Capitolo 5: Il Conflitto

782 Words
Il pomeriggio era calato lento e opaco, e il sole si nascondeva dietro una coltre di nubi basse che sembrava imitare la densità della nebbia mattutina. L’aria del Cimitero di Nebbia aveva cambiato odore: non più soltanto terra umida e muschio, ma un sentore ferroso, leggermente dolciastro, che avvertiva del fatto che qualcosa si stava corrompendo. Il vento, irregolare, agitava le chiome dure dei cipressi, e su ogni lapide si posavano ombre più lunghe del dovuto, quasi disegnate da una mano maligna. Filippo stava sistemando una corona di fiori secchi su una tomba quando sentì il rumore ben noto della ghiaia sotto scarponi stranieri: il passo deciso di Alberto. L’archeologo emergeva dalla penombra come una figura scolpita nella foschia, il cappotto aperto, la borsa a tracolla pesante di strumenti e taccuini. Gli occhi neri gli brillavano di uno strano fervore, lo stesso che Filippo aveva visto il giorno precedente: uno splendore pericoloso, che non apparteneva alla prudenza, ma al desiderio. — Devo andare fino in fondo, Filippo — disse Alberto, senza preamboli, fermandosi a pochi passi dal custode. — Quella cripta che la nebbia ci ha mostrato… è la chiave. Il vecchio strinse il bastone, le nocche bianche. — La chiave per cosa? — ribatté, la voce bassa e cupa. — Per liberare ciò che dovrebbe restare imprigionato? O per condannarci tutti? Il vento strappò via le parole per un momento, facendo frusciare le foglie e far svolazzare un lembo della sciarpa di Alberto. I due uomini si fissarono, e per un istante la distanza tra di loro fu colma di sensazioni contrapposte: diffidenza, paura… ma anche un’intensa, inspiegabile attrazione. Non era un’attrazione solo di corpi, ma di nature opposte e complementari: il guardiano radicato come una radice centenaria e l’esploratore, portatore dell’ignoto, capace di muovere e sconvolgere. — Tu non capisci, Filippo — insistette Alberto, facendo un passo avanti. — Non sono qui solo per scavare. C’è… qualcosa che mi ha chiamato. La donna che ho visto ieri… non era un delirio. Lei mi vuole là sotto. Filippo lo fissò, tradendo un’ombra di turbamento. La voce di Alberto tremava non di paura, ma di desiderio. Era la stessa voce di chi pronuncia il nome di un amante proibito. — Nel cimitero, ogni desiderio ha un prezzo — sussurrò il custode, facendo un passo anch’egli verso di lui. Il loro respiro si confuse nella distanza minima tra i volti. — E tu non hai idea di quanto caro possa essere pagato. Per qualche secondo rimasero così, in un silenzio saturo di parole non dette. Poi Filippo si scostò, guardando oltre le spalle dell’altro, verso le tombe antiche. La nebbia sembrava flettersi e avvicinarsi, come un’onda pronta a travolgere. — Questa ossessione ti consumerà — disse infine, la voce come pietra che si spezza. — E se cercherai ancora, io sarò costretto a fermarti. — Fermarmi? — Alberto rise, un suono breve ma teso. — Forse tu hai paura perché hai vissuto qui troppo a lungo. Io invece… voglio sapere. Se c’è un legame fra quella donna e ciò che è sepolto, io lo scoprirò. Un lampo di rabbia attraversò lo sguardo glaciale di Filippo. Ma, sotto la superficie, c’era altro: una paura visceralmente legata all’idea di perdere quell’uomo nel vortice oscuro del cimitero… o peggio, all’idea che egli potesse riuscire, e riportare alla luce qualcosa che Filippo, da tutta la vita, custodiva. Mentre parlavano, il cielo si fece stranamente luminoso dietro le nuvole gonfie, irradiando una luce lattiginosa che alterava i colori di ogni cosa. Le statue sembravano più vive, le epigrafi pulsanti d’umidità. Un brivido percorse il terreno, così lieve che solo Filippo lo sentì, abituato a percepire ogni respiro della terra che proteggeva. Sacchi di nebbia si staccarono dalle zone d’ombra e cominciarono a scivolare lentamente verso la cripta nascosta. Sembravano chiamare Alberto come sirene silenziose. — Vedi? Anche oggi lei mi chiama — mormorò l’archeologo, già muovendo un passo nella direzione del varco fra le tombe. Filippo lo afferrò per un braccio. Il contatto fu caldo, vivo, carico di qualcosa che bruciava sotto la pelle. Per entrambi fu come uno scatto, una scossa da cui non si ripresero subito. Gli occhi di uno negli occhi dell’altro: un lampo di volontà, di rabbia, e poi qualcosa di più intimo e pericoloso. — Non andare, Alberto — disse infine Filippo, quasi sottovoce. — Non oggi. L’archeologo esitò, il respiro veloce, le labbra appena dischiuse, come per rispondere a un invito taciuto. Ma la tensione si spezzò con un nuovo sussurro portato dal vento: una voce femminile, dolce e terribile insieme, pronunciò il loro nome. Non c’era più tempo per discutere: la notte stava tornando, e con essa sarebbero tornate le ombre.
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