II
Quella mattina Alex si svegliò presto. Semicosciente, posò gli occhi ancora appiccicosi sulla ragazza che gli dormiva accanto: non era Irene e nemmeno la bionda ossigenata con cui l’aveva sorpreso Arianna durante la festa. Notò un pianoforte vicino al letto, uno spartito troneggiava sul leggio. Le pareti pullulavano di poster raffiguranti cantanti e gruppi famosi. Sembrava la stanza di un’adolescente.
Si alzò dal letto senza far rumore, per non svegliarla. S’infilò pantaloni e camicia. Era ancora mezzo addormentato e urtò involontariamente due bottiglie di Havana vuote adagiate sul pavimento.
Controllò che la sua sbadataggine non avesse svegliato la misteriosa ragazza.
Tutto tace, pensò.
Raccolse le chiavi dell’auto dal mobile in salotto e uscì dall’appartamento. Guidò fino a casa e parcheggiò l’automobile nel vialetto davanti al portico. A pochi passi l’ingresso: uno stupro architettonico, come l’aveva definito il padre.
A quel punto il suo cellulare iniziò a suonare, era un messaggio di Irene. Non aveva perso tempo.
Ciao, come stai? Ti va di vederci stamattina per un caffè?
~
L’esame di teoria per la patente era dietro l’angolo e Arianna doveva impegnarsi a fondo per passarlo, altrimenti il suo bel Peugeot 206 decappottabile non l’avrebbe visto neanche col binocolo. Eppure con la mente era altrove, in una dimensione in cui ricordi e aspettative si compenetravano al punto da divenire materia viva, presente.
Alzandosi dal letto non poté fare a meno di ripensare a quanto era accaduto la sera precedente alla festa di Alex.
Si avvicinò allo specchio, nutrendo esili speranze circa lo stato del suo s*x appeal.
Il suo viso, infatti, parlava chiaro: capelli indomabili, occhi gonfi, un leggero tremore ai lati delle palpebre. Doveva ancora riprendersi.
Guardò fuori dalla finestra: il Cayenne del fratello non c’era. Massimo era già andato al lavoro da un pezzo. Fuori ogni cosa era preda della nebbia, la piazza ne sembrava inondata.
L’appartamento del fratello non era molto spazioso.
“A che mi serve altro spazio se non so come riempirlo?” era solito ripetere a chi glielo faceva notare.
Single per scelta, Massimo non aveva mai creduto nella vita di coppia. Ragion per cui aveva preferito un “semplice” bilocale con rifiniture di prestigio, salotto arredato con mobili antichi, bagno con tanto di vasca idromassaggio, cucina e due stanze da letto. L’appartamento in quel momento era vuoto, silenzioso, privo di qualsiasi distrazione: la situazione ideale per allenarsi con i quiz.
D’altro canto, le vacanze di Natale stavano per terminare e Arianna, da brava ansiosa, non poteva non pensare che in meno di dieci giorni sarebbe ritornata tra i banchi di scuola. Il liceo scientifico era molto impegnativo, soprattutto per gli studenti del quinto anno.
Scosse la testa, come per scrollarsi di dosso tutta la pressione accumulata nell’ultimo trimestre. Era tempo di quiz, momento sacro da onorare e rispettare.
Dallo zainetto prese il libro e si apprestò a iniziare la sua giornata di studio, quando il campanello suonò. Dalla finestra, Arianna intravide la capigliatura rosso rame di Irene davanti al portone del palazzo. Alzò il citofono, seccata: “Ire, che ci fai qui?! Lo sai che oggi devo allenarmi tassativamente per i quiz.”
“Scusa, devo assolutamente parlare con qualcuno.”
“Non potevi mandarmi un messaggio?”
“No! Sono troppo euforica per ridurmi a scrivere freddi messaggini.”
Sconsolata, Arianna aprì il portone principale e la fece salire. “Allora, che succede?”
“Alex ed io dobbiamo vederci oggi! Non ho resistito e gli ho mandato un messaggio…”
“Gli hai scritto un messaggio dopo quello che è successo ieri?! Pensavo che avessi cambiato idea sul suo conto.”
“Uffa... Riuscirai mai a essere felice per me?” protestò Irene. Sembrava implorare la sua approvazione, ben sapendo che con Arianna la battaglia era persa in partenza.
“Scusami, con lui faccio veramente molta fatica” si difese quest’ultima.
Irene sospirò. Arianna non voleva dare quel dispiacere all’amica, ma non riusciva a mentirle, sapeva che si sarebbe messa nei guai continuando a frequentare Alex.
“Comunque, sta venendo a prendermi qui, adesso. Non volevo che perdesse tempo a guidare fino a dove abito, così mi sono fatta accompagnare direttamente in centro.”
Arianna le lanciò un’occhiata che solitamente si riserva a inesplicabili, terribili cataclismi capaci di minare le fondamenta del vivere civile.
“Cosa?! Irene, lo fai apposta, vero? Lo sai che…”
Non fece in tempo a terminare la frase che un rumore brusco di ruote sull’asfalto parve concretizzare le sue paure. Le amiche si affacciarono alla finestra: era arrivato Alex, ma non era solo, aveva altri amici in auto.
I ragazzi scesero baldanzosi dalla macchina e, confermando a pieno la loro cafonaggine,_cominciarono a schiacciare in modo compulsivo il tasto_sul citofono. Arianna, pur di fermare il suono spasmodico e irritante del campanello, premette il pulsante per aprire il portone. I ragazzi salirono velocemente le scale e, trovando la porta socchiusa, entrarono senza fare troppi complimenti.
“Ciao rossa, come stai?” esordì Alex non appena vide Irene.
Lei gli regalò un sorriso d’incosciente candore.
“Vattene subito” subentrò Arianna con tono minaccioso, “dovrei studiare.”
“Certo. Irene, vieni a fare colazione?”
La ragazza replicò il sorriso sfoderato in precedenza, stavolta accentuando il calore di due occhi che non erano mai apparsi così brillanti.
“In quanto a voi, ragazzi, mi raccomando: trattate bene la mia amichetta” disse poi rivolgendosi al gruppo di amici.
Arianna non poteva credere alle sue orecchie.
“Starai scherzando, spero?! Lasci in casa mia questa gente? Perché te li sei portati se devi uscire con una ragazza?”
“Sorry, Ari, Irene mi aveva detto che eri tutta sola in questo appartamento gelido. Pensavo cercassi un po’ di compagnia” rispose, all’apice di un sarcasmo a cui la bionda era ormai abituata.
Arianna strinse i pugni.
“Sapevi benissimo che dovevo studiare per l’esame scritto della patente.”
“Davvero? Chiedo perdono. Quando mi laureerò alla facoltà di “predizione & cartomanzia”, dove evidentemente pensi che io stia studiando ora, forse allora saprò come soddisfare le tue esigenze e non crearti impicci. Adios!”
“Vaffanculo, Alex” sbottò Arianna fuori di sé.
“Ciao Ari, mi dispiace” la salutò Irene, tentando di mascherare il dispiacere di una gioia alla quale raramente aveva avuto accesso prima di quel momento.
Arianna le fece un cenno con la testa che diceva più di mille parole.
“Rilassati, che a essere frigida fai sempre in tempo” s’intromise Alex un attimo prima di chiudere la porta e lasciarsi alle spalle il viso contratto della ragazza.
Arianna, ancora impalata davanti alla porta, tentò di praticare alcune tecniche di auto-rilassamento di cui aveva letto su una rivista pseudo-scientifica, ma con scarso successo. Volse quindi lo sguardo verso il gruppo di amici di Alex e tentò l’approccio diretto.
“Ok, ragazzi, dovete andarvene subito.”
Nello stesso momento, dallo stereo in salotto, si sprigionò improvvisamente una tempesta di bassi cavernosi e drum machine a palla.
“Raga, movimentiamo un po’ questa mattinata!” gridò uno degli ospiti. Gli amici lo seguirono in coro con schiamazzi di consenso e gesticolazioni inenarrabili.
Il delirio ebbe inizio. Un ragazzo, in cucina, mise le mani su un paio di bottiglie di Martini conservate nella credenza; un altro salì sul divano e cominciò a saltare cantando a squarciagola la canzone che pareva “demolire” lo stereo; altri due andarono in bagno e accesero l’idromassaggio.
“Fermi, ragazzi, se mio fratello vede quello che state combinando, mi ammazza” strillò Arianna. I giovani, divertiti, sembravano sordi alle sue preghiere.
Un tipo abbastanza robusto estrasse dalla tasca una bustina di plastica e l’aprì, senza pensarci due volte, versando il contenuto sul tavolo. Si trattava di una polvere bianca.
“Sei fuori di testa?! Togli subito dal tavolo questa roba o ti giuro che chiamo la polizia” lo minacciò lei. Iniziava davvero a perdere la pazienza.
“Bionda, siamo un po’ mosci oggi, eh? Dai, vieni a divertirti e smetti di fare la bacchettona” la invitò un altro tizio, da dietro una cofana di dreadlocks.
Arianna ignorò il suo misero tentativo di appezzamento e in primis cercò di spegnere lo stereo, ma non riuscì a superare la montagna umana che faceva da guardia all’impianto. Di ripiego, pensò di riordinare la sala.
Razionalizza il caos, non fare caso a loro. Razionalizza! ripeteva tra sé e sé._
Passò un'ora, che ad Arianna sembrò un secolo.
“Raga, tra un po’ ci raggiunge un’amica” annunciò un terzo intruso col cellulare ancora in mano.
“Se è un’amica delle tue, allora, mi aspetto di vedere proprio un cesso” fece un altro, strappando una risata generale.
Ad Arianna quei ragazzi sembravano un mucchio di savoiardi messi in ammollo nell’alcool.
“No, il parquet no!” li implorò, vedendo le bottiglie rovesciate sul pavimento, mentre il volume della confusione aumentava sempre di più.
Suonò il campanello e Arianna corse alla porta credendo fossero Irene e Alex.
Ora gliene dico quattro._
Quando aprì si trovò davanti ad una ragazza bruna, piuttosto tozza, che aveva tra le labbra una sigaretta accesa. Prima ancora che Arianna potesse fare qualsiasi domanda, questa entrò sculettando.
“Ciao belli!”
Non appena la videro, i capi di bestiame che pascolavano in salotto iniziarono a fischiare. La ragazza spense la sigaretta sul tavolino di legno toscano vicino alla tv e si tolse la maglietta, rimanendo in reggiseno e shorts.
Gli schiamazzi aumentarono.
Arianna subito mise a fuoco il personaggio; l’aveva già vista, quella.
Frequentava il suo stesso liceo, si chiamava Sara. Per un paio di volte si erano trovate persino a uscire con la stessa compagnia, ma non si erano mai rivolte la parola.
“Non ci credo. Hai davvero spento la tua stupida, insulsa sigaretta sopra il tavolino? È rimasto il segno!”
Arianna era accecata dalla rabbia e non c’era nessuno in quella stanza che prestasse attenzione a una sola parola di quanto stesse dicendo. Si sentiva impotente, invisibile, inesistente.
Sara, incurante della frase di Arianna, salì sul tavolino e cominciò a ballare in modo provocante al ritmo di S.O.S. di Rihanna. Arrivò persino a lanciare il reggiseno verso il suo pubblico, come se stesse in un night club. Urla e cori allupati echeggiarono a più non posso, mentre gli spettatori più brilli si contendevano a suon di grugniti l’agognato trofeo di pizzo.
Arianna, disperata, pensò di giocarsi l’ultima carta a sua disposizione, la più improbabile: telefonare ad Alex e supplicarlo di tornare il prima possibile.
“Pronto, Alex? Corri subito qui, se vuoi conservare anche solo un barlume della nostra esile amicizia, fai in modo che sia un subito molto SUBITO.”
Il cellulare volò sul divano, gettato con noncuranza dalla ragazza ormai spazientita che contemplava disperata un ambiente completamente sottosopra: il salotto odorava di marjuana e alcool, c’erano bottiglie vuote sul pavimento, sedie mezze rotte, cibo e alcolici sparsi ovunque; senza contare che – ciliegina sulla torta – Sara continuava indisturbata a ballare sul tavolo, per giunta mezza nuda.
“Ora basta, scendi da 'sto benedetto tavolo" le ordinò un’esausta Arianna, cercando di afferrarla per il braccio (anche se, obiettivamente, i grossi seni cadenti sarebbero stati forse un appiglio più sicuro).
La ballerina la guardò contrariata, cercando di sottrarsi alla sua presa. A un certo punto, un ragazzo prese Arianna per i fianchi e la fece salire sul tavolo.
“Fammi scendere!” urlò.
Sara la guardò e iniziò a twerkarle addosso, mentre gli amici di Alex battevano le mani gridando, con la foga di tifosi allo stadio: “Nude! Nude! Nude!”
Ecco, ci mancava che questa si strusciasse contro di me, pensò Arianna nei forzati panni di ballerina cubista alle prime armi.
Il suono improvviso del campanello la salvò da quella situazione: finalmente Alex e Irene erano tornati.
Lo stereo si spense, come se una forza misteriosa avesse telecomandato il gigante messo di guardia. Seguirono gridolini di lamentele da parte dei ragazzi.
“Dai, Alex, ci stavamo solo divertendo…”
“Uscite, avete esagerato” fu la risposta di Alex, vagamente scocciato.
Gli amici, delusi come bambini a cui le maestre hanno sequestrato i giochi, iniziarono a farsi strada verso la rampa di scale. Sara indossò il reggiseno, per quanto “consumato”, e seguì gli altri.
“Esci anche tu” aggiunse Arianna, puntando il dito verso Alex.
Lui la guardò, divertito. “E dai, mi dispiace. Lascia almeno che ti aiuti a sistemare.”
“Sai che mi frega del tuo aiuto. Qua c’è più roba da buttare che da sistemare, e tutto per colpa tua.”
Alex, capendo sarebbe stato inutile insistere, decise di andarsene, mentre Irene rimase con Arianna per aiutarla a riordinare: in cuor suo era mortificata per quanto accaduto all’amica.
Impiegarono un giorno intero a cancellare alla meglio le tracce di quella catastrofe.
“Come ti giustificherai con tuo fratello?” chiese Irene.
“Qualcosa m’inventerò.”
Irene guardò l’ora dal suo orologio da polso.
“Devo proprio andare, mio padre sarà qui a momenti. Ci sentiamo, ok? Ciao, Ari.”
Le amiche si salutarono. Arianna guardò fuori dalla finestra: si stava facendo buio. Massimo sarebbe tornato a momenti e lei non voleva che trovasse tutto quel disordine. Cercò di sistemare l’appartamento, anche se per il poco tempo avuto a disposizione non riuscì totalmente nell’impresa.