“Allora, per quanto ti tratterrai?”
Alzai le spalle, mantenendomi sul vago. Ancora non me la sentivo di rivelare le mie intenzioni, soprattutto non essendo sicuro io stesso sul da farsi. “Credo un paio di settimane.”
“Un po’ come tornare indietro negli anni. Sarà strano. Da quanto non venivi su?”
“Tanto. Un paio d’anni l’ultima volta, quella prima ancora… non me la ricordo nemmeno. Sì, troppo tempo.”
“Non ti è mancato tutto questo?”
“Tutto questo?”
“Sì, beh, non stiamo parlando di Alba o Santo Stefano Belbo. Però, sai, qui intorno ci abbiamo corso per anni e anni, quando eravamo alti così e senza neanche tutti i denti in bocca.”
Sorrisi. “Stamattina, dopo che mi sono fermato con la macchina, ho ripensato al mio di dente, quello che ho lasciato sulla ghiaia con te in bici.”
Il mio amico si batté una mano sulla fronte. “È vero! È vero, Tom! Ricordo, che botta. Tremò la terra quel giorno. Pensai ti fossi rotto la mandibola, sul serio. Era poco prima l’orto dei tuoi. Quanti anni avevamo?”
“Mah, sarà stato l’Ottantaquattro, giù di lì.” Sorrisi di nuovo, portandomi istintivamente l’indice all’incisivo ricostruito dal dentista. “Lo ammetto, ultimamente ho ripensato molto a questo paese, alla casa, i vecchi amici. Sarà per questo che ho deciso di tornare, non so.”
Steve spostò lo sguardo dietro di me, facendosi di colpo molto serio. “A proposito, mi è spiaciuto molto per la morte dei tuoi. L’ho saputo solo dopo che era mancato tuo padre. Qui le notizie arrivano con il fuso orario, lo saprai. Tua madre invece da quanto…?”
“Un paio di mesi,” risposi asciutto. Se ne sono andati come soffioni colpiti dal vento. Senza quasi opporre resistenza. Uno dopo l’altro. Pensai così, ma lo tenni per me.
“So che un biglietto di condoglianze non era il massimo, però…”
“No, invece. Andava più che bene, Steve. Ho apprezzato, sul serio.”
“Bene, mi fa piacere allora.” Bevve la sua birra e tacemmo per qualche istante. Intuii che non aveva abbandonato l’argomento, cercava solo le parole più adatte per proseguire.
“Lo fai per i tuoi, allora? Tornare, intendo, anche se per qualche settimana.”
Buttai giù un sorso che fece un po’ fatica a scendere.
“Sì, è probabile,” ammisi. “Avrai visto più spesso loro di me negli ultimi anni, non è così? Venivano, rassettavano, pulivano e ripartivano. Ora che sono morti, la casa è solo mia. Me ne sono reso davvero conto quando ho imboccato il sentiero sterrato. Sono l’unico rimasto. Non posso permettere che queste mura marciscano senza neanche battere ciglio.”
E tacqui, con sollievo, perché tra la birra che ormai avevo in corpo, la presenza di un mio vecchio carissimo amico di fronte, e il disquisire sulla morte di mamma e papà, le mie barriere di autodifesa alle lacrime si erano pericolosamente abbassate.
“Questo ti fa onore,” mi disse allora Steve. Notai che una mano stringeva la sua birra e l’altra accarezzava delicatamente la testa di Billy. Mi parve un’immagine di profonda tenerezza. “Sono sicuro che i tuoi lo apprezzerebbero.”
Scrollai le spalle e fui tentato di rivelargli che non era solo un gesto di riconoscenza verso di loro, ma anche, forse soprattutto, verso il terzo membro della mia famiglia che non c’era più.
Mi alzai tenendomi al tavolo e andai verso il frigo. Steve mi fermò dopo due passi.
“Sei pazzo, amico? Sono solo venuto a salutarti, mica a vomitare dal finestrino mentre torno a casa. Tienile per te quelle birre, Tom. Dammi retta.”
“Sicuro? Ne hai bevute due, magari ne vuoi un’altra, non devi far complimenti.”
“Guarda, non so a quali ritmi sei abituato tu dalle tue parti, ma credimi, due birre alle sei del pomeriggio per i miei standard sono più che sufficienti.”
Tornai a sedermi senza obiettare. Non mi girava la testa ma sentivo un piacevole calore diffondersi in tutto lo stomaco.
“Anzi, ascolta; ho in mente un’idea migliore,” riprese lui. “Perché stasera non ce ne andiamo a mangiare da qualche parte, a riempirci i bicchieri di vino questa volta?”
Controvoglia, ma dovetti rifiutare. C’era un tale casino in giro – gli chiesi gentilmente di guardarsi intorno per rendersene conto – che non potevo assolutamente accettare. In più, e motivo non marginale, Billy sarebbe dovuto restare a casa solo e in un posto a lui sconosciuto. Non me la sentivo di abbandonarlo dopo neanche poche ore che avevamo messo piede in quel posto.
“Quante scuse,” polemizzò scherzando Steve. “Non hai neanche un figlio ma ti comporti già come un papà.”
“Föte Firb. È così che si dice ancora, vero?” Lui ridacchiò. “Comunque segnatela,” ripresi, e battei l’indice sul tavolo. “Della cena, dico. Se domattina mi sveglio con la luna buona e riesco a fare un po’ di ordine, tieniti libero per la sera. Al massimo lunedì, intesi?”
“Okay, sento già il ristorante intanto. Conosco i proprietari e il cuoco soprattutto. Non ci saranno problemi se prenoto precauzionalmente per due giorni di seguito.”
“Dove vorresti andare?”
“Qui, ovviamente. Alla Lodrona. È un ristorante sulla Piana, dovresti conoscerla.”
Scrollai la testa, ma ne avevo forse sentito parlare.
“Fidati. È vicino e si mangia bene. Rimarrai sorpreso.”
Allungai la mano e ce la stringemmo. Patto concordato.
Stefano si alzò, in punta di piedi e cercando di scansare il mio cane spiaggiato sul pavimento. Lo accompagnai fino in cortile e ci scambiammo i numeri di cellulare.
“Ricordati di salutare i tuoi,” aggiunsi soprappensiero e subito temetti di aver fatto una nuova gaffe in stile Edda. Ma Steve mi sorrise ringraziandomi.
Salì in macchina, fece inversione nel cortile e si allontanò da casa.
La sera arrivò presto. Una buona oretta la trascorsi in bagno, a imprecare contro il tubo a spruzzo della doccia. Lo pulii dal durissimo calcare, poi lavai il piatto della doccia e mi rinfrescai. Riuscii quasi ad assopirmi.
In cortile giocai un po’ con Billy; gli lanciavo un bastone e lui correva a prenderlo e poi a riportarmelo. Stette al gioco fino a quando lo vidi immobilizzarsi e rizzare le orecchie. Un gatto spelacchiato saettò accanto alla mia macchina e Billy lo rincorse ululando. Tornò cinque minuti dopo col pelo tutto bagnato d’acqua e l’andatura abbacchiata, rivolgendomi uno sguardo colpevole. Non potei fare a meno di ridere.
Era già ora di cena.
Mi preparai un piatto di pasta mentre Billy si mangiò le sue adorate crocchette, bissando la prima ciotola.
Dopo, rimanemmo fuori a guardare il tramonto, le sera scurirsi e il buio attorniare le cose che ci circondavano. Rispetto a Rieti, alla città, alle luci e ai clacson delle macchine, lì in cortile il buio era impenetrabile e rumoroso, quasi sacro. Avrebbe impaurito più di un qualcuno, ma per me era una beata riscoperta di abitudini antiche.
Obbligai Billy a fare i suoi bisogni, poi rientrammo e gli preparai il suo giaciglio per la notte. Io mi coricai sul mio vecchio letto, forse fin troppo morbido per la mia schiena di oggi, e il cane per terra, sopra le coperte.
Lo sentii rimuginare per un po’ con il suo osso, poi non lo considerai più e mi assopii.
Avevo temuto che non sarei riuscito a chiudere occhio, invece fu una notte serena e beata. Non sarebbe stata l’unica, ma quasi.