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Burrasca

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Blurb

Che cosa può avere in comune la morte di una studentessa del liceo classico di Savona con quella della quarta prostituta assassinata a Genova?

Il commissario Marongiu, alle soglie della pensione, coadiuvato dal giovane ispettore Cantini si trova a dover districare la matassa, tra una ragazza che ha perso la memoria, professori con vizi segreti, crisi familiari e sentimentali. Riesce a trovare il filo che lega queste due uccisioni Maria Viani, studentessa alle prese con l’esame di maturità imminente e investigatrice alle prime armi, in balia di una primavera ventosa e segnata da frequenti burrasche che fanno da sfondo agli avvenimenti più drammatici. Siamo alla fine degli anni Sessanta, un attimo prima che scoppi la contestazione studentesca e l’autunno caldo degli scioperi operai, nella quiete, solo apparente, di una provincia addormentata.

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Personaggi Maria Viani: allieva della 3ªC Francesco: innamorato di Maria Gloria Risso: allieva della 3ªC Marco cardelli: fidanzato di Gloria Lina: madre di Gloria Pietro Marongiu: commissario Lucia: moglie del commissario Sergio Cantini: ispettore Alfredo Caponnetto: agente scelto Alessandra: allieva della 2ªC Matilde: madre di Alessandra Giacomo Baldassarri: insegnante di greco Vittorio Maria Giberti: insegnante di italiano e latino Giulia Cossu: insegnante di italiano e latino Oscar Zanella: insegnante di storia e filosofia Agostina Bertani: insegnante di fisica e matematica Amalia Andreini: insegnante di scienze Giorgia Vassallo: insegnante di ginnastica Don Rosario Gentile: insegnante di religione Elisabetta Pessano: preside Gina e Benedetta: segretarie Fabrizio Fabbri: giovane medico Barbara: infermiera Giuseppe Landi: commissario di Prè De Giovanni : ispettore di Prè Angelo Agostini : “Angela” Marcello De Maria: questore 6 marzo 1967. Ore 8:00. Liceo Ginnasio Gabriello Chiabrera. Savona È un giorno come un altro. Una mattina come tante altre. Un gruppo di studenti, per la maggior parte femmine, è riunito davanti all’edificio scolastico e malgrado stia suonando la seconda campanella, quella dopo la quale viene chiuso il portone, non accenna a entrare. Una giovane che si trova al centro del capannello si rivolge gesticolando concitatamente ai ragazzi che le stanno intorno. – In tutte le principali città americane i giovani stanno facendo manifestazioni, nelle piazze, davanti agli edifici pubblici, nelle strade e sciopero nelle scuole e nelle fabbriche! Ma dove vivete? Una voce ribatte con tono canzonatorio alle parole della “pasionaria”. – Quelli protestano per la guerra nel Vietnam. A noi che ce ne frega? Mica siamo in America qui! Intorno alcuni ridacchiano, altri scuotono la testa. Un giovane alto e magro, che fino a quel momento si era tenuto in disparte, si avvicina per intervenire. – È vero, hanno cominciato protestando per la guerra in Vietnam dove i giovani americani delle classi più povere, soprattutto neri e ispanici, muoiono senza nemmeno sapere perché, ma poi la protesta si è allargata. Contestano il sistema. Marciano contro i politici, contro le vecchie generazioni che non tengono in nessun conto le idee dei giovani. Insomma rivendicano i loro diritti. I giovani manifestano per la libertà. E le proteste ormai si sono estese anche alle città dell’Europa. – Parli bene tu, ma qui siamo in Italia. Ti sei guardato intorno? Questa è una città di provincia. Cosa vorresti fare? Organizzare anche qui una protesta? Qui abbiamo altro da pensare. – Certo se non si ha il minimo coraggio di rischiare qualcosa... – Io quest’anno ho la maturità. Non ci penso neanche a fare cazzate. Fuori dai piedi... e poi tu non sei neppure di questa scuola. Diversi ragazzi si avvicinano al giovane, lo circondano, senza dire nulla, quasi si fossero passati una parola d’ordine. I loro visi sono seri e gli sguardi che gli lanciano per nulla rassicuranti. – Ma sì. Fate come volete. Conigli. Provinciali che non siete altro. Non vale la pena discutere con voi. Il ragazzo ha colto il messaggio. Prende per mano la giovane “pasionaria” e insieme si allontanano. – Ecco, bravo. Vai. Aria! Aria! Il gruppo si disperde, si riformano i soliti capannelli. Si riaccendono i soliti discorsi. I ragazzi del ginnasio riprendono a calciare una pallina di carta per la loro irrinunciabile partita quotidiana, mentre le loro compagne scuotono la testa scoraggiate e rivolgono lo sguardo ai compagni delle classi superiori. I ragazzi del liceo, discutono del campionato di calcio, lanciando occhiate di sottecchi alle loro coetanee che, incuranti di loro, sognano di innamorarsi di ragazzi più grandi. Emblematico esempio della condizione umana che porta spesso a ignorare ciò che è a portata di mano per aspirare a mete più lontane e per questo più affascinanti, ognuno guarda un po’ più in là. La bidella si affaccia sulla soglia. – Allora? Che si fa oggi? Non entrate? Guardate che io chiudo il portone. Tutti si avviano lentamente verso l’ingresso, continuando a ridacchiare, a inseguire i propri sogni, a difendersi dalla giovinezza. 6 marzo. ore 10:55. Liceo Classico Gabriello Chiabrera. Aula della 3ªC. Lezione di greco L’aula della 3ªC è grande con soffitti alti e muri ingrigiti. La cattedra addossata alla parete fronteggia tre file di tavolini, due delle quali occupate dalle ragazze. Nella terza, in netta minoranza e rigorosamente divisi dalle compagne, i ragazzi. Le femmine indossano il grembiule nero che alcune hanno cercato di personalizzare con una cintura, o lasciando qualche bottone slacciato, per far intravedere le camicette di cotone e le gonne strette, lunghe sino al ginocchio. I maschi indossano maglioncini a “v”. Alcuni hanno i calzoni corti. Accanto alla cattedra sulla lavagna appesa al muro è scritto un verso dell’Ifigenia in Aulide, la tragedia scelta da Giacomo Baldassarri, professore di greco, come argomento da portare all’esame di maturità. La voce del professore scandisce i versi di Euripide, martellando sugli accenti metrici ed enfatizzando le vocali lunghe. Preso dal pathos del coro non vede, e del resto non gliene importerebbe nulla, le facce assenti dei suoi allievi. Zitti per dovere ed educazione, per nulla coinvolti nel dramma di Ifigenia del cui sacrificio non colgono il senso, non prestano ascolto. I maschi lanciano palline di carta mirando alle compagne. Le femmine si scambiano bigliettini. Tutti aspettano che il professore inizi la traduzione del brano, per prendere appunti. L’esame di maturità è il loro spauracchio. Gloria, distratta, non fa che guardare fuori. Al di là dei vetri sporchi si vede via Caboto, una strada di poco traffico, anonima e grigia. Il palazzo di fronte. L’asfalto con le buche. Un pezzetto di cielo attraversato da qualche nuvola veloce, spinta da una tramontana ancora fredda, che non fa promesse. Un’occhiata all’orologio da polso, che segna le undici meno cinque e scatta in piedi. – Professore scusi, posso uscire? – Signorina Risso, è finito da poco l’intervallo, non è andata in bagno? – Sì, ma non mi sento bene. Qualcuno ridacchia. – Silenzio! Va bene vada, ma faccia presto, – il professor Baldassarri si mostra comprensivo, – tra poco detto la traduzione. Sa bene che è materia d’esame. – Grazie, professore. Gloria corre attraverso il corridoio per raggiungere il bagno delle femmine. L’appuntamento è per le undici. – Non puoi forcare, per una volta? – Marco l’aveva tentata. Era così bello nella divisa della Marina Militare. Gli occhi blu la guardavano con intensità e lei sentiva le ginocchia piegarsi. Aveva passato le mani sul panno della casacca, infilato le dita tra i capelli che spuntavano dal berretto, posato le labbra sulla sua bocca. – Non posso, – gli aveva detto in un soffio, – ho l’esame quest’anno. E sembrava che gli dicesse “voglio stare con te. Mi piaci da morire”. – Sai che mi devo imbarcare domani a mezzogiorno e tornerò solo tra tre mesi! Vediamoci almeno stasera! – aveva insistito lui. – Lo so, – aveva risposto lei abbracciandolo, – ma i miei non mi lasciano uscire di sera. Non insistere. Si erano accordati per un addio al volo. Un attacco di romanticismo a cui Marco si era piegato con un sorriso. Lui sarebbe stato alle undici in punto in via Untoria, sotto la finestra del bagno delle ragazze, lei si sarebbe affacciata, e avrebbe potuto salutarlo, anche se da lontano, prima della sua partenza. Gloria corre attraverso il corridoio per raggiungere il bagno delle femmine. L’appuntamento è per le undici. È innamorata, Gloria. Marco è così bello nella divisa. L’appuntamento è per le undici. Gloria è innamorata. Gloria corre attraverso il corridoio. L’appuntamento è per le undici. 6 marzo, ore 11:00. Liceo Classico Gabriello Chiabrera. Primo piano, bagno delle ragazze. Gloria corre attraverso il corridoio e arriva davanti alla porta del bagno. Ha il cuore in tumulto. Con tutta la foga dei suoi diciotto anni appena compiuti e tutto il coinvolgimento emotivo del suo primo amore si lancia sulla porta, esita un attimo prendendo un respiro profondo per calmare almeno un po’ il galoppo del cuore, poi afferra la maniglia, la gira e spinge. È una porta massiccia, pitturata di un colore che doveva essere stato bianco e ora si è ingrigito, come tutto, nel vecchio edificio. Gloria fatica ad aprirla, ricavandone un senso di disagio. Quasi quell’oggetto le opponesse resistenza per ostacolarla. Resta per un attimo sospesa nel dubbio. In qualche modo ha la sensazione che quel momento cambierà il suo destino e resterà per sempre scolpito nella sua mente. Poi, scacciando i cattivi pensieri apre la porta e lo sguardo corre alle piastrelle ingiallite, alla finestra dagli infissi scrostati, con piacere nota che nel antibagno non c’è nessuno. Muove un passo, deve raggiungere il bagno dalla cui finestra si affaccerà per salutare il suo amore. “Sto arrivando, Marco. Eccomi. Forse sono in ritardo di qualche minuto. Mi hai aspettato, vero?”. È solo un pensiero e resta sospeso nell’aria immobile della stanza. Il suo piede urta qualcosa. Gloria non arriverà mai a quella finestra. Marco aspetterà inutilmente dieci, venti minuti. Poi, mentre la sirena di un’ambulanza – o forse un’auto della polizia? – si avvicina, prenderà la strada del porto per imbarcarsi, deluso per non aver potuto salutare il suo nuovo amore. Contrariato perché qualcosa ha tenuto lontana la ragazza dalla finestra, triste perché immagina il rammarico di lei per il mancato appuntamento. “Il professore di greco non l’avrà lasciata uscire, quello stronzo”. Nemmeno per un attimo lo sfiora il dubbio che Gloria abbia scelto volontariamente di non farsi vedere alla finestra e per nulla al mondo potrebbe mai immaginare quello che è realmente successo. Qualche cosa che si trova sul pavimento ha intralciato il passo di Gloria. Qualche cosa che non dovrebbe trovarsi lì. Alessandra, la biondina della 2ªC, quella che dimostra più della sua età, con quelle labbra piene e il nasino schiacciato, il seno dritto e spavaldo che si nota malgrado il grembiule castigato, quella con le gambe lunghe e scattanti da gazzella, lei proprio lei è lì per terra e sembra morta. È morta! Un foro, non più grande di una moneta, sul davanti del grembiule lascia vedere la carne e il sangue, un fiume di sangue, che è uscito e si è riversato sul pavimento e deve essere stato proprio tanto perché lei è pallida, pallidissima, il viso di porcellana, le labbra esangui e gli occhi aperti e pieni di stupore rivolti al soffitto macchiato di umidità. Prima di cadere a terra svenuta Gloria lancia un urlo che risuona per tutto il corridoio del piano, entra nelle aule, sale lungo le scale e fa gelare il sangue nelle vene di chi lo sente. *** Mamma, ho paura! C’è burrasca. Senti i tuoni? Arrivano dal mare. E i fulmini li vedo dalla finestra quando attraversano il cielo sbucando dalle nuvole e cadono nell’acqua, al largo. Il tuono che arriva dopo il lampo fa tremare i vetri. Le tende si muovono e ci sono delle ombre che vengono verso di me. La lucina che dovrebbe restare accesa tutta la notte sul mio comodino si è spenta e il vento fa sbattere la persiana. Tum. Tum. Ho paura. Perché non vieni? Forse perché papà dice che non si deve? Papà dice che non c’è niente da temere, che un uomo non deve avere paura. Mai. Ma io sono solo un bambino. E paura ce l’ho. La mia stanza è grande e qualche mostro può essere entrato approfittando della burrasca e del buio. E può essersi nascosto nell’armadio. O sotto il letto. O dietro alla porta. Io non ho il coraggio di guardare. Ho tirato il lenzuolo e la coperta sopra la testa e i lampi così non li vedo più, ma i tuoni li sento lo stesso. E anche la persiana che sbatte. Il buio è ancora più buio. E la paura è sempre lì. Non se ne vuole andare. Vorrei prendere il mio orsetto, ma non voglio scendere dal letto. L’orsetto è seduto sulla poltroncina vicino alla finestra. Ce l’ho messo io prima di andare a dormire. Prima che cominciasse il temporale. Papà non vuole che lo porti a letto con me. Dice che gli uomini non vanno a letto con i pupazzi. E se voglio diventare un vero uomo devo dormire da solo e non devo avere paura. Io adesso l’orsetto lo vorrei. Abbracciandolo forse potrei stare meglio. Mi farebbe compagnia. Ma non posso scendere dal letto. Ho paura che mentre cammino sul pavimento un fulmine entri nella stanza o un mostro salti fuori dal suo nascondiglio e mi aggredisca. Davvero non posso. Mammina, vieni. Ho paura. Ho anche tanto sonno. Qui sotto la coperta mi son messo tutto rannicchiato e sto caldo. Domani mattina mi punirai perché ho fatto pipì a letto, ma non dirlo a papà, per favore.

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