Prologo
Hendrix
Mentre guardo fuori dalla finestra della cucina, vedo la mia famiglia seduta attorno al tavolo esterno che ride e mangia. Era da tanto tempo che non erano così felici, e finalmente Jagger è al posto giusto. La sua ragazza è seduta da un lato e la sua bambina dall’altro.
Ha passato un periodo difficile e si merita tutto ciò che ha di buono nella vita, ma i giorni come questo sembrano una punizione. Servono a ricordarmi tutto ciò che non possiedo e che vorrei avere.
Abbasso la testa per la vergogna e lascio che la sensazione ormai familiare di desiderio e gelosia mi travolga. Ecco perché ho bisogno di andare via da qui. Viaggiare e separare il mio passato dal futuro. Non posso sprecare altro tempo, ho bisogno di fare in fretta e inseguire il mio cazzo di futuro. Qualunque esso sia.
All’improvviso sento una piccola mano sulla schiena. Mi irrigidisco, perché so che c’è soltanto una persona che manca dal perfetto quadretto familiare davanti a me.
«Drix.» La sua voce è bassa e bisognosa di attenzioni, e il nomignolo familiare sembra strano detto da lei. «Dobbiamo parlare.»
Stringo il ripiano di marmo per la frustrazione e scuoto la testa. «Non credo che ci sia altro da dire.»
«Per favore.» Si avvicina e il suo profumo indebolisce la mia determinazione.
Espiro pesantemente. So che, come sempre, vederla mi farà mettere in dubbio la mia decisione di andare via. Indietreggia quando mi volto e mi manca già il semplice tocco della sua mano.
Mi odio per questo.
Odio che tutte le strade conducano a lei.
I capelli biondo miele le ricadono in onde morbide attorno al viso ovale di porcellana. Mi osserva con desolazione e tristezza, e odio che questo sguardo sia riservato soltanto a me. Gli occhi color ambra, che perdono la loro luce ogni volta che sono vicino, penetrano i miei. Adesso che la vedo, che noto la postura, il modo in cui si mordicchia il labbro per il nervosismo, lo so.
So che la ragazza che ho amato per tutta la vita è venuta a spezzarmi il cuore un’altra volta.
Sono anni che facciamo tira e molla. Un passo in avanti, tre passi indietro. È arrivato il momento di dimenticare ciò che siamo stati, che avremmo potuto essere... o almeno provarci.
Ho bisogno di smettere di pensare a lei e concentrarmi su qualcos’altro. È stato il mio centro per troppo tempo e ho smesso di girare attorno a lei. È egoista e sbagliato lasciarla subito dopo il rilascio di Jagger, ma non ho molte opzioni.
Ho bisogno di immergermi in un mondo dove non rischio di vederla. Dove il sole sorge e tramonta a un orario diverso, dove posso respirare ed essere finalmente me stesso.
«Sasha, non posso farlo adesso.»
«Ne ho bisogno, Drix. Devo dirti ciò che provo prima che tu vada via. Devo scusarmi.» L’atmosfera diventa scoppiettante. «Devo dire addio.»
«Okay. Addio,» sbotto, facendo del mio meglio per apparire freddo e distaccato.
«Sarà strano senza di te.»
«Sarà meglio senza di me.» Scuote la testa e io accetto la sfida. «Chiedimi di restare.»
«Drix,» mi supplica, distogliendo lo sguardo. «Non farlo.»
Le parole diventano troppo e il mio cuore si crepa quando sente quelle rivelazioni dolorose. «Devo andare.»
«Aspetta.» Mi afferra la mano e si fionda su di me. Poi si alza in punta di piedi e preme il corpo contro il mio, baciandomi. Velocemente.
Il tempo si ferma. Un singolo momento da elaborare. Un singolo attimo per rendersi conto che non sarà mai abbastanza. Allungo un braccio e le stringo la nuca per attirarla a me. Le aggredisco le labbra, rubando il bacio che penso di essermi meritato.
Catturo il suo gemito e lo prolungo. Ci muoviamo con forza e frenesia, le nostre lingue duellano e la disperazione tra di noi diventa dolorosa.
Il rumore della porta sul retro che si apre mi spinge a sollevarla e ad allacciarle le gambe attorno alla mia vita. Raggiungiamo la mia stanza in poche falcate. I corpi che premono contro la porta, le labbra fuse, entrambi ci rifiutiamo di allontanarci per prendere fiato.
Il mio corpo vibra di rabbia e dolore, mentre il mio uccello pulsa per il bisogno. Se questa è la fine per noi, tanto vale lasciarsi avvolgere dalle cazzo di fiamme e bruciare.
Mi sposto verso il bordo del letto e la faccio sdraiare. Lei si sposta e toglie il vestito in una sola mossa, rivelando pizzo viola scuro che nasconde le parti di lei che muoio dalla voglia di vedere. Come se mi avesse letto nel pensiero, elimina anche l’ultima parte della sua armatura e mi guarda con sguardo carico di desiderio. Gattona fino al centro del letto con movimenti seducenti, il sedere in aria, la schiena inarcata e il viso arrossato pronto e in attesa. Non riesco a raggiungerla abbastanza in fretta.
Sfilo i jeans e i boxer, infine passo alla maglietta. Mi inginocchio sul materasso morbido sopra di lei, nudo e famelico.
Mi massaggio l’uccello, concentrandomi sulla sua pelle diafana, sui capezzoli rosa chiaro e sul sedere sodo. La bocca e le mani formicolano al pensiero di ciò che mi aspetta.
Poiché non riesco a controllarmi, mi fiondo su di lei.
«Perché?» chiedo tra un bacio e l’altro. «Perché vuoi concederti a me adesso?»
Mi guarda negli occhi, che si riempiono di lacrime, riportandomi a un tempo in cui le cose non erano così complicate, così difficili, e in cui era indubbiamente mia. «Abbiamo bisogno altri bei ricordi.»
Le stringo il seno e le lecco i capezzoli… ancora e ancora, perché non riesco a saziarmi. Mi fa scorrere le mani tra i capelli, affondando le unghie ogni volta che la sfioro con la lingua. Strofino l’uccello contro le coperte mentre faccio scorrere le labbra sul suo corpo e la frizione mi concede soltanto un sollievo minimo.
Mi fermo quando raggiungo la fica. Ho il respiro affannoso e il battito accelerato. Chiudo gli occhi, cercando di rallentare, ma lei solleva il bacino, facendomi capire di che cosa ha bisogno. Il suo profumo inebriante mi impedisce di trattenermi ancora. Le separo le labbra con la lingua, leccando e assaporando. Le stuzzico il clitoride, sfiorandolo e mordicchiandolo.
«Drix,» urla e so che non dimenticherò mai il suono della sua voce quando è sul punto di venire. Dato che ha bisogno di sentirmi in ogni parte di lei contemporaneamente, la penetro con due dita. «Sono così vicina,» geme. Inclina i fianchi verso il mio viso mentre l’uccello comincia a gocciolare. Le lecco il clitoride e piego le dita, andando più in profondità. Sollevo lo sguardo e memorizzo questo momento. Inarco le dita proprio nel punto giusto e vedo lo stomaco e le gambe che cominciano a tremarle. Ha la testa inclinata, il collo teso, il corpo inarcato e il suo è orgasmo sulla mia faccia. Questo è il mio paradiso.
Non appena si riprende, mi osserva, pensando alla mia prossima mossa. Mi sollevo e abbassa lo sguardo sul mio uccello grosso e bisognoso.
«È tuo, se lo vuoi,» la stuzzico. Senza dire una parola, si inginocchia, allineando la bocca con la mia asta. Mette le mani esili attorno a me, facendomi sussultare. Comincia a fare su e giù e io divento sempre più duro. Abbassa la testa, leccando la punta prima di accogliermi nella gola.
«Di più,» ringhio mentre spingo con forza. Le scopo la faccia in modo egoista, e lei mi accoglie senza problemi. Impreco contro le divinità quando le stringo la testa ed esplodo nella sua bocca senza avvertirla. Ancora una volta imprimo questo momento nella mia memoria. Le sue guance arrossate, le labbra morbide. È allo stesso tempo seducente e remissiva mentre ingoia ogni goccia del mio seme. Questo è il mio paradiso.
La sollevo e ci inginocchiamo entrambi senza smettere di guardarci. I momenti lascivi di prima impallidiscono accanto a quello che sappiamo che sta per accadere. Le stringo le guance e la bacio mentre lascio che i nostri corpi si sdraino sul letto.
Apre appena le gambe e quell’invito silenzioso me lo fa diventare di nuovo duro. Mi fermo davanti all’entrata e spingo. A entrambi sfugge un gemito di estasi. Trovo il ritmo giusto e ci muoviamo con armonia e familiarità.
Poiché non riesco a distogliere lo sguardo, la fisso negli occhi mentre le lacrime le rigano il viso. A ogni spinta le dono ogni parte di Hendrix Michaels. La mia felicità e il mio dolore, entrambi sono stati alla sua mercé, e ha ragione… deve finire.
«Mi dispiace,» geme.
Catturo le sue urla, scusandomi nell’unico modo che conosco. Si aggrappa a me mentre facciamo l’amore per la prima e ultima volta. Il mio corpo le regala gli ultimi quindici anni mentre il mio cuore si prepara e rinchiudersi in se stesso per proteggersi.
Stabiliamo insieme un ritmo, l’amore e l’odio tra di noi ci spingono sempre più in alto. Ogni movimento le accarezza la femminilità e la sento tremare.
Più forte.
Più in profondità.
Sprofondo nell’unico posto che può ferirmi e guarirmi. Seppellisce le unghie nelle mie spalle e io mi allontano, spingendo dentro di lei con abbandono sconsiderato mentre la osservo venire un’ultima volta.
«Drix. Drix. Drix.» Il mio nome sulle sue labbra sembra una preghiera e ogni gemito mi riecheggia attorno.
«Vieni per me, Sasha,» le ordino. «Lascia che ti ricordi così.»
Dopo quindici lunghi anni, finalmente ci spingiamo entrambi oltre l’orlo del precipizio e i nostri cuori si infrangono non appena atterriamo.
Questo è il mio paradiso.