1. Hendrix

2836 Words
1 Hendrix Otto Mesi Dopo Con la giacca sopra la spalla, tengo un bagaglio in ogni mano e li trascino verso l’uscita dell’aeroporto. Non appena lascio gli arrivi, vedo una folla di persone attorno a me, disperate di uscire e incontrare le loro famiglie. Sono stanco a causa del volo di quindici ore, quindi cammino lentamente mentre penso con timore all’altra ora che ci vorrà per tornare a casa. Sono passati otto mesi da quando ho lasciato Sydney. Alcune giornate sono state lunghe, ma la maggior parte delle settimane è passata in fretta. Dopo aver trascorso i primi tempi a crogiolarmi nel dolore del mio cuore spezzato, ho sfidato la Terra, chiedendole di guarirlo al mio posto, e l’ha fatto come meglio ha potuto. Guardo tra la folla e cerco un cartello con il mio cognome. Ho richiesto uno shuttle che mi portasse a casa. Niente scocciature. Niente cerimonie. Con la coda dell’occhio vedo braccia che si agitano, provando ad attirare la mia attenzione. Mi giro e sono sconvolto quando vedo Dakota, la mia nipotina di quindici anni, che saltella entusiasta. Sento il sorriso comparire con facilità sulle mie labbra quando provo il sollievo inaspettato nel vedere un volto familiare. Soprattutto il suo. Dakota è l’essere umano più eccezionale del pianeta e senza dubbio la mia persona preferita. Abbiamo un legame strano, forgiato in circostanze bizzarre, ma vederla qui anche se le avevo detto di non venire non mi sorprende. È altruista, al contrario di tutti gli adolescenti, e sono fortunato ad averla nella mia vita. Jagger, mio fratello e il padre di Dakota, è in piedi accanto a lei e cinge la vita della sua ragazza, Emerson, che è appoggiata felicemente a lui. Ovunque si trovi Jagger, Emerson lo segue e sono felice che sia così. Dopo aver trascorso dodici anni in prigione, questa è la seconda occasione perfetta per mio fratello. Mi dirigo verso di loro, la folla si divide e Dakota corre nella mia direzione. Lascio cadere lo zaino e mollo i bagagli per stringerla forte. «Sei qui,» urla. Ridacchio per il suo entusiasmo. «In carne e ossa.» «Siamo così felici che tu sia a casa,» dice mentre la rimetto a terra. Proprio quando afferma che anche gli altri sono felici di avermi lì, mi guardo intorno alla ricerca di un paio di occhi marroni che so che non troverò. Occhi che non dovrei cercare. Jagger aspetta che posi lo sguardo su di lui, rivolgendomi un sorriso triste e scuotendo leggermente la testa. Non è venuta. Ci stringiamo la mano e poi mi attira a lui con un braccio. «È bello riaverti qui, fratello.» «Anche per me è bello rivederti.» Ci lasciamo andare e mi avvicino a Emerson per abbracciarla. Abbastanza a lungo da infastidire Jagger. «Non dovevate venire a prendermi.» «Non dire sciocchezze,» ribatte Emerson, mentre guarda Dakota con un sorrisetto. «Non è che avessimo molta scelta, comunque.» Metto la mano sulla testa di Dakota e le spettino i capelli. «Anche tu mi sei mancata, ragazzina.» «Non farlo,» si lamenta in modo esagerato. «Sai quanto impiego per rendere i miei capelli così belli?» Le metto una mano attorno al collo e la attiro a me mentre camminiamo fianco a fianco. «Non dovresti essere a scuola oggi?» «Ho preso la mattina libera.» Sussulto, fingendo di essere sconvolto. «Ma odi saltare la scuola.» Scoppia a ridere. «Non salterò un giorno intero. Non volevo perdermi il tuo arrivo.» Controlla l’orologio. «Tornerò dopo la ricreazione e la mamma pensava che sarebbe stato un bel modo di darti il benvenuto.» Non appena nomina Sasha, mi rendo conto di essere davvero tornato a casa. La ragazzina tra le mie braccia, con un sorriso così smagliante che chiunque riuscirebbe a vederlo da un miglio di distanza, non è una persona che posso evitare. È la figlia di mio fratello. Mia nipote. Il mio sangue le scorre nelle vene. Eppure serve anche a ricordarmi una persona che pensavo di aver dimenticato. Ecco perché vivere oltreoceano era perfetto. Pensavo a lei alle mie condizioni. Di solito quando mi scolavo una bottiglia oppure quando pensavo al suo corpo mentre sotto di me c’era un’altra donna. Ci avevo provato con tutto me stesso ma non ero riuscito a ricreare la sensazione di estasi che avevo provato quando ero sprofondato dentro di lei. Ho impiegato più del necessario per capire che Sasha sarà sempre una cicatrice sul cuore. Un taglio profondo che resta chiuso soltanto grazie a un filo sottile e che minaccia di riaprirsi e sanguinare ogni volta che faccio un passo avanti. Non voglio più che sia un ostacolo, un dolore leggero con cui devo imparare a convivere. Non voglio pensare a lei con odio, rimpianto o amarezza. Meritiamo entrambi di meglio. Voglio soltanto che resti nel passato. Un ricordo. Un’esperienza. Un film che avevo guardato una volta. Una canzone che avevo sentito un tempo. Voglio ricordarla per ciò che è esattamente... un attimo che è trascorso. «Tornerò dopo la scuola.» La voce di Dakota mi riporta al presente. «Papà mi lascerà sulla strada di ritorno verso casa e tu dormirai mentre sarò via.» «Oh, davvero?» «Sì. Papà, digli che ha bisogno di dormire.» Mi volto verso Jagger e ridiamo entrambi della natura autoritaria della figlia. «Lo porterò a casa dopo che ti avrò lasciato a scuola. Gli rimboccherò persino le coperte e gli darò il bacio della buonanotte.» Lei alza gli occhi al cielo. «Comunque, assicurati soltanto di avere tutte le tue foto pronte, così potrò vedere se hai ascoltato i consigli che ti ho dato.» «Sissignora.» Le faccio il saluto militare. «Sarò pronto ad aspettarti.» * * * Mi rigiro nel letto, svegliandomi quando sento voci provenire dal salone. La mancanza di luce fuori mi fa intuire di aver dormito più di quanto volessi. Sono stanco e la mia mente lotta contro gli occhi che vogliono restare aperti. Il fuso orario e la sensazione piacevole del mio letto mi fanno sentire sotto anestesia. Sposto le coperte, mi metto seduto sul letto e appoggio i gomiti sulle cosce, stringendomi il capo. Ho bisogno di una doccia. Qualcuno bussa alla porta e sollevo lo sguardo per controllare chi sia quando vedo uno spiraglio aprirsi. «Ehi, amico. Ti ho svegliato?» domanda Jagger. «Salvo che io non dorma seduto, no. Non mi hai svegliato.» Mi strofino gli occhi con i palmi, abituandomi alla luce proveniente da fuori. «Stavo per alzarmi e fare una doccia. Va tutto bene?» «Sì, ti sto soltanto salvando da Dakota. Stava per buttare giù la porta e attivare l’allarme anti-incendio per svegliarti.» «La pazienza non è la sua virtù, eh?» «Non oggi.» «Anche lei mi è mancata.» Inclino la testa verso il bagno. «Dammi dieci minuti, arriverò presto.» «Drix,» dice prima di fermarsi. «Sì?» «Dakota non è l’unica ad aver sentito la tua mancanza.» «Oh, di’ a Em che anche lei mi è mancata.» Scuote la testa e sorride. «Fottiti.» Accendo le luci, vado in bagno e lascio che il vapore dell’acqua calda riempia la piccola stanza prima di andare sotto il getto. Muovo il collo e permetto al calore di allentare la tensione della testa, delle spalle e della schiena. Il lusso di avere a disposizione acqua calda infinita mi travolge, e mi sfrego con la spugna più volte. Abbasso il manico di acciaio privo di macchie e l’acqua smette di scendere, così afferro l’asciugamano appeso alla porta di vetro. Mi asciugo, ritorno nella stanza e cerco tra la pila di vestiti puliti finché non trovo un paio di pantaloni comodi e una maglietta. «Sorpresa.» Tre voci familiari ma stonate riecheggiano nella stanza, seguite dal rumore dello sparacoriandoli e dai festoni lanciati verso di me. «Che cosa succede?» chiedo, anche se lo so. «È la tua festa di bentornato.» Il sorriso ingenuo di Dakota illumina ogni angolo della stanza. «Abbiamo preso il cibo tipico di ogni posto che hai visitato e puoi raccontarci una storia e mostrarci le foto ogni volta che ci fermeremo in un paese.» Sposto lo sguardo tra Jagger ed Em che, come chiunque incontri Dakota, si lasciano travolgere dal suo entusiasmo. «Allora diamo inizio alla festa, muoio di fame.» * * * «Wow, questi posti sono bellissimi.» Dakota tamburella le dita sulla tastiera del portatile, osservando tutte le foto che ho scattato durante il mio viaggio. Nonostante il paesaggio fosse mozzafiato, c’è qualcosa di stranamente soddisfacente nell’essere qui e sentire la nota di invidia nella voce di tutti mentre racconto storie e mostro souvenir. Serve a ricordarmi che mi sono buttato e che ho fatto una cosa che non è da me. Ho la sensazione di essere in ritardo, ma provo a concentrarmi su quello. Ho avuto le mani legate per troppo tempo e ho fatto ciò che ho dovuto con le carte che mi erano state date. Adesso non c’è fretta, devo soltanto promettere a me stesso che io sono una priorità, almeno per un po’. Dakota ci osserva con gli occhi spalancati, come se fosse in trance. «Non vedo l’ora di andare in tutti questi posti.» Abbassa lo sguardo sulle mani e comincia a contare con le dita. «Che cosa fai, piccolina?» chiede Jagger. «Finirò la scuola l’anno prossimo e, non appena avrò diciotto anni,» dice, indicando la foto di Valletta, la capitale di Malta, al tramonto. «Andrò lì.» Jagger corruga la fronte ed Emerson gli massaggia la schiena per confortarlo. «È un po’ troppo presto per organizzare, non credi? E se volessi restare qui? O andare prima all’università?» «Università,» ripete con il viso privo di colore. «Non andrò all’università. Non prima di aver scattato le foto a tutto il mondo.» «Non puoi farlo dopo?» Per quanto tempo sia passato, conosco ancora mio fratello come il palmo della mia mano, e mi si spezza il cuore per l’uomo che ha appena riavuto sua figlia soltanto per lasciarla libera nel mondo senza poter fare nulla per fermarla. «Sì, ma non voglio farlo.» Jagger non le farebbe mai pressioni né le direbbe che non può andare. Non quando si sente così in colpa per i dodici anni della sua vita che si è perso. Tuttavia, questo non significa che cederà così facilmente. Il problema è che nemmeno lei lo farà. «Credo che dovresti aspettare e vedere come andranno i prossimi due anni.» Faccio capire a Jagger che gli guardo le spalle e provo a spostare la conversazione dalla discussione inevitabile. «Quando finirai la scuola, potresti non voler viaggiare.» Qualcuno bussa alla porta, smorzando la tensione ancora prima che possa esplodere. Mi volto verso mio fratello e chiedo: «Aspetti qualcuno?» «Con molta probabilità si tratta della mamma,» risponde Dakota. «Pensavo che avresti passato la notte qui.» Jagger mi ignora e va verso la porta mentre Dakota prende la borsa dalla cucina per poi raggiungere i suoi genitori. «Sei pronta? Dobbiamo andare.» La voce affrettata di Sasha risuona nella casa e mi mordo la guancia quando sento il suo tono infastidito. «Aspetta,» esclamo a voce un po’ troppo alta. Con due grandi falcate mi ritrovo accanto a Jagger a fissare la donna che sembra diversa, ma la cui presenza mi soffoca come sempre. «Ciao.» Il mio saluto è innaturale e privo di emozione, anche se civile abbastanza per il nostro pubblico. «Ho un regalo per Dakota, lascia che lo prenda dalla valigia.» Annuisce appena e abbassa lo sguardo, nascondendosi da me. Fa male. Indietreggia verso l’oscurità. «Aspetterò in auto.» Senza parole, ricaccio indietro ciò che è appena successo e prendo il regalo di Dakota. Le passo l’album di fotografie avvolto in una mappa di Roma che ho realizzato proprio per lei. «Aprilo a casa,» le dico. È pieno di foto che le ho nascosto di proposito questa sera. So che decreteranno la decisione finale sul suo futuro e che dovrò fare da mediatore tra lei e Jagger quando arriverà il momento. Con uno sguardo di intesa, si alza in punta di piedi e mi dà un bacio sulla guancia. «Grazie, sono felice che tu sia a casa.» «Anch’io.» «Ti voglio bene.» «Sempre, ragazzina.» Lascio che Jagger e Dakota si salutino, ed Emerson incrocia il mio sguardo, rivolgendomi un sorriso dispiaciuto che non capisco. Scelgo di ignorarla e comincio a pulire il tavolo. Ho condiviso lo stesso spazio di Sasha per qualche minuto e non riesco a ignorare l’istinto di sopravvivenza del mio corpo. Ho passato otto mesi senza dirle una parola, senza vederla, senza respirare la sua stessa aria, e non è servito a niente. Vorrei colpire qualcosa. Vorrei urlare e lanciare oggetti come un folle. Voglio soltanto un po’ di spazio, cazzo. «Drix.» La voce di Jagger interrompe la mia furia interiore. «Possiamo parlare?» Percepisco i loro sguardi cauti e sono ancora più a disagio, anche se di solito mi sono sempre sentito al sicuro a casa mia, con la mia famiglia. «Che succede?» «Niente, prendi soltanto una bibita e siediti. Vogliamo dirti una cosa.» «State per avere un bambino?» «Che cosa?» urla Emerson, facendomi ridere. «Siediti e basta.» Apro la birra e mi siedo davanti a Jagger, che sembra nervoso. «Sputa il rospo, fratello. La preoccupazione non ti dona.» Prende un sorso e guarda prima Emerson e poi di nuovo me. «Em e io pensavamo di andare a vivere insieme.» «Okay,» dico, prima di fare una pausa. «Non era quello che mi aspettavo, ma sai che per me non è un problema se vivi qui. Em, anche tu sei la benvenuta. Vieni quando preferisci.» «Lo sappiamo,» dicono all’unisono. «Ma…» Inarco le sopracciglia. «Dakota.» «Che c’entra lei?» «Sasha.» «Merda, Jagger, che cazzo succede?» «Dakota verrà spesso qui, forse anche di più, perché vivo qui, e tu e Sasha…» «Non c’è nessun Sasha e io,» lo interrompo. «Esatto.» Emerson gli stringe la spalla e lui sospira, appoggiandosi allo schienale. «Vi lascio da soli. Ci sono una doccia e un letto che mi chiamano.» Jagger le lancia uno sguardo famelico e lei lo bacia, dandogli un assaggio di ciò che lo aspetta. Si separano e, mentre va via, lui la divora con gli occhi. «Va’ con lei,» dico, prendendolo in giro. «Possiamo finire dopo.» «Bel tentativo.» Mi rivolge un sorrisetto. «Mi aspetterà.» «Non ne dubito.» «Vuoi un’altra birra?» chiede. «Vuoi farmi ubriacare?» «Forse.» Va verso il frigorifero e torna subito con due bottiglie di birra, pronte a darci un po’ di coraggio liquido. «Ascolta, Drix,» dice con calma. «Ciò che è successo con Sasha sarà sempre affar tuo, ma sei andato via per allontanarti da lei.» «Non sono andato via per questo.» «Stronzate,» esclama con tono agitato. «Sono passati otto cazzo di mesi e ti sono bastati due secondi per tornare al punto di partenza. Non è migliorato niente. Non è cambiato nulla.» «Non importa, Jagger. Dakota non è negoziabile. Sopporterò tutto pur di vederla. Che tu viva qui o no, non farà differenza.» «Non mi aspetterei diversamente, Drix.» Scuote la testa. «Non si tratta di questo.» «Allora di che cosa si tratta?» «Sono stanco di vederti soffrire per lei. Lei non vuole parlarne con me, e nemmeno tu, e mi uccide sapere che state entrambi male.» «Pensavo che andare via avrebbe cambiato le cose, ma non riusciva nemmeno a guardarmi.» Mi si spezza la voce e il volto di Jagger diventa una maschera di angoscia. Non posso nascondere che la situazione sia più grande di me. Non ho una soluzione e non è vero che il tempo guarisce tutte le ferite, è una montagna di stronzate cui non posso più aggrapparmi. «Sai.» Si massaggia la nuca prima di bere un altro sorso. «Era un disastro quando sei andato via.» Stranamente, saperlo mi calma. È confortante sapere di non essere l’unico a soffrire. «Una sera è venuta qui con gli occhi gonfi e il viso teso, era chiaro che avesse pianto per ore. Quando ha chiesto se Dakota poteva restare qui per una settimana, ho capito che la situazione era brutta.» Ripenso a tutte le volte in cui ho bevuto ogni cosa su cui posavo gli occhi fino al punto di non ricordare chi fossi, dove mi trovassi o che cosa stessi facendo, e rammento quanto fosse davvero brutta la situazione. «È successo qualcosa?» chiede. Espiro prima di lanciare la bomba. «Siamo stati a letto insieme.» Non dice una parola, così vado avanti. «È successo qui, il giorno del barbecue, prima della mia partenza. È stata la nostra prima e ultima volta.» «Che cosa?» chiede, sconvolto. «La conosci da tutta la vita e non avevate mai…» «Sono andato a letto con molte donne, Jagger, ma nessuna di loro era lei.» «Cazzo.» Si passa le mani tra i capelli con espressione confusa. «Non so…» Si interrompe, scuotendo la testa. «Beh, che cos’è successo? Come vi siete sentiti dopo?» La sua domanda è legittima. Vuole sapere di più, vuole provare a comprendere come siamo arrivati a questo punto complesso e incasinato. Vorrei poterlo accontentare. Vorrei poter accontentare entrambi. Sollevo la bottiglia e mi scolo quel che resta prima di metterla giù, vuota, tra di noi. Mi avvicino, guardo mio fratello dritto negli occhi e ammetto la ovvia, dura e dolorosa verità. «Non importa. Non è cambiato un cazzo di niente.»
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