*Prospettiva di Melian*
Passai il resto della giornata nascosta nella foresta che circondava la scuola. C’era un vecchio abete con il tronco cavo che era diventato il mio rifugio segreto. Nei giorni più difficili, andavo lì per trovare un po’ di conforto. Dopo quello che era successo quella mattina, non avevo il coraggio di affrontare gli altri in classe, ricoperta com'ero del mio stesso sangue.
Sentivo il suono della campanella da lontano, così controllai l’ora sul telefono. Mi restava solo una lezione, una di quelle avanzate a cui non potevo mancare. Mi alzai da terra, facendo uno sforzo doloroso, e mi incamminai verso la scuola.
Ero un disastro totale, con il sangue raggrumato sui capelli e tracce di sangue secco sul viso. Non mi ero nemmeno fermata a pulirmi: ero troppo concentrata sul lasciare la scuola quando Lisa e Jasmine mi avevano attaccata.
Ogni movimento era doloroso, ma non avevo intenzione di restare lì a farmi ferire di nuovo. Mentre raggiungevo l’ingresso, sentii una voce maschile che gridava il mio nome: “Melian Carter, dove ti sei nascosta, ragazza?” chiese il preside, il signor Daniels. Merda. “Ehm, sono andata a prendere un po’ d’aria fresca, signore,” dissi. Era vero, anche se non proprio tutta la verità.
“Aria fresca, eh? Sai che è contro il regolamento lasciare il campus scolastico, vero? Vieni con me, Melian,” rispose, facendomi cenno di seguirlo nel suo ufficio. Stringendo lo zaino al petto, lo seguii, pregando in silenzio che non chiamasse mio padre o la mia matrigna. Sarebbe stato il colpo di grazia.
Entrammo nel suo ufficio e mi indicò una sedia di fronte alla scrivania. Poi uscì per un attimo e, quando tornò, aveva in mano un panno bagnato e una bottiglia d’acqua. Me li porse e mi chiese gentilmente di pulirmi e bere un po’ d’acqua.
A quel punto, cominciai a piangere piano. Lui si sedette dietro la sua scrivania e mi chiese con tono comprensivo: “Signorina Carter, vuoi raccontarmi cosa ti è successo per ritrovarti in queste condizioni?” Scossi la testa, dicendo che non volevo parlarne, ma lui replicò che, se non lo avessi aiutato ad aiutarmi, sarebbe stato costretto a convocare i miei genitori. Le lacrime iniziarono a scendere ancora più copiose, e allora gli raccontai tutto ciò che era successo a scuola in quegli anni.
Quando finii, si appoggiò alla sedia e sospirò profondamente. “È davvero tanto da digerire. Perché non sei venuta da me quando tutto questo è iniziato?” chiese. Mentre asciugavo le lacrime con il dorso della mano, risposi senza alzare lo sguardo dalle ginocchia: “Avrebbe fatto davvero una differenza, signore? Una vera differenza in positivo? No, non credo. Avrebbe solo peggiorato la situazione. Sono implacabili nel loro bullismo. Anche adesso, la prego di non affrontarli. Devo solo resistere fino alla fine dell’anno scolastico… o anche solo fino a stasera, quando compirò 18 anni. Credo davvero che la cosa migliore sia lasciar perdere. La prego, signor Daniels, non affrontarli, e non chiamare la mia famiglia.”
Fissava il calendario sulla scrivania, come se lo stesse studiando. Sembrava che il tempo si fosse fermato per quei pochi istanti. L’attesa mi stava uccidendo. Il ticchettio dell’orologio appeso alla parete era assordante, e nell’aria aleggiava l’odore di caffè stantio e di Old Spice. Continuavo a ripetere le stesse parole nella mia mente: “Accetta… Accetta, ti prego…”. Finalmente sollevò lo sguardo su di me, prese un respiro profondo e lo trattenne per un attimo. Dopo averlo lasciato andare, si alzò e spostò la sedia accanto a me. Mi prese la mano e iniziò a parlare.
“Melian, non mentirò dicendoti che sono a mio agio con questa tua richiesta. Tuttavia, la rispetterò. Per ora, se dovesse accadere qualcos’altro, dovrai venire subito da me. Capito? Non c’è altro modo per cui io possa accettare. Terrò d’occhio la signorina Montana e il suo gruppo, e se solo intuisco che qualcosa non va, verranno espulsi. Non posso permettere che questo genere di comportamento avvenga nella mia scuola. Ora, Melian, devo chiederti perché sei così determinata a non coinvolgere la tua famiglia. Non dovrebbero saperlo?” domandò.
Scossi la testa con forza, e dovevo avere un’espressione terrorizzata, perché ciò che disse subito dopo rivelava molto più di quanto io potessi dire. “A casa vieni trattata male, signorina Carter? Anche se tuo padre ha una posizione di rilievo nel branco, puoi parlarne con me. L’Alfa deve saperlo,” disse dolcemente. Cercando di mantenere la calma, riuscii a sussurrare: “Lo sa già, e non fa nulla. Se provi a parlare con l’Alfa o con chiunque della mia famiglia, mi aspetterà qualcosa di peggio rispetto a quello che Lisa e le sue tirapiedi potrebbero mai fare.”
L’espressione di shock sul suo volto diceva tutto. Mi fece molte domande, quasi un milione, assicurandomi però che questa volta sarebbe rimasto in silenzio. Promisi che sarei passata dall’infermeria della scuola per farmi controllare la testa e assicurarmi che non ci fosse bisogno di punti.
Mi chiese anche di fare una radiografia alle costole. La nostra unità medica scolastica era completamente attrezzata per qualsiasi tipo di emergenza. Uscii dal suo ufficio per mantenere la mia parte dell’accordo e finii il controllo dall’infermiera giusto in tempo per l’ultima campanella della giornata. Misi nel mio armadietto le cose di cui non avevo bisogno e presi lo zaino per andare via. Chiusi l’armadietto e, girandomi, mi trovai faccia a faccia con mio fratello Jason. “Dobbiamo parlare, Mel. È urgente.”