Svegliati, gattina mia . . ." Si irrigidisce al mio tocco, e mi rendo conto che non si è ancora svegliata, e che è ancora in preda all’incubo. Sento i suoi respiri corti, e i tremori che le scuotono il corpo. La sua sofferenza mi fa male, molto più di una ferita, e sapere di essere ancora una volta il responsabile di questo—di non essere riuscito a tenerla al sicuro—mi fa contorcere l’intestino dalla rabbia. Rabbia rivolta a me stesso e a Peter Sokolov—l’uomo che ha permesso a Nora di rischiare la sua vita per salvare me. Prima del mio maledetto viaggio nel Tajikistan, si stava lentamente riprendendo dalla morte di Beth, e i suoi incubi stavano diventando meno frequenti col passare dei mesi. Ora, però, i brutti sogni sono tornati—e Nora sta peggio di prima, a giudicare dall’attacco di panico che ha avuto ieri mentre stavamo facendo sesso. Voglio uccidere Peter per questo—e potrei, se mai dovesse incrociare il mio cammino. Il russo mi ha salvato la vita, ma ha messo in pericolo Nora, e non glielo perdonerò mai. E la sua fottuta lista di nomi? Può anche scordarsela. Non lo ricompenserò mai per avermi tradito in questo modo, nonostante le promesse che gli ha fatto Nora. "Dai, tesoro, svegliati" insisto, usando il braccio destro per abbassarmi di nuovo sul letto. Le costole mi fanno male per quel movimento, ma stavolta un po’ meno. Mi avvicino lentamente a Nora, spingendo il mio corpo al suo da dietro. "Va tutto bene. È tutto finito, te lo giuro." Fa un respiro profondo, e sento la tensione allentarsi dentro di lei, mentre si rende conto di dove si trova. "Julian?" sussurra, girandosi per guardarmi, e vedo che sta piangendo, e che ha le guance tutte bagnate dalle lacrime. "Sì. Sei al sicuro ora. Va tutto bene." Allungo la mano destra e le passo le dita sulla mascella, restando meravigliato davanti alla fragile bellezza del suo viso. La mia mano sembra gigante e rozza sul suo viso delicato, con le mie unghie rovinate e piene di lividi lasciati dagli aghi che Majid ha usato su di me. Il contrasto tra noi è evidente—sebbene neanche Nora sia del tutto incolume. La purezza della sua pelle dorata è scalfita da un livido sulla guancia sinistra, nel punto in cui quei figli di puttana di Al-Quadar l’hanno colpita. Se non fossero già morti, li ucciderei con le mie stesse mani per averle fatto del male. "Che cos’hai sognato?" chiedo sottovoce. "Beth?" "No." Scuote la testa, e vedo che il suo respiro sta tornando alla normalità. La sua voce, però, conserva ancora i residui dell’orrore, mentre dice con voce roca: "Ho sognato te, questa volta. Majid ti stava cavando gli occhi, e io non potevo fermarlo." Cerco di non reagire, ma è impossibile. Le sue parole mi riportano a quella stanza fredda e senza finestre, alle sensazioni di nausea che ho cercato di dimenticare negli ultimi giorni. La mia testa comincia a pulsare al ricordo dell’agonia, mentre il mio occhio sinistro brucia ancora una volta per la sensazione di vuoto. Sento il sangue e altri liquidi rigarmi le guance, e mi sento male a quei ricordi. Sono abituato al dolore, e perfino alla tortura—mio padre credeva che suo figlio potesse sopportare qualunque cosa—ma perdere l’occhio è stata l’esperienza più traumatica della mia vita. Da un punto di vista fisico, se non altro. Da un punto di vista psicologico, l’apparizione di Nora in quella stanza probabilmente detiene quel primato. Ci vuole tutta la mia forza di volontà per riportare la mia mente al presente, lontano dal terrore di vederla trascinata dagli uomini di Majid. "L’hai fermato tu, Nora." Mi fa male ammetterlo, ma se non fosse stato per il suo coraggio, probabilmente in questo momento mi starei decomponendo in qualche discarica del Tajikistan. "Sei venuta a salvarmi." Faccio ancora fatica a credere che l’abbia fatto—che si sia consegnata di proposito nelle mani di terroristi psicopatici per salvarmi la vita. Non l’ha fatto per qualche ingenua convinzione che non le avrebbero fatto del male. No, la mia gattina sapeva perfettamente di cosa fossero capaci, e tuttavia ha avuto il coraggio di agire. Devo la mia vita alla ragazza che ho rapito, e non me ne capacito. "Perché l’hai fatto?" chiedo, accarezzandole il labbro inferiore con il pollice. In realtà lo so, ma voglio sentirlo dire da lei. Mi guarda, con gli occhi velati dalle ombre per via del sogno. "Perché non posso vivere senza di te" dice sottovoce. "Lo sai, Julian. Volevi che ti amassi, e ti amo. Ti amo così tanto che andrei all’inferno per te." A quelle parole, provo un avido piacere privo di vergogna. Non ne ho mai abbastanza del suo amore. Non ne ho mai abbastanza di lei. All’inizio la volevo per la sua somiglianza con Maria, ma la mia amica d’infanzia non mi aveva mai suscitato nemmeno un’unghia delle emozioni che mi fa provare Nora. Il mio affetto verso Maria era innocente e puro, proprio come Maria stessa. La mia ossessione per Nora è tutto il contrario. "Ascoltami, gattina mia . . ." Tolgo le mani dal suo viso per poggiarle sulla sua spalla. "Ho bisogno che tu mi prometta che non farai mai più una cosa simile. Ovviamente sono contento di essere vivo, ma avrei preferito morire che metterti in pericolo. Non devi più rischiare la vita per me. Hai capito?" Il cenno con la testa che mi rivolge è debole, quasi impercettibile, e vedo un barlume nei suoi occhi. Non vuole farmi arrabbiare, quindi non mostra dissenso, ma ho il forte sospetto che farebbe ciò che riterrebbe giusto a prescindere da quello che sta dicendo in questo momento. Questo, ovviamente, richiede ulteriori misure pesanti. "Bene" dico. "Perché la prossima volta, ammesso che ci sia una prossima volta, ucciderò chiunque ti aiuti contro i miei ordini, e lo farò in modo lento e doloroso. Mi hai capito, Nora? Se qualcuno osa mettere in pericolo un capello della tua testa, per salvare me o per qualsiasi altra ragione, quella persona morirà in un modo molto sgradevole. Sono stato chiaro?" "Sì." È pallida ora, con le labbra serrate come se volesse trattenere una protesta. È arrabbiata con me, ma è anche spaventata. Non per sé stessa—ha superato quella paura ormai—ma per gli altri. La mia gattina sa che intendo mettere in pratica quello che ho detto. Sa che sono un assassino privo di coscienza con un solo punto debole. Lei. Stringendole le spalle, mi chino in avanti e la bacio sulla bocca chiusa. Le sue labbra sono rigide per un momento, mi resistono, ma appena le faccio scivolare la mano sotto al collo e le prendo la nuca, sospira e rilassa le labbra, facendomi entrare. L’ondata di calore che mi attraversa è forte e immediata, e il suo sapore mi fa indurire il cazzo in maniera incontrollabile. "Ehm, mi scusi, signor Esguerra . . ." Il suono della voce di una donna è accompagnato da un timido bussare alla porta, e mi rendo conto che sono le infermiere che fanno il loro giro mattutino. Fanculo. Sono tentato di ignorarle, ma ho la sensazione che torneranno tra un po’, forse quando avrò affondato le palle nella figa stretta di Nora. A malincuore lascio andare Nora, mi giro sulla schiena, sospiro per la scossa di dolore, e guardo mia moglie che salta giù dal letto e si mette in fretta una vestaglia. "Vuoi che apra la porta?" chiede, e io annuisco, rassegnato. Le infermiere devono cambiarmi le bende e assicurarsi che io stia abbastanza bene da poter viaggiare oggi, e ho tutta l’intenzione di collaborare. Prima finiranno, prima potrò uscire da quest’ospedale del cazzo. Non appena Nora apre la porta, entrano due infermiere, accompagnate da David Goldberg—un uomo basso e calvo, che è il mio medico personale alla tenuta. È un ottimo chirurgo specializzato in traumatologia, così gli ho mostrato i restauri sul mio viso, per assicurarmi che i chirurghi plastici della clinica non avessero combinato guai. Non voglio che Nora provi disgusto dinnanzi alle mie cicatrici. "L’aereo sta già aspettando" dice Goldberg mentre le infermiere cominciano a togliermi le bende sulla testa. "Se non ci sono segni di infezione, dovremmo riuscire a tornare a casa." "Perfetto." Rimango sdraiato, ignorando il dolore che mi provocano le cure delle infermiere. Nel frattempo, Nora prende alcuni vestiti dall’armadio e scompare nel bagno accanto alla nostra stanza. Sento l’acqua che scorre e mi rendo conto che deve aver deciso di fare una doccia. Probabilmente vuole evitarmi per un po’, visto che è ancora arrabbiata per la mia minaccia. La mia gattina è sensibile alla violenza verso quelli che lei considera innocenti—come quello stupido ragazzo, Jake, che ha baciato la notte in cui l’ho rapita. Ho ancora voglia di strappargli le viscere per averla toccata . . . e forse un giorno lo farò. "Nessun segno di infezione" mi dice Goldberg, quando le infermiere finiscono di togliere le bende. "Stai guarendo." "Bene." Faccio respiri lenti e profondi per controllare il dolore, mentre le due infermiere puliscono i punti di sutura e fasciano le costole. Negli ultimi due giorni ho preso la metà della mia dose prescritta di antidolorifici, e ora lo sento. Tra un altro paio di giorni, smetterò completamente di prenderli per evitare di diventarne dipendente. Mentre le infermiere mi sistemano le bende, Nora esce dal bagno, dopo essersi fatta la doccia e aver indossato un paio di jeans e una camicetta a maniche corte. "Tutto bene?" chiede, guardando Goldberg. "È pronto per andare" risponde lui, con un caldo sorriso. Credo che le piaccia, cosa che non mi dà fastidio, visto il suo orientamento omosessuale. "Tu come stai?" "Sto bene, grazie." Nora alza il braccio per mostrare un grande cerotto sulla zona in cui i terroristi le hanno tagliato per errore l’impianto di controllo delle nascite. "Starò meglio quando mi toglieranno i punti, ma non mi preoccupano più di tanto." "Ottimo, mi fa piacere." Voltandosi verso di me, Goldberg chiede: "Quando dovremmo andar via?" "Di’ a Lucas di preparare la macchina tra venti minuti" gli dico, facendo oscillare con cura i piedi per terra, mentre le infermiere escono dalla stanza. "Mi vesto, e ce ne andiamo." "Va bene" dice lui, girandosi per lasciare la stanza. "Aspetta, Dottor Goldberg, vengo con te" dice Nora in fretta, e c’è qualcosa nella sua voce che cattura la mia attenzione. "Devo prendere una cosa al piano di sotto" spiega. Goldberg sembra sorpreso. "Oh, certo." "Che c’è, gattina mia?" Mi alzo, ignorando la mia nudità. Goldberg distoglie educatamente lo sguardo mentre tiro il braccio di Nora, impedendole di uscire. "Che cosa ti serve?" Lei sembra a disagio, spostando lo sguardo di lato. "Che c’è, Nora?" chiedo, incuriosito. Stringo la presa sul suo braccio, mentre la tiro ancora più vicino a me. Mi guarda. Le sue guance si tingono di rosso, e ha la mascella serrata. "Ho bisogno della pillola del giorno dopo, va bene? Voglio assicurarmi di prenderla prima che ce ne andiamo." "Oh." La mia mente si svuota per un attimo. Non avevo riflettuto sul fatto che, non avendo più l’impianto, Nora può rimanere incinta. Vado a letto con lei da quasi due anni e, durante tutto questo tempo, era protetta dall’impianto. Sono così abituato a questo che non mi ero nemmeno reso conto che d’ora in poi dobbiamo prendere delle precauzioni. Ma Nora ovviamente se n’è resa subito conto. "Vuoi la pillola del giorno dopo?" ripeto lentamente, continuando a riflettere sull’idea che Nora—la mia Nora—potrebbe essere incinta. Incinta del mio bambino. Un bambino che lei chiaramente non vuole. "Sì." I suoi occhi scuri mi fissano. "È improbabile che succeda dopo una volta sola, naturalmente, ma non voglio rischiare." Non vuole rischiare di essere incinta di mio figlio. Provo uno strano senso di oppressione nel petto mentre la guardo, vedendo la paura che sta cercando di nascondere in tutti i modi. È preoccupata per la mia reazione, ha paura che io le impedisca di prendere quella pillola. Teme che io possa costringerla ad avere un figlio indesiderato. "Ci vediamo fuori" dice Goldberg, percependo la crescente tensione nella stanza, e prima che io possa dire una parola, esce dalla porta, lasciandoci soli. Nora solleva il mento, incrociando il mio sguardo. Vedo la determinazione sul suo viso quando dice: "Julian, so che non ne abbiamo mai parlato, ma—" "Ma non sei pronta" la interrompo, mentre il senso di oppressione nel petto si intensifica. "Non vuoi un figlio in questo momento." Annuisce, spalancando gli occhi. "Esatto" dice con cautela. "Non ho ancora finite la scuola, e tu sei ferito—" "E non sei sicura di volere un figlio da un uomo come me." Deglutisce nervosamente, ma non nega, né distoglie lo sguardo. Il suo silenzio è schiacciante, e il senso di oppressione che provo si trasforma in uno strano dolore. Lasciandole il braccio, faccio un passo indietro. "Puoi dire a Goldberg di portarti la pillola e qualunque altro controllo delle nascite ritenga migliore." La mia voce è insolitamente fredda e distante. "Ora vado a lavarmi e a vestirmi." E prima che lei possa aggiungere altro, vado al bagno e chiudo la porta. Non voglio vedere lo sguardo di sollievo sul suo volto. Non voglio pensare a come mi sentirei.
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