La pioggia di novembre batteva contro i vetri antichi della Biblioteca Angelica con la furia di mille dita impazienti. Stefano Rossi sollevò lo sguardo dal volume di poesie secentesche che sfogliava da ore, osservando le gocce che disegnavano sentieri serpentini sulla superficie appannata. Trecento anni di esistenza gli avevano insegnato molte cose: la pazienza di un monaco, la grazia di un aristocratico, l'arte di fingere di essere umano. Ma quella sera, mentre l'orologio a pendolo scandiva le ore notturne con il suo ticchettio monotono, un'inquietudine nuova gli serpeggiava nelle vene morte come veleno d'argento. Le sue dita, pallide come l'alabastro dei sarcofagi che aveva conosciuto nei secoli passati, accarezzavano le pagine ingiallite con la sacralità di chi conosce il peso del temp

