Capitolo 6: La Discesa nel Sepolcro

708 Words
La notte era scesa in anticipo, come se il sole avesse abbandonato il cielo di sua spontanea volontà pur di non guardare ciò che stava per accadere nel Cimitero di Nebbia. L’aria era immobile e pesante, così greve che ogni respiro sembrava un atto di coraggio. La nebbia si era raccolta a grappoli, lasciando alcuni angoli del camposanto insolitamente nitidi e illuminati dalla luna, quasi per guidare un percorso occulto. Filippo e Alberto si trovavano davanti alla cripta che, fino a pochi giorni prima, era rimasta sepolta alla vista e nella memoria di tutti. I gradini che scendevano nel ventre della terra erano invasi da erbacce e umidità, lucidi come vetro per via della condensa. Lo stipite dell’arco, scolpito nella pietra calcarea, era inciso da simboli antichi che Alberto aveva copiato e confrontato con le pagine del diario del vecchio custode. — Sei ancora convinto? — chiese Filippo, la voce roca, quasi un ringhio smorzato dalla paura. Alberto si voltò verso di lui. La luce lunare gli accarezzava il profilo, mettendo in risalto il taglio deciso della mascella e l’intensità viva degli occhi neri. — Sono più convinto che mai — rispose. — Ma non voglio farlo senza di te. Le parole ebbero un peso insolito. Filippo lo fissò, sorpreso. Una tensione sorda e carnale si insinuò tra loro, come una corrente sotterranea che minacciava di travolgerli. Il cimitero sembrava ascoltare. Scendendo i gradini, il rumore dei passi si fece cavo, amplificato dalle pareti umide. L’odore era un misto di pietra antica, acqua stagnante e qualcosa di dolciastro, simile al profumo di un fiore appassito. Man mano che avanzavano, le torce facevano balenare le radici che pendevano dal soffitto come dita ossute, mentre gocce d’acqua cadevano da chiazze di muffa blu e verde, simili a pietre preziose corrotte. Filippo guidava, ma ogni tanto si voltava verso Alberto, osservando quel volto ora concentrato e ora in preda a un’emozione febbrile difficile da decifrare. Giunsero in una sala circolare, dominata da un altare di pietra su cui campeggiava una statua consunta: una figura femminile, velata, con le mani tese in un gesto che poteva essere di supplica o di condanna. Ai suoi piedi, un'overture di reliquie: ossa disposte in forme geometriche e frammenti di stoffa antica. Alberto posò la mano sull’altare. Bastò quel contatto. L’aria cambiò, si fece più calda e pregna di un odore inebriante, di fiori notturni e di pelle umana. Una voce femminile, melodiosa e imperiosa, si insinuò nelle loro orecchie: «Finalmente…». Filippo sentì qualcosa in lui cedere. La vista gli si offuscò e immaginò Alberto in una luce quasi carnale, le vesti in disordine per il lavoro e la pelle imperlata di sudore, vicino abbastanza da percepirne il calore. L’archeologo, intanto, percepiva la presenza della donna della visione: era lì, ma riversata su di lui… e nella strana sovrapposizione di sensazioni, il calore del respiro di Filippo si confondeva con quello dell’apparizione. — Alberto… — mormorò Filippo, e in quel mormorio non c’era soltanto avvertimento. Era un richiamo. L’altro alzò gli occhi verso di lui, e il loro sguardo si agganciò come in un incantesimo in cui paura, attrazione e male si intrecciavano. Erano vicinissimi. Per un istante, il pericolo del luogo svanì, lasciando solo il battito dei loro cuori e il magnetismo di quella prossimità proibita. Fu la statua a interromperli. Un suono come un lungo respiro sfuggì dalla pietra, e le fessure da cui pendevano le radici si allargarono, lasciando filtrare correnti d’aria che portavano con sé sussurri in lingue ignote. Sul pavimento, alcune ossa presero a muoversi, formando lentamente un anello attorno a loro. Filippo serrò la mano attorno al polso di Alberto. — Dobbiamo uscire. Ora. Ma Alberto esitò, lo sguardo ancora fisso sulla statua. — No… credo che voglia mostrarci qualcosa. Dal velo che copriva il volto di pietra cominciarono a filtrare minuscoli fiotti di luce dorata, pulsanti come vene viventi. E in quell’istante compresero: la cripta non era stato solo un sepolcro, ma anche un altare. E ciò che era custodito lì sotto non aveva intenzione di lasciarli andare finché non avesse ottenuto ciò per cui li aveva chiamati. La nebbia, inspiegabilmente, si insinuava dal basso, riempiendo la sala sotterranea. I loro nomi, pronunciati insieme, echeggiarono tra le mura.
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