Capitolo IV

1663 Words
Capitolo IV Descrizione di Mildendo, capitale di Lilliput e del palazzo dell’imperatore. L’autore si intrattiene con il primo segretario parlando del governo dello stato. L’autore offre aiuto all’imperatore in caso di guerra. Ottenuta la libertà, la prima richiesta che feci fu quella di poter vedere la capitale di Mildendo. L'imperatore me lo accordò subito, chiedendomi espressamente di non danneggiare né abitanti né case. Fu emesso un proclama col quale si avvertiva il popolo della mia intenzione di visitare la città. Questa è circondata da una muraglia alta circa ottanta centimetri e larga una trentina, così che ci si può scarrozzare sopra benissimo con cocchio e cavalli, ed è fiancheggiata da potenti torrioni ogni tre metri. Scavalcai la grande porta occidentale e cominciai a camminare di sghembo e con accortezza per le strade principali, con il solo giubbetto addosso, per paura di danneggiare i tetti e le grondaie delle case con le falde della giacca. Camminai con estrema circospezione, attento a non calpestare chi si fosse trovato per strada, malgrado la perentorietà dell'ordinanza, che imponeva a chiunque di non uscire, se non a proprio rischio e pericolo. Le finestre più alte e i tetti erano talmente affollati di spettatori, che non credo di aver mai visto un luogo altrettanto gremito. La città è un quadrato perfetto con il lato di centocinquanta metri ed oltre. Le due strade maestre, che incrociandosi formano i quattro quartieri, sono larghe un metro e mezzo, mentre i vicoli e le strade minori che scorsi passando, senza poterci entrare, sono larghi dai trenta ai quaranta centimetri. La città può contenere cinquecento mila anime. Le case sono da tre a cinque piani, ben forniti negozi e mercati. Il palazzo imperiale è al centro della città, all'incrocio delle vie maestre. È circondato da un muro alto sessanta centimetri che si svolge a un sei metri di distanza. Da Sua Maestà ebbi il permesso di scavalcare il muro di cinta e poiché c'era spazio abbastanza, mi fu possibile osservarlo da ogni lato. La corte esterna è un quadrato di dodici metri ed incorpora altre due corti, in quella più interna ci sono gli appartamenti reali, che desideravo proprio vedere, sebbene fosse assai difficile, perché i portali che immettevano da una piazza all'altra erano alti quaranta centimetri e larghi una ventina. Inoltre gli edifici della corte esterna erano alti almeno un metro e mezzo e non li potevo scavalcare senza recare danni ingenti al complesso, sebbene le mura fossero di solide pietre squadrate e dello spessore di dodici centimetri. Eppure l'imperatore desiderava ardentemente che potessi ammirare il suo magnifico palazzo, ma questo non mi fu possibile se non in capo a tre giorni, durante i quali tagliai alla base, col mio coltello, alcuni degli alberi più maestosi del parco reale che si trovava a un cento metri dalla città. Con questi alberi costruii due sgabelli dell'altezza di un metro e abbastanza solidi da reggere il mio peso. Avvertita una seconda volta la popolazione, percorsi di nuovo la città fino al palazzo con in mano gli sgabelli. Quando fui di fianco alla corte esterna, salii su uno dei banchetti e tenendo l'altro in mano, le, passai sopra il tetto deponendolo quindi, con cura, sullo spazio fra la prima e la seconda corte, che ha una superficie di meno di mezzo metro. Scavalcati agevolmente gli edifici e tirato sù il banchetto per mezzo di una fune con un uncino, mi trovai nella corte interna, e allora, distesomi di fianco, avvicinai il volto alle finestre dei piani intermedi, lasciate aperte apposta, e potei scorgere gli appartamenti più stupendi che si possano immaginare. L'imperatrice e i principini erano nelle loro stanze, attorniati dalle personalità del seguito. Sua Maestà l'imperatrice si compiacque di sorridermi graziosamente, tendendomi fuori della finestra la mano da baciare. Ma non voglio anticipare al lettore descrizioni di questo genere che ho riservato per un'opera più grande, quasi pronta ormai per la stampa, contenente una descrizione generale di questo impero, sin dalla sua fondazione, attraverso una lunga prosapia di principi e con particolare riferimento alle sue guerre, alle istituzioni, alle leggi, alla cultura, alla religione, alle piante e agli animali, ai costumi e a tutti i modi di vivere che caratterizzano questa terra, senza per questo tralasciare anche altre notizie curiose ed istruttive. Per ora è mia intenzione riferire fatti e avvenimenti accaduti a quel popolo o a me stesso durante la permanenza di circa nove mesi in quell'impero. Un mattino, quindici giorni dopo la mia liberazione, il primo segretario agli affari privati (come vien detto) Reldresal venne a trovarmi accompagnato da un solo servitore. Lasciata la carrozza ad una certa distanza, mi chiese di riservargli un'udienza di un'ora. Acconsentii subito, sia per riguardo alla sua posizione e ai suoi meriti personali, sia memore dei buoni servigi che mi aveva reso quando avevo rivolto le mie suppliche alla corte. Dissi che mi sarei disteso al suolo per ascoltarlo meglio, ma lui preferì che lo tenessi in mano. Poi cominciò col complimentarsi per la mia liberazione, nella quale disse che qualche merito spettava pure a lui, ma che dovevo ringraziare come stavano andando le cose a palazzo, altrimenti non l'avrei ottenuto tanto alla svelta. "Perché," aggiunse, "dietro le condizioni di prosperità quali possono apparire ad occhi estranei, il nostro paese è tormentato da due grossi malanni: all'interno la violenza delle fazioni e all'esterno il pericolo d'invasione di un potente nemico. Per quanto riguarda il primo, devi sapere che per più di settanta lune questo impero è stato diviso da due partiti in lotta fra di loro, denominati Tramecksan e Slamecksan, dai tacchi alti e dai tacchi bassi che portano come loro segno di distinzione. "Sebbene si sostenga che i tacchi alti siano più conformi allo spirito della nostra antica costituzione, sia come sia, Sua Maestà ha imposto a tutti i funzionari dell'amministrazione governativa e degli uffici dipendenti dalla corona l'uso dei tacchi bassi, come puoi vedere coi tuoi stessi occhi. Quelli di Sua Maestà sono addirittura più bassi di un drurr rispetto a quelli degli altri cortigiani (il drurr corrisponde alla quattordicesima parte di un centimetro). Il rancore fra questi due partiti si è talmente inasprito, che i suoi componenti si rifiutano di bere e di pranzare insieme e addirittura di rivolgersi la parola. Riteniamo che i Tramecksan o Tacchialti siano maggiori di numero, ma senza dubbio il potere è tutto in mano nostra. "Temiamo tuttavia che Sua Maestà Imperiale, l'erede al trono, dimostri qualche simpatia per i tacchi alti; è comunque certo che porta uno dei due tacchi più alto dell'altro, il che gli conferisce la tipica andatura dello zoppo. Ora, nel colmo di queste lotte intestine, siamo minacciati da un'invasione da parte degli abitanti dell'isola di Blefuscu, l'altro grande impero dell'universo, vasto e potente quanto quello di Sua Maestà. Per quanto riguarda, infatti, la tua affermazione, che ci sarebbero altri regni ed altri stati nel mondo, abitati da esseri della tua grandezza, i nostri filosofi sono alquanto scettici e sono inclini a pensare che tu sia piovuto dalla Luna o da una stella. È comunque certo che un centinaio di esseri del tuo peso basterebbero a distruggere in un batter d'occhio i prodotti agricoli e il bestiame dei territori di Sua Maestà. Inoltre non c'è il minimo accenno ad altri paesi, che non siano i grandi imperi di Blefuscu e di Lilliput, nelle storie delle seimila lune. Ma questi due potenti stati si sono impegnati in una reciproca ostinatissima guerra per trentasei lune. Ora ascolta quale ne fu l'occasione. È da tutti ammesso che il modo consueto di bere un uovo è di romperlo dalla punta larga; ma il nonno di Sua Maestà apprestandosi un giorno, quando era bambino, a bere un uovo e avendolo rotto secondo l'uso degli antichi, si scalfì un dito. In conseguenza di ciò, l'imperatore suo padre, emanò un editto col quale s'imponeva ai sudditi con la minaccia di pene assai rigorose, di rompere le uova dalla parte della punta stretta. Il popolo reagì violentemente a questa legge, che, come ci narrano le storie, ci furono sei rivoluzioni durante le quali un imperatore perse la vita e un altro la corona. A fomentare queste guerre civili furono sempre gli imperatori di Blefuscu, presso i quali trovavano rifugio gli esiliati, non appena veniva soffocata una rivoluzione. Si calcola che non meno di undicimila persone abbiano preferito la morte, piuttosto che accettare di rompere le uova dalla punta stretta. Su questa controversia sono usciti centinaia di grossi volumi, anche se i libri dei Puntalarga sono stati proibiti da lungo tempo e gli appartenenti a quel partito siano stati interdetti a termini di legge da ogni impiego. Durante queste discordie gli imperatori di Blefuscu ci presentarono, per mano dei loro ambasciatori, numerose proteste, accusandoci di avere aperto un vero scisma religioso, poiché avremmo offeso uno dei dogmi della dottrina del nostro profeta Lustrog, espressa nel capitolo cinquantaquattresimo del Brundrecal (che è il loro Corano). Si ritiene tuttavia che questo sia stato un voler forzare il testo, le cui parole dicono esattamente che tutti i credenti dovranno rompere le uova dalla parte giusta. Ora, è mia umile opinione che decidere della parte giusta spetti alla coscienza individuale o in ultima istanza al supremo magistrato. Ma i Puntalarga esiliati hanno ottenuto un così gran credito alla corte di Blefuscu e tanti aiuti materiali e morali dal loro partito in patria, che per trentasei lune si è combattuta una guerra sanguinosa tra i due paesi con alterne vittorie e durante i quali abbiamo perso quaranta galeoni da guerra e un numero assai più grande di vascelli minori, con i loro equipaggi di marinai esperti e di soldati, per un totale di trentamila persone. I danni arrecati al nemico si suppone siano maggiori dei nostri. Esso tuttavia ha equipaggiato una flotta numerosa con la quale s'appresta ad invaderci, e per questo Sua Maestà, confidando nella tua forza e nel tuo valore, mi ha ordinato di esporti questo stato di cose." Pregai il segretario di farsi portavoce a Sua Maestà dei miei devoti omaggi e di informarlo che non intendevo, come straniero, immischiarmi nelle loro faccende private, ma che ero pronto a dare la mia vita per difendere la sua vita e il suo regno contro l'invasore.
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