Il collezionista di clessidre

II

IIC’è una parte dissacrante della psichiatria che tratta la diagnosi come fosse un cruciverba, e il disturbo del paziente, la risultanza possibile, l’unica, sta all’incrocio fra orizzontali e verticali. Il metodo non poteva essere applicato al caso di Brigitte.

«Brigitte non ha la libertà di esistere».

Il pensiero mi balenò come una folgore.

Brigitte non mi era parsa né irrequieta né insoddisfatta, ma in fuga da una minaccia, piuttosto, non sapevo se reale o immaginaria. Ero quasi certa che ci fosse dell’altro. Dovevo indagare su quella malinconia che non l’aveva mai abbandonata durante il colloquio. Brigitte si era rivolta a una psichiatra senza nutrire la speranza di essere curata, e me ne chiesi il motivo. Sentivo che io e lei ci trovavamo agli estremi dello stesso enigma.

Si era fatto tardi e me ne andai a letto, stentai ad addormentarmi e quella notte feci uno strano sogno.

Passeggiavo su una spiaggia in una soleggiata mattina d’inverno. Si sollevò dal mare una brezza gelida, sinistra, che mi ricordò l’atmosfera delle sale d’autopsia. Impallidii. La Morte era pronta a serrare intorno al mio polso le sue dita adunche. Se ne stava immobile, al mio fianco, mi osservava senza che potessi fare niente per sottrarmi al suo sguardo inconfondibile.

Pensai che fosse venuta a prendermi, avrei voluto fuggire, ma le mie gambe erano di piombo. La morsa glaciale si attenuò sino a scomparire. La Morte si allontanò. C’era una casa più avanti, una vecchia villa abbandonata. Il giardino era incolto, le palme secche, i rampicanti si aggrappavano ai muri decrepiti, le tegole erano rotte, le imposte divelte.

Un luccichio attrasse la mia attenzione. Poggiato su una vecchia fontana nascosta dal fogliame, brillava un ciondolo, una moneta d’argento sulla quale era incisa una ruota. La presi e provai la stessa sensazione di un freddo alito di morte.

Mi svegliai di soprassalto, il respiro corto e un dolore al petto. Erano le cinque del mattino e non riuscii più a riaddormentarmi.