Capitolo III

2478 Words
Capitolo III L’autore fa divertire l’imperatore e i nobili di entrambi i sessi in modo straordinario. Descrizione dei divertimenti alla corte di Lilliput. L’autore ottiene la libertà a determinate condizioni. Il garbo e la mitezza del mio comportamento avevano così ben impressionato l'imperatore e la corte e non meno l'esercito e la gente in generale, che cominciai a nutrire qualche speranza di riavere in breve la libertà. Non trascurai nulla per favorire questo atteggiamento di benevolenza. I nativi avevano poco a poco sempre meno paura che facessi loro del male. Talvolta mi mettevo per terra e facevo danzare cinque o sei di loro sulla mia mano, e alla fine ragazzi e ragazze non ebbero paura di mettersi a giocare a nascondino fra i miei capelli. Avevo ormai fatto notevoli progressi nell'uso della loro lingua. Un giorno l'imperatore volle intrattenermi con parecchi dei loro giochi nazionali, nei quali eccellono su tutti i paesi che ho conosciuto, sia nella abilità che nel fasto. Nessuno mi divertì quanto quello dei funamboli che ballavano su di un sottile filo bianco, lungo un mezzo metro e alto da terra un trenta centimetri. Su questo gioco chiedo al paziente lettore di potermi dilungare un po'. A praticare questo esercizio sono solo quelle persone candidate alla copertura di cariche elevate o ad alte onorificenze della corte. Sin dalla gioventù vengono addestrate a questa arte e non tutte sono di sangue nobile o di cultura liberale. Quando una carica di primo piano è vacante, perché il titolare è morto o è caduto in disgrazia, cinque o sei candidati alla successione presentano all'imperatore la richiesta di potere intrattenere Sua Maestà e la corte esibendosi sulla corda. Colui che fa più salti senza cadere, ha diritto a subentrare in quella carica. Molto spesso gli stessi ministri sono obbligati a dare prova della loro bravura, per convincere l'imperatore che sono sempre in possesso della loro abilità. Il tesoriere Flimnap, lo riconoscono tutti, fa, capriole sulla corda tesa un centimetro più in alto degli altri nobili dell'impero. L'ho visto fare il salto mortale parecchie volte di seguito, sopra una tavoletta fissata alla cordicella non più spessa di un nostro spago. Dopo di lui viene, se non pecco di parzialità, il mio amico Reldresal, primo segretario agli interni, mentre tutti gli altri funzionari più o meno si equivalgono. Durante i giochi capitano assai spesso incidenti mortali, di cui le cronache sono piene. Ho visto coi miei occhi due o tre candidati rompersi le ossa, anche se il pericolo più grande lo corrono gli stessi ministri che devono comprovare la loro abilità. Perché, presi come sono dall'ambizione di superare se stessi e i loro colleghi, si sforzano a tal punto, che nessuno si salva da qualche capitombolo, che poi sono due o tre per alcuni di loro. Mi fu detto che un anno o due prima del mio arrivo, il tesoriere Flimnap si sarebbe senza dubbio rotto l'osso del collo, se la violenza della caduta non fosse stata attutita da uno dei cuscini del re che per caso si trovava per terra. C'è poi un'altra gara che, in particolari occasioni, si svolge al solo cospetto dell'imperatore, dell'imperatrice e del primo ministro. L'imperatore stende sul tavolo tre sottili fili di seta lunghi dieci centimetri, uno azzurro, uno rosso e uno verde. Questi fili costituiscono i premi per coloro che l'imperatore intende distinguere con un segno caratteristico della sua benevolenza. La cerimonia si svolge nel gran salone di governo, ove i candidati devono sottoporsi ad una prova di abilità assai diversa dalla precedente e di cui non ho visto alcuna rassomiglianza nei paesi del vecchio e del nuovo mondo. L'imperatore tiene in mano un bastone, le cui estremità sono parallele all'orizzonte, mentre i candidati, avanzando l'uno dietro l'altro, talora saltano sopra il bastone, talaltra vi sgusciano sotto, avanti e indietro per parecchie volte, a seconda che il bastone venga alzato o abbassato. Talvolta l'imperatore tiene un capo del bastone e il primo ministro l'altro, oppure tocca a questo ultimo tenerlo da entrambe le parti. Colui che svolge il suo esercizio con maggiore scioltezza nel saltare e nello strisciare è ricompensato col filo azzurro, mentre al secondo tocca quello rosso e al terzo il verde. Essi se li portano avvolti in due giri attorno alla vita e, fra i notabili del regno, sono pochi quelli che non sono in grado di fregiarsi di queste cinture. I cavalli dell'esercito e delle scuderie imperiali, che erano stati addestrati al mio cospetto, non recalcitravano più e mi venivano ai piedi senza dar segno di adombrarsi. Allora stendevo una mano per terra e i cavalieri la saltavano con i loro cavalli; anzi ci fu un cacciatore reale che, in arcioni ad un maestoso corsiero, mi saltò il piede, scarpa e tutto, con un balzo straordinario. Un giorno ebbi la ventura di divertire l'imperatore in maniera veramente singolare. Lo pregai di ordinare che mi portassero parecchi bastoni grossi come canne da passeggio e lunghi una sessantina di centimetri. Sua Maestà passò l'ordine al sovrintendente delle foreste, il quale desse a sua volta istruzioni in proposito e il giorno seguente arrivarono sei boscaioli con altrettanti carri trainati ognuno da otto cavalli. Presi nove di questi pali e li infilai saldamente in terra, formando un quadrato della superficie di un novanta centimetri, fissai altri quattro bastoni ad ogni angolo all'altezza di novanta centimetri dal suolo e ad esso paralleli; poi legai il fazzoletto ai nove pali messi per ritto tirandolo da tutti i quattro lati, finché si tese come la pelle d'un tamburo; a questo punto i quattro bastoni paralleli, che sovrastavano il fazzoletto di poco, servirono da ringhiera. Finito il lavoro, chiesi all'imperatore che facesse salire su questa piattaforma un gruppo dei suoi migliori cavalleggeri, in tutto ventiquattro, per esercitarsi. Sua Maestà accettò la mia proposta ed io li presi uno ad uno con la mano, cavallo e tutto, con i rispettivi ufficiali d'addestramento. Formati i ranghi, si divisero in due squadre dando luogo a finte scaramucce, scagliando frecce spuntate, sguainando le spade, fuggendo e inseguendo, attaccando e battendo in ritirata; in breve, dettero un saggio della più perfetta disciplina militare che avessi mai visto. I bastoni trasversali impedivano che cavalli e cavalieri cadessero sopra al palcoscenico e l'imperatore si divertì a tal punto da ordinare che questi giochi fossero ripetuti per diversi giorni. Una volta si fece sollevare lui stesso per impartire i comandi e, non senza poche difficoltà, persuase la stessa imperatrice a farsi sollevare da me entro la sua portantina, per potere godere la scena a un due metri dalla piattaforma. Per fortuna durante questi spettacoli non avvennero disgrazie; solo una volta un cavallo focoso, che apparteneva ad uno dei capitani, scalpitando, lacerò con lo zoccolo il fazzoletto facendoci un buco e, mancandogli il piede, ruzzolò insieme al cavaliere, ma venni subito loro in aiuto. Con una mano infatti tappai il foro, mentre con l'altra misi a terra le squadre allo stesso modo in cui le avevo fatte salire. Il cavallo che era caduto si slogò la spalla sinistra, ma il cavaliere se la cavò senza un graffio e a me non rimase che rammendare alla meglio il fazzoletto, deciso d'ora innanzi a non fidarmi più della sua resistenza in imprese tanto pericolose. Due o tre giorni prima della mia liberazione, mentre intrattenevo la corte con questa specie di spettacoli, arrivò un corriere per informare Sua Maestà che alcuni dei suoi sudditi, mentre cavalcavano nelle vicinanze del luogo dove ero stato catturato, avevano scorto una gran roba nera distesa al suolo, dalla forma strana, alta come una persona nel mezzo e larga giro giro come la camera da letto imperiale. Non si trattava di una cosa viva, come avevano supposto in un primo momento, perché giaceva immobile sull'erba, sebbene alcuni di loro vi avessero girato attorno varie volte. Salendo uno in groppa all'altro avevano raggiunto la cima che era apparsa piatta e liscia mentre, camminandoci sopra, si era dimostrata cava. Ritenevano che si trattasse di un qualchecosa appartenente all'Uomo Montagna e, col beneplacito di Sua Maestà, prendevano l'impegno di trasportarla a corte con cinque cavalli. Capii subito cosa avevano trovato, e in cuor mio, mi rallegrai della notizia. Quando dopo il naufragio avevo guadagnato la riva, ero talmente frastornato che, prima di raggiungere il luogo dove m'ero addormentato, dovevo aver perso il cappello che pure m'ero legato al capo con un sottogola quando ero sulla barca e che non s'era slacciato per tutto il tempo che avevo nuotato. Per qualche accidente fortuito, il laccio s'era rotto e avevo creduto d'averlo perso in mare. Pregai Sua Maestà di disporre che mi fosse riportato il prima possibile, dopo avergli descritto la natura e l'uso di quell'indumento. Il giorno appresso, infatti, eccomelo trascinato dai carrettieri, sebbene non si potesse dire che fosse in buono stato. Nella falda, a un paio di centimetri dall'orlo, avevano praticato due buchi nei quali avevano infilato due uncini e questi, a loro volta, erano legati con una lunga corda ai finimenti dei cavalli. E a questo modo il mio cappello era stato trascinato per più di mezzo miglio inglese. Pur tuttavia devo dire che rimase danneggiato molto meno del previsto, grazie all'uniformità e levigatezza di quella terra. Due giorni dopo questo avvenimento, venne ordinato all'esercito appostato dentro e tutto intorno alla capitale lo stato di all'erta, perché all'imperatore era venuto il ticchio di divertirsi in modo assai strano. Volle che mi piazzassi ritto e a gambe il più possibile divaricate, come il Colosso di Rodi. Quindi ordinò al suo generale, vecchio condottiero pieno d'esperienza, e mio gran protettore, di schierare le truppe a ranghi serrati e di farle sfilare sotto di me al rullo dei tamburi: la fanteria in file di ventiquattro e la cavalleria di sedici, con le bandiere al vento e lance in resta. In tutto erano tremila fanti e un migliaio di cavalieri. Sua Maestà ordinò, pena la morte, che ogni soldato si attenesse al più stretto senso di decenza nei miei confronti, anche se alcuni degli ufficiali più giovani alzarono lo stesso gli occhi mentre mi passavano sotto. E devo dire che i miei calzoni erano allora così mal ridotti, che non mancarono occasioni di riso e di meraviglia. Avevo inviato tanti memoriali e petizioni per ottenere la libertà, che alla fine l'imperatore ne parlò prima nel gabinetto privato e poi nella seduta plenaria del consiglio, dove nessuno si oppose ad eccezione di Skyresh Bolgolam che si compiaceva, senza che lo avessi mai provocato, d'essere mio nemico mortale. Ma tutto il consiglio gli votò contro e l'imperatore sanzionò la decisione. Questo ministro era galbet , o ammiraglio del regno, godeva la cieca fiducia del sovrano ed era molto capace nei suoi compiti, sebbene fosse una persona dal carattere acido e rude. Alla fine lo persuasero ad acconsentire, ma lui ottenne in contraccambio di redigere gli articoli e le condizioni che regolavano la mia libertà e sui quali ero tenuto a giurare. Fu lo stesso Skyresh Bolgolam, seguito da due sottosegretari e diverse persone di rango, a portarmi il documento con gli articoli in oggetto. Dopo che mi furon letti, mi chiesero di giurare fedeltà ai patti, prima secondo il costume della mia patria, quindi nel loro, il quale consisteva nel tenermi il piede destro con la mano sinistra, mettendo il dito medio della destra sul cucuzzolo e il pollice sulla punta dell'orecchio sinistro. E poiché il lettore può essere curioso di conoscere approssimativamente lo stile e le maniere espressive di quel popolo, nonché gli articoli alle cui condizioni ottenni la libertà, ho tradotto l'intero documento, parola per parola, e ora lo presento al pubblico: "Golbasto Momaren Evlame Gurdilo Shefin Mully Ully Gue, potentissimo imperatore di Lilliput, delizia e terrore dell'universo, i cui possedimenti si estendono per cinquemila blustrug (una circonferenza di circa dodici miglia) ai confini del globo; monarca di tutti i monarchi, più alto di tutti i figli dell'uomo, i cui piedi calpestano il centro dell'universo e la cui testa batte contro il sole, al cui cenno i principi della terra si sentono tremare le ginocchia; dolce come la primavera, propizio come l'estate, ferace come l'autunno, terribile come l'inverno; Sua Maestà Altissima propone all'Uomo Montagna, giunto recentemente nei nostri celesti domini, i seguenti articoli che egli si impegna a rispettare con giuramento solenne. 1. L'Uomo Montagna non partirà dai nostri domini senza nostra autorizzazione, munita del gran sigillo. 2. Non potrà permettersi di entrare nella capitale senza nostro specifico ordine, nel qual caso verrà dato un preavviso di due ore agli abitanti per ripararsi in casa. 3 Il suddetto Uomo Montagna limiterà le proprie passeggiate alle strade principali e più spaziose ed eviterà di camminare o sdraiarsi sui prati o sui campi di grano. 4. Mentre percorre le strade sopraddette avrà la massima cura di non calpestare i nostri amati sudditi, cavalli e carri; né potrà prendere in mano alcuno, senza suo permesso. 5. Se si dà il caso di dover trasmettere una notizia urgente, l'Uomo Montagna dovrà portare nella sua tasca ambasciatore e cavallo, per un viaggio di sei giorni ogni luna, e, se richiesto, riportare al cospetto di Sua Maestà detto ambasciatore sano e salvo. 6. Sarà nostro alleato contro il nemico dell'isola di Blefuscu e farà quanto sarà in suo potere per distruggerne la flotta che è in procinto di invaderci. 7. Nei momenti d'ozio, detto Uomo Montagna darà assistenza ai nostri operai, aiutandoli a sollevare le pietre più grosse per terminare il muro del parco principale ed altri nostri edifici reali. 8. Detto Uomo Montagna dovrà fornirci, nel tempo di due lune, l'esatta misura dei nostri territori contando i passi torno torno la costa. Per ultimo, dietro solenne giuramento di rispettare i sopracitati articoli, detto Uomo Montagna riceverà giornalmente una provvigione di cibo e di bevande sufficiente al mantenimento di 1728 dei nostri sudditi; avrà libero accesso alla nostra Augusta Persona e riceverà altri segni della nostra benevolenza. Dato nel nostro Palazzo di Belfoborac il dodicesimo giorno della novantesima luna del nostro regno." Fu con somma gioia che giurai e sottoscrissi queste clausole, per quanto alcune di esse non fossero tanto onorevoli quanto avrei desiderato, frutto esclusivamente della malevolenza dell'alto ammiraglio Skyresh Bolgolam. Mi furono dunque tolte le catene e fui completamente libero; l'imperatore in persona mi fece l'onore di presiedere all'intera cerimonia. Gli dimostrai tutta la mia riconoscenza prostrandomi ai suoi piedi, ma lui mi ordinò di alzarmi, poi, dopo molte parole piene di benevolenza, che taccio per non apparire vanitoso, aggiunse di sperare che sarei stato un utile servitore e che avrei ben meritato quei segni di favore che mi aveva già manifestato o che avrei potuto ancora ricevere in futuro. Non sarà sfuggito al lettore che nell'ultima clausola concernente la mia liberazione, l'imperatore s'impegnava a fornirmi tanto vitto quanto bastava al mantenimento di 1728 lillipuziani. Qualche tempo dopo, quando chiesi a un amico cortigiano in che modo avevano stabilito quel numero, mi rispose che i computisti di Sua Maestà, misurata l'altezza del mio corpo per mezzo di un quadrante, rilevando che essa stava alla loro nella proporzione di dodici a uno, tratta la conclusione che, vista la simiglianza dei corpi, il mio doveva contenerne almeno 1728 dei loro, avevano stabilito che questo necessitava tanto cibo quanto ce ne voleva per mantenere quel numero di lillipuziani. Dal che il lettore può farsi un'idea dell'ingegnosità di quel popolo, come dell'economia saggia ed accorta di quel grande monarca.
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