Personaggi-2

2003 Words
Ho paura e c’è burrasca. *** Un giorno di gennaio 1967. Ore 17:30. Via Gramsci. Genova Il fumo della sigaretta ha creato una nebbia azzurrina che riempie l’abitacolo dell’auto, rendendo vaghi i contorni dei visi degli occupanti: un uomo, seduto sul sedile del guidatore e una donna, seduta accanto a lui. Le note di un brano musicale, che lei non conosce, risuonano dall’autoradio accesa. Nessuno dei due ha voglia di parlare. Né l’uomo che sembra concentrato nella guida, né la donna che teme di disturbarlo. Quando l’auto si ferma, raggiunto il parcheggio, la mano dell’uomo si protende verso il cruscotto e lentamente, con tutta calma schiaccia il tasto off. La donna fissa un punto imprecisato davanti a sé, evitando il suo sguardo. – Scendi. – La voce perentoria non lascia spazio a repliche. Lei apre lo sportello e butta fuori le gambe che, nel gesto, la gonna stretta e corta ha scoperto fino all’attaccatura delle cosce. I due si avviano verso via Prè. Lui elegante nel suo completo grigio cammina con passo svelto e lei, ostacolata dai tacchi alti, lo segue cercando di tenerne il passo. – Aspettami! – Piagnucola poco convinta. L’uomo rallenta un poco e la donna si afferra al suo braccio e prende a camminare accanto a lui. Percorrono il vicolo in tutta la sua lunghezza, ma lui sembra cercare qualcosa. Qualcuno. La trascina all’interno di quel groviglio di viuzze in una stradina i cui gradini bassi e dal passo lungo, salgono verso una piazzetta nascosta tra palazzi alti e fatiscenti. – Ecco. Quella. – La voce dell’uomo è decisa e vibra di emozione. – Sei sicuro? Non mi sembra molto attraente. – Non è a te che deve piacere. – Sì, ma... – Aspettami qui. L’uomo si avvicina alla prostituta. Lei lo guarda incuriosita e gli indirizza un sorriso accattivante, favorevolmente colpita dal suo aspetto elegante e distinto. Durante la breve trattativa volgono entrambi lo sguardo verso quella figura che è rimasta in attesa poco distante e a cui l’uomo accenna. Se la prostituta si è stupita della richiesta originale non lo ha dato a vedere e l’entità della somma offerta l’ha indotta ad accettare senza discutere. Il curioso terzetto si avvia su per la crêuza, le due donne davanti, affiancate, e l’uomo dietro. Raggiungono un portoncino di legno dalla vernice scrostata che si apre su una scala ripida e buia. I gradini di ardesia conducono a un uscio che viene aperto su una stanza arredata modestamente. Il letto, che occupa quasi tutto lo spazio, è coperto da una stoffa lucida a colori vivaci e la finestra dalle persiane accostate lascia filtrare solo uno spiraglio di luce. Nell’aria aleggia un vago profumo di colonia dozzinale misto all’odore di cibo stantio. Dopo aver fatto entrare i suoi clienti nella stanza la prostituta resta in piedi incerta e la voce aspra dell’uomo la incalza. -Allora? Cosa aspettate? Sapete cosa dovete fare. Le due donne si spogliano e si sdraiano sul letto. La prostituta è stata istruita a dovere, gli ordini dell’uomo sono stati precisi, mentre l’accompagnatrice conosce già i suoi desideri. Lui, in piedi in fondo alla stanza, nella penombra creata dalla tenda, osserva muto la scena che si svolge sotto i suoi occhi. Come le volte precedenti lei lo ha lasciato solo con la prostituta e lo aspetta in strada. Stringe nervosamente tra le mani la borsetta, mentre passeggia nel piccolo spazio deserto dinnanzi al portone. Nel frattempo si è fatto quasi buio e i lampioni si sono accesi. Le sembra che sia passata un’eternità, quando l’uomo, arrivato alle sue spalle, la prende per un gomito, senza tanti complimenti, e la sospinge verso la via principale, preso da una improvvisa fretta di allontanarsi da lì. La donna incespica sui tacchi alti, ma viene sorretta, quasi trascinata fino alla macchina, senza parlare. Il silenzio li accompagna durante tutto il viaggio di ritorno. A tratti lei si volta verso di lui. Butta una rapida occhiata sul suo viso di cui sembra studiare l’espressione, ma lo sguardo dell’uomo è fisso sulla strada, nessuna piega delle labbra, nemmeno una piccola ruga sulla fronte. Nessuna tensione muscolare, nessuna incertezza nella guida. 6 marzo. Ore 19:30. Ospedale San Paolo Gloria apre gli occhi. La prima cosa che vede è un soffitto. Un soffitto alto e bianco. Si rende conto di essere sdraiata. Si guarda intorno e capisce di essere a letto, in un posto che non conosce, ma che somiglia in tutto e per tutto a un ospedale. La stanza è grande, con i muri bianchi e il tipico arredamento: letto di ferro, armadietto, tavolino e due sedie in formica, lavabo sormontato da un piccolo specchio. La finestra mostra un rettangolo di cielo di quel blu scuro che traghetta il giorno verso la notte. La ragazza è stupita, non conosce il motivo per cui si trova in quella stanza, non ricorda di essere stata male, non sente nessun dolore nel corpo, solo una gran stanchezza e una specie di confusione nella testa, un torpore che le pesa sugli occhi e la costringe a chiuderli, ad abbandonarsi al sonno. Si apre una porta ed entra sua madre. – Ti sei svegliata? Come stai? Lina sembra preoccupata e Gloria ne ricava l’impressione che sia successo qualcosa di grave, qualcosa di brutto. – Mamma! Perché sono qui? – Sei svenuta. Non si riusciva a farti rinvenire e così ti hanno portata qui. I medici hanno detto che è stato lo shock, ti hanno dato dei sedativi. È normale dopo quello che è successo. – Dopo quello che è successo? – Sì, insomma, quello che hai visto... – Quello che ho visto. Quello che è successo. Ma io non ho visto nulla. Mamma cosa è successo? Dove? Io non so nulla. – Calmati, bambina mia. Eri a scuola, ricordi? – Che giorno è oggi? – È martedì. La mamma di Gloria cerca di mantenere la calma, ma è spaventata dall’atteggiamento della figlia che sembra ignorare gli avvenimenti della giornata. Sembra non sapere neppure dove si trovava e perché. – Dovevo essere a scuola... certo... – Durante l’ora di greco hai chiesto al professore il permesso di uscire. – Non ricordo... ho sonno, ho solo voglia di dormire. Cosa mi sta succedendo? – Non lo so, vado a chiamare un medico. Lina esce dalla stanza in preda alla preoccupazione. La ragazza sente le palpebre pesanti che non vogliono saperne di stare aperte. Il cielo oltre la finestra ha ormai il colore della notte, una notte che sembra pesare come il piombo sugli occhi di Gloria. Cerca nel sonno il rifugio più sicuro, una fuga inconsapevole, la speranza di svegliarsi e pensare di aver sognato, guardarsi intorno e riconoscere le mura rassicuranti della propria camera, le tende leggermente sbiadite e il ramo del tiglio che sbatte sulla finestra quando c’è vento. – Non si preoccupi, signora, ora vediamo. Il medico, giovane, con l’atteggiamento di chi crede ancora che la sua sia una missione, si avvicina al letto. Prende il polso di Gloria tra le dita e, dopo aver appurato che il battito è regolare, scuote dolcemente una spalla della ragazza. Lei reagisce aprendo gli occhi che richiude immediatamente, in preda a una sonnolenza incoercibile. – Come sta? Come mai non riesce a stare sveglia? – Stia tranquilla signora, la ragazza sta benissimo. La sua è una normale reazione ai sedativi che le abbiamo somministrato. Deve superare lo shock. A quest’età i traumi sono particolarmente difficili da affrontare e, a quanto so, sua figlia ne ha avuto uno piuttosto forte. Vada a casa. La lasci tranquilla. Domani mattina, quando tornerà a vederla, starà meglio. – Dottore la ringrazio. Mi scusi, ancora una cosa. Ho visto nel corridoio dei poliziotti... – Sì. Speravano di poter interrogare la ragazza, ma naturalmente oggi non è proprio possibile. Abbiamo proibito loro di entrare nella stanza. Torneranno domani, quando sarà in condizioni di rispondere alle loro domande. – Capisco. Grazie ancora. Allora vado? – Per ogni evenienza ci sono le infermiere. Un giorno di gennaio 1967. Ore 17.10. Stazione Piazza Principe. Genova La stazione Principe è grande. Più grande della stazione di Savona, quella da cui Alessandra è partita. L’idea di salire su un treno e allontanarsi dalla sua città, dalla sua casa, da sua madre, le è venuta dopo l’ennesimo litigio. Sempre per gli stessi identici motivi. Non è proprio una fuga. Piuttosto il desiderio di mettere tra lei e i soliti problemi un po’ di spazio. Allontanarsi per respirare un’aria diversa. Per vedere le cose più chiaramente. Durante tutto il viaggio in treno ha pensato e ripensato alle parole della madre. – Finirai male se continui così. Devi studiare, prepararti un avvenire. Sei sempre a chiedere soldi. I soldi non crescono sugli alberi. Io fatico, dalla mattina alla sera. E tu cosa fai? Pensi ai vestiti invece che pensare alla scuola. Sei sempre in giro, fuori casa invece di studiare... Non ne poteva più di quelle prediche. Soldi, soldi, sempre lo stesso problema. La sua vita è sempre stata condizionata dalla mancanza cronica di denaro. La madre riesce a procurarsi appena di che sopravvivere, e a lei non basta. Non più. La rabbia che cova dentro l’ha spinta a quella specie di fuga, e l’ha accompagnata nel tragitto fino a Genova. Alessandra esce sul piazzale della stazione e si guarda intorno. Non è mai stata a Genova e, prima di decidere la direzione da prendere, resta incerta per qualche istante. Davanti a lei si apre via Balbi, fiancheggiata da palazzi monumentali. A sinistra una via si arrampica snodandosi in stretti tornanti attraverso un quartiere popoloso, irto di caseggiati che si distribuiscono sulla collina, mentre verso destra un vicoletto porta nel cuore della città vecchia. La decisione è presa e in un attimo la ragazza, convinta di compiere un atto di grande trasgressione, si trova in via Prè: la zona che in provincia, nella sua Savona, gode della peggiore fama. Sta percorrendo da sola, all’insaputa di tutti la via del peccato per antonomasia! Un brivido di eccitazione le percorre la schiena. Cammina guardinga assaporando il gusto di quella che a lei sembra un’avventura trasgressiva. Osserva le prostitute che si appoggiano sfacciatamente agli stipiti dei portoni. Bionde, rosse, pesantemente truccate, mettono in mostra grossi seni bianchi come il latte, muti testimoni che il sole, tra i muri troppo addossati dei vicoli, non li raggiunge mai. Ascolta i richiami degli spacciatori di sigarette di contrabbando, con i loro banchetti improvvisati; viene raggiunta dai venditori che promettono macchine fotografiche, radioline a transistor, mangiadischi e apparecchi di ogni tipo, a prezzi d’occasione. Vari dialetti si incrociano. Napoletano e calabrese per la maggior parte. Annusa con gusto gli odori che si sprigionano dalle friggitorie che aprono i loro usci sulla strada, inondandola del profumo della farinata e delle acciughe fritte. Tanta gente cammina sul lastricato sconnesso; frotte di bambini corrono giocando e urlando; si sentono richiami da una finestra all’altra; qualche verso di una canzone popolare rimbalza da un muro all’altro di un vicolo; lenzuola stese tra le case come bandiere sventolano alla brezza che porta l’odore del mare; un mondo straccione che brulica nel cuore pulsante della città si muove pigramente, ma senza sosta, nelle sue vene più profonde e vive. Alessandra osserva affascinata quello spettacolo per lei nuovo e intrigante, quando il suo sguardo viene catturato da un’immagine che contrasta in maniera stridente con il resto dell’umanità che la circonda. 7 marzo. ore 6:30. Ospedale San Paolo Per la seconda volta Gloria si risveglia nella stanza del reparto di medicina generale dell’ospedale. Riconosce il luogo, anche se ancora non si rende conto del perché si trovi lì. Dal corridoio le arriva il chiacchiericcio delle infermiere che passano di stanza in stanza, ridacchiando e cercando di scacciare la fatica della levataccia e di risollevare il morale dei pazienti. La vita in ospedale comincia presto. È appena spuntato il sole dietro i vetri della finestra e si indovina il mare, al di là della fortezza del Priamar, oltre le palme e i lecci dei giardini. Un’infermiera entra nella stanza. È una brunetta piccola e tonda, ben fasciata nell’uniforme candida. Porge il termometro, una pillola insieme a un bicchiere d’acqua, misura la pressione, sorride, chiede come va. – Tutto bene? tra poco arriva la colazione. Se ne va in fretta come era venuta, senza darle il tempo di fare nessuna domanda e di rispondere che no, non va bene. La colazione arriva subito dopo. Qualcuno posa sul comodino di Gloria un pacchetto di fette biscottate, una piccola confezione di marmellata, una bustina di zucchero e una tazza di thè.
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