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2112 Words
3 Beata ignoranza Io e Vi stiamo perlustrando tutti gli scaffali del supermercato della zona. La missione è andare a fondo della situazione… il prima possibile. Ho il cappuccio tirato su per camuffarmi, perché lei sta allegramente mettendo nel carrello tutti i test di gravidanza disponibili, canticchiando Baby Love delle Supremes. «Uno basta», mormoro tra i denti con la testa bassa. «E puoi piantarla con la canzone, per piacere?». Per fortuna smette. «No, non basta. La prudenza non è mai troppa. Ma forse, ormai, quello step l'hai già passato!», dice ridendo alla sua battutaccia totalmente fuori luogo, mentre lancia un altro test nel carrello. «Possiamo andare adesso?», la sollecito a voce più alta, guardando a destra e a sinistra lungo la corsia, per paura che sbuchi qualcuno che conosco. Vi alza le spalle. «Sì, va bene. Ne abbiamo abbastanza, per ora». Spinge il carrello verso la cassa mentre io mi trascino dietro di lei, chiudendomi il cappuccio ancora di più per paura che le luci brillanti illuminino le mie guance porpora. «Ava per piacere. Ti dai una mossa, cazzarola!», impreca voltandosi verso di me. La gente davanti si gira per capire con chi ce l'abbia questa stramba e svitata tatuata. Bene. Al diavolo l'anonimato! La raggiungo e spalanco gli occhi quando vedo il carrello pieno di test di gravidanza e nient'altro. Mi ci lancio dentro e Vi è costretta a fermarsi. «Ma che cazzo fai?», mi domanda guardandomi allibita. «Mettici altre cose», le dico fissando il carrello come se stesse per esplodere. «E perché? Non stiamo mica facendo la spesa». Mi tocco il naso. «Lo so, ma è imbarazzante. Il cassiere capirebbe che potrei essere incinta». Vi rotea gli occhi esasperata. «Ma fai sul serio? E anche se fosse?». Annuisco veloce, mortificata oltre ogni limite per quello che sta succedendo. «Bene, come vuoi», sospira Vi alzando le mani. Considerato che siamo in fila alla cassa, le opzioni disponibili per coprire le prove del misfatto sono poche, perciò afferra un pacchetto di gomme e lo lancia nel carrello. «Contenta?». Mi guarda annoiata. Osservo il minuscolo pacchetto di gomme, che pare ridicolo in mezzo all'ammasso di test di gravidanza gettati alla rinfusa, e sono tutto meno che contenta. Ma non ho scelta, perché è il nostro turno. Io, se potessi, mi scaverei la fossa con le mie mani, mentre Vi, serena come una Pasqua, canticchia un pezzo che sta passando alla radio. Il cassiere sedicenne pare tutt'altro che indifferente, mi guarda con occhi lascivi mentre passa i prodotti sullo scanner e si permette pure un risolino sotto i baffi quando prende in mano il pacchetto di gomme. Infila i cinque test e il misero pacchetto in una busta. L'afferro e mi dileguo lasciandogli il resto. Vi si sbellica e cammina a passi lenti dietro di me, mentre io mi fiondo in macchina non appena la apre col telecomando. Affondo nel sedile, aspettando impaziente che mi raggiunga. Dopo un minuto apre la portiera divertita e poggia il suo bel culo sul sedile, con tutta la serenità del mondo. «Per essere una ex campionessa di corsa su pista a scuola, sai bene come prendertela con calma eh!». Vi ride, tirando giù il parasole per guardarsi allo specchio. «Ava, per piacere, hai aspettato fino a ora per scoprirlo, cosa vuoi che siano pochi minuti in più?». Si sbaglia. Sono stata sulle spine tutto questo tempo, e l'unica cosa che mi faceva andare avanti era sapere che sarebbe tornata lei in un paio di giorni. Ma ora che è qui, non riesco più a trattenermi. Finalmente accende il motore e tiro un sospiro di sollievo. Vi nota la mia ansia. «Quando pensi che sia successo?», mi domanda cercando di non sembrare troppo ficcanaso. Confesso arrossendo. «La sera della tua seconda prova generale, contro il muro della casa galleggiante». Vi si gira di scatto e mi guarda a bocca aperta. «Lo so, Vi. Non fissarmi così. Già mi sento una zoccola da sola, senza bisogno che mi lanci quello sguardo severo». Mi copro il volto con le mani. Vi fa una gran risata. «Tu, brutta puttanella rinsecchita! A quanto pare, non sono l'unica ad andare in giro nuda». Continua a ridere isterica. Mugugno. «Lo so, okay?». Dopo essersi calmata mi domanda: «Sei pentita?». Ripensando alla sensazione di Jasper dentro di me dopo tutto quel tempo scuoto la testa. «Neanche un po'. Non mi pentirò mai di Jasper». Vi entra nel vialetto di casa e spegne il motore, voltandosi verso di me. Io, immobile, guardo dritta fuori, impaurita da quello che sto per fare. «Andrà tutto bene, tesoro. Te lo prometto». Vorrei solo crederle. *** Sono seduta nella cucina di Vi, di fronte al mio terzo bicchiere d'acqua. «Non ti scappa ancora?», mi domanda lei, appollaiata sul piano della cucina, speranzosa che la risposta sia affermativa. Sto rimandando da venti minuti, ma spingendomi la pancia sento che sono pronta. «Sì», rispondo nervosa e metto il bicchiere nel lavandino. «Era ora!», esclama Vi mentre salta giù dal piano e mi tira su per le scale, prima che ci ripensi. Ci infiliamo nel minuscolo bagno e tira fuori tutti i test, allineandoli sul pavimento. Non appena li vedo, sento le ginocchia cedermi. Piombo sulla tazza del water, prima di svenire. «Non ce la faccio», mi lamento grattandomi la fronte. «Certo che ce la fai», mi incoraggia Vi, ma sento l'apprensione nella sua voce. Scuoto la testa. «No, non ce la faccio. Mi sto sentendo male». Vi si accuccia vicino a me, accarezzandomi la spalla. «Sì che puoi farcela, ce la fanno tutte», insiste fiduciosa. Mi mordo il labbro e apro gli occhi per guardare la mia amica, in ginocchio di fronte a me. Cosa farei senza di lei? Mi stringe la gamba, mentre apre il primo test. «Okay, questo qui mostrerà due linee se sei incinta. Ma guarda che carina…», ride indicando la faccina sorridente nel foglietto delle istruzioni. Sbruffo. «Carina? Ci dovrebbe essere la foto di una tomba, visto che se è positivo è una condanna a morte». Vi smette di leggere e mi guarda. «Quindi, non vuoi che sia positivo?». Brontolando mi stringo le braccia intorno alla pancia. «Non lo so, uffa. Sto vivendo nella menzogna, sperando che questo sia solo un brutto sogno. L'idea di diventare madre a ventitré anni, non è proprio quella che avevo di me». Vi annuisce e mi fa continuare perché finora non abbiamo parlato della possibilità che io sia incinta. «Ma il pensiero che potrei avere dentro di me una creatura che è in parte di Jasper, è surreale. Non posso non volere qualcosa che è suo», confesso, e dirlo ad alta voce mi fa paura perché realizzo in pieno la situazione. «Dall'altra parte, non mi sento pronta a diventare madre. Dio mio, Vi, sono così confusa». «Non penso che qualcuno sia mai pronto fino in fondo, Ava», dice masticandosi l'anellino al labbro. «Lo so». «Datti una mossa, allora, concludi questa faccenda». Vi mette il test nella mia mano tremante, regalandomi un sorriso d'incoraggiamento. Lo guardo e poi riguardo lei. «Non faccio la pipì con te qui», le dico d'un tratto. Vi ride. «Come se fosse la prima volta!». «Lo so, ma stavolta è diverso. Sono impaurita e nervosa», ammetto a disagio. Lei mi sorride e mi sento subito meglio. Si allunga verso un altro test e inizia a scartarlo. «Ecco, guarda, ne farò uno anch'io. Così sarò la tua compagna di pipì». Roteo gli occhi e, sorridendo contenta, le rispondo: «Okay». Il pensiero che lo faccia insieme a me mi rassicura, in qualche modo. Osservando la scatola, sorride. «Ma sono così carine queste faccine», dice di nuovo dimenticandosi la mia reazione di prima. Mi schiarisco la voce e Vi si riprende. «Okay, ho capito. Non sono affatto carine. Fammi andare nell'altro bagno, così ti lascio un po' di privacy». «Grazie», le rispondo mentre mi asciugo le mani sudate sui jeans. Mi strizza la spalla. «Andrà tutto bene. Qualunque sia il risultato, l'affronteremo». «Grazie Vi», dico sull'orlo delle lacrime. Mi guarda un'ultima volta e chiude la porta, lasciandomi sola a sfidare il mio destino. Guardo lo stick e mi stupisco che un affarino così piccolo possa essere il portatore di un messaggio così grande che ti può cambiare la vita. Qualunque sarà il risultato, non posso farci nulla ora. Devo fami coraggio e scoprire cosa succederà. Seguo le indicazioni, tiro giù l'acqua e aspetto i risultati. Non ho mai atteso niente in modo così trepidante. «Ava, posso entrare?». È Vi dal corridoio. Mi lavo le mani e apro la porta col test in mano. Anche lei lo tiene in mano come un trofeo. «Hai fatto pipì? Io sì». «Sì», le dico brandendo lo stick. «Bleah! Che schifo». Soffia via il mio disgusto con uno sbruffo, alzando gli occhi al cielo. «Le indicazioni dicono che dobbiamo aspettare cinque minuti». Attendere in questo bagno minuscolo il momento del giudizio mi sembra una pessima idea. Devo uscire di qui prima di soffocare. «Andiamo di sotto e aspettiamo lì. Non riesco a stare chiusa qui dentro». Vi annuisce e sembra un cavallo con la coda che salta su e giù. «Okay, baby, dove vuoi tu». Strappo un pezzo di carta igienica e ci appoggio sopra il test. Vi fa la stessa cosa. La prendo a braccetto mentre scendiamo giù per le scale e le dico: «Ho bisogno di bere!». «Fammi strada», risponde stringendomi il braccio. Che donna! *** Vi guarda l'orologio, mentre io sono al secondo bicchiere di vino rosso. «Sono più di cinque minuti». «Lo so, ma il risultato non cambierà, perciò, prima finisco la bottiglia», rispondo ingollando il vino d'un fiato. «Non dovresti bere, potresti essere incinta». Cazzo, ha ragione! In modo poco elegante, sputo il vino e impreco. Quale madre affogherebbe il suo “Presunto Pupo” nel Merlot? Vi appoggia l'anca al piano cucina, incrociando le braccia sul petto, mentre guarda il mio volto tramutarsi in una maschera di terrore. È arrivato il momento di affrontare l'inevitabile. «Non vuoi proprio che sia positivo eh?», mi domanda diretta. Giocherellando con l'etichetta della bottiglia faccio spallucce. «No, non proprio. Ma se lo è, dovrò farmene una ragione», rispondo con gli occhi bassi. «Ava, anche se fosse positivo, saresti incinta del figlio di Jasper non di un alieno. Andrà tutto bene. Sarà difficile all'inizio, ma ce la farete. Tu, Jasper e il piccolo, starete da Dio». So che sta cercando di farmi sentire meglio, ma ogni volta che usa termini come bambino, piccolo e simili, rabbrividisco. «Ti prego, basta con piccolo e compagnia bella eh?». Vi si sposta dietro di me, costringendomi ad alzarmi dalla sedia. «Vai», dice puntando le scale. «Va bene», mi acciglio e sbando al primo passo. «Tutto bene?». Cerca di raddrizzarmi. «Sì, credo. Non avrei dovuto bere il secondo bicchiere. Vedi, sono già una pessima madre», frigno sconsolata. «Non dire stupidaggini», sbruffa Vi, afferrandomi per le braccia e guardandomi dritta negli occhi. «Sarai una madre fantastica, subito o fra cinque anni. Sarai la migliore, okay?», mi dice seria dandomi la spinta che mi serve. Annuisco e respiro profondamente. «Vuoi che venga con te?». Scuoto il capo perché questo lo devo fare da sola. «No, ce la farò. Devo farlo io». Annuisce. «Capisco, però se fra cinque minuti non scendi, ti vengo a prendere». Dopo averle dato un bacio sulla guancia, faccio le scale e mi chiudo in bagno. Appoggiata alla porta, sbircio verso il mio futuro, con una paura fottuta di guardare. Sento il cuore che sta per scoppiare, mentre mi avvicino al lavandino a piccolissimi passi, tanto per prolungare l'agonia. A un centimetro di distanza, chiudo gli occhi. Ce la posso fare. Qualsiasi sia il risultato, ce la posso fare. Faccio un respiro profondo per calmarmi e apro piano gli occhi. Mi si contorce lo stomaco quando vedo il risultato. Prendo in mano il test e mi copro la bocca con l'altra mano che trema. Mentre guardo il mio futuro, una singola lacrima mi scende sulla guancia, bruciando la pelle lungo il tragitto. Cado a terra e le gambe nude affondano sulle mattonelle fredde. Guardo di nuovo lo stick e lo lancio contro il muro, con rabbia. Finisce sotto il lavandino con un suono sordo. «Ava?», sento Vi fuori la porta. So che ha l'orecchio incollato allo stipite pronta a captare qualsiasi minimo suono o segnale che le riveli il risultato. Ma non riesco a parlare. La voce mi è morta in gola. «Ava, apri la porta», dice a voce più alta, armeggiando col pomello. Per fortuna ho chiuso a chiave perché ho bisogno di un paio di minuti per digerire tutto. «Ava, se non apri la porta troverò un modo per entrare». Sento la determinazione nella sua voce e so che non scherza. «Dammi un minuto». Mi schiarisco la gola, per paura che se non le rispondo sfonderà la porta con una sega elettrica. Cerco lo stick alla cieca e, quando lo trovo sotto il lavandino, lo butto nel bidone. Mi rialzo piano e faccio lo stesso con quello di Vi. Mentre mi lavo le mani, mi passo anche un po' d'acqua sul viso e fisso il mio riflesso allo specchio. Be' meglio di quel che credevo. Questo mi consola e mi dà fiducia che non crollerò a pezzi. Vi bussa senza sosta e, dai suoni concitati, pare che stia per buttare giù la porta. Dopo un respiro profondo, apro di scatto e lei scivola in avanti con la mano a mezz'aria pronta a bussare di nuovo. L'afferro per un braccio per impedirle di cadere e le lancio uno sguardo timido. «Allora?», mi domanda sollevando un sopracciglio. Una volta che lo dico diventerà vero. Sta succedendo sul serio. Ma non posso cambiare il destino e devo accettarlo, qualunque esso sia. La guardo dritta negli occhi verdi e pronuncio le due parole che mi cambieranno la vita per sempre. «Sono incinta».
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