III
Avrà quaranta o quarantacinque anni al massimo. Massiccio. A militare, quelli come lui li chiamano così, massicci. Il funzionario fuma distrattamente e rovista nel disordine dei fogli sulla scrivania. Ostenta indifferenza nei miei confronti, forse perché sono venuto a rompergli le scatole sull’uomo sbudellato ieri sera. Si muove con lentezza; quando socchiude gli occhi, la cicatrice, che divide il sopracciglio sinistro in due metà, scivola verso il basso assottigliandosi fino sopra la palpebra. Sembra un disegno di guerra, primitivo. Capelli scuri, pelle scura. Un giocatore di rugby, mi ricorda un giocatore di rugby maori della Nuova Zelanda. Solleva la testa e mi mostra la fotografia del morto.
– Ecco quanto sappiamo della vittima: Sandro Ferrara, anni quarantanove, regista televisivo. Divorziato, senza figli, risposato con Gisela Cruz, una cubana mulatta alla quale aveva pagato il viaggio e il mantenimento in Italia. Per un po’ i due hanno vissuto insieme, poi la cubana si è trasferita a Milano a fare la ballerina, sembra... Capisce, una bella donna così non campa solo ballando. Ma Ferrara e Gisela continuavano a vedersi, anche se Ferrara il trasferimento di Gisela non l’aveva preso per niente bene – Distaccato e professionale.
– Tutto qui?
– Strano, vero? Pulita, immacolata. Sono stupito anch’io.
– Un delitto di questo tipo in una cittadina noiosa come la nostra. Non le pare curioso?
– La sua è una domanda idiota. Non se la prenda.
Ha modi spicci e poco tempo da perdere.
– Non me la prenderò – Poco tempo da perdere?
Un poliziotto ha sempre poco tempo da perdere.
– Le assicuro che, per quanto si possa stare attenti a non pestarla, la merda alla fine te la trovi sotto le scarpe.
Uno così deve averne piene le tasche.
– Un’immagine poetica. Rende bene il concetto.
– Che mi dice dell’arma del delitto? – Disagio.
– Un coltellone preso in cucina. Lo ha proprio scannato quel poveretto. Come se… – Sorpreso dalla mia fretta?
– Come se…? – Non mollo.
– Come se fosse inferocito. Con furia, con rabbia ma anche senza perizia. Gli ha sfilato l’intestino dalla pancia. Il coltello è rimasto dentro le viscere, imprigionato con la punta. Ha strappato finché non è venuto via tutto. Un professionista non si comporta così. Mi spiego? Voglio dire che un professionista sa sempre dove colpire per ottenere il massimo risultato con il minimo sforzo. In questo delitto mi ha impressionato l’assoluta mancanza d’economia omicida, se mi passa il termine... – Glielo passo.
– Capisco. La ringrazio.
Mi alzo e porgo la mano al maori.
– Riccio, commissario Domenico Riccio – Mi osserva – Un’ultima cosa dottor Messina. Mi sono ricordato che qualcosa abbiamo. Non che sia importante, almeno per ora. Ferrara aveva fatto a cazzotti per una discussione politica, tanto tempo fa. Una rissa tra ragazzi. La cosa aveva suscitato un certo scandalo in città. Sa com’è, denunce ai carabinieri, genitori coinvolti, poi tutto risolto perché ai papà dei figli di papà non piacciono gli scandali.
– Grazie, commissario.
– Dovere.
Lascio la questura. Non ho ancora fatto colazione. Le nove e mezzo e il corso è pieno di gente. Come al solito. Le persone compiono gli stessi gesti di sempre. In questa cittadina incontreranno qualcuno in grado di cambiare i loro destini, un giorno. Una noia che porta ad uccidere? I tifosi del primo sole primaverile occupano i caffè affacciati davanti ai palazzi medievali. Ha fatto freddo quest’inverno. “Il ponte sul Ticino”. Un bel locale. Mi fermo. Avambracci che si agitano, teste che ciondolano, mascelle che ruminano. Chiacchiere. Il campionato di calcio è in pieno svolgimento. Ordino caffè e cornetto. Non penso a nulla. Il viso al sole. Assaggio un pezzo del croissant. Segue subito il caffè. Gusto il sapore del liquido caldo che impregna il dolce. È un rito quotidiano al quale non saprei rinunciare. Due minuti di completa assenza dal mondo. Chissà che fa Anna adesso? Questo cellulare si mangia le batterie, devo cambiarlo...
Ke fai stasera?
Baci
C.
Certo che, per fargli un buco come quello nella pancia, dovevano proprio odiarlo Ferrara. Non gli hanno rubato nulla. Tutto è stato lasciato in ordine, a parte la televisione accesa. Nessun segno di lotta. Forse conosceva l’assassino e, forse, fino ad un secondo prima erano seduti uno vicino all’altro per vedere la televisione. Quale programma? Che domanda stupida...
– Pronto, commissario Riccio? Sono Carlo Messina, il giornalista. Mi scusi se la disturbo ancora
– Ah, lei – Non sembra sorpreso.
– Mi è venuta in mente una cosa, una vera sciocchezza.
– Che vuole sapere? – Ruvido e sbrigativo il maori.
– Ferrara aveva la televisione accesa ed è stato fatto fuori alle ventitré circa. Non è così?
– Allora?
– Su quale canale era sintonizzata? – Che idea del cazzo!
– Secondo canale.
– Ne è sicuro? – Ora mi manda a cagare.
– Eccome! Sono quei comici che piacciono tanto a mio figlio.
– Il programma condotto dalla Martini in teatro, Tutti i comici del presidente? – Non ho più alcun ritegno.
– Sì, quello. Che pensa di ricavarci? Un collegamento tra i gusti televisivi di Ferrara e l’assassino?
– Non lo ritiene probabile?
– Un’idea stupida. L’assassino potrebbe avere acceso la televisione dopo l’omicidio, così, per passare il tempo, senza una ragione. Non esiste sempre una spiegazione per ciò che resta attorno ai delitti. Scarti di realtà. Sull’osso rimane sempre qualche pezzettino di carne, ma la bistecca è terminata.
– Non la seguo.
– L’assassino potrebbe essere capitato su quel programma per caso, dopo un po’ di zapping, o, forse, la televisione è sempre stata accesa. Che ne sappiamo?
– Ha ragione commissario. Era un’idea stupida.
Ma ha già terminato la conversazione. Chiamo il cameriere e ordino anche un bicchiere d’acqua.
– Frizzante, mi raccomando.
Un’occhiata ai giornali. Solo una breve notizia sull’omicidio: Ferrara è stato ucciso quando l’ultima edizione era quasi in macchina. Vediamo come ha titolato Luigi...
“Squartato come un vitello!”. Con un bel punto esclamativo. Nientemeno. Mi sembra di essere tornato a fare il praticante per il giornale pomeridiano di Genova. Tante belle marchette su viabilità, funerali, microcriminalità, arrivi in porto... Mai stato un Montanelli. Solo uno dei tanti nessuno che affollano questa professione. È il momento delle confessioni, signori. E ‘fanculo gli ideali! Ma m’importa di Anna. Farei anche il tipografo per lei. È la persona che mi è più cara al mondo, la sola di cui mi preoccupi veramente. Non è mai facile trovare l’accordo con Luigi, anche perché gli faccio metà del giornale. Ma che voglio? Ho mantenuto le collaborazioni con “Il Secolo XIX”. Pagano bene i miei pezzi da corrispondente e la trasmissione per una televisione locale mi permette di tornare a Genova una volta la settimana. Non male, dopo tutto, anche se Anna ora si è trasferita a Milano. Venticinque minuti di treno. Uno come me non ci sa stare troppo legato. Per questo non ho voluto vivere con Anna, ognuno a casa sua. Meglio. Non soffoco io e non soffoca lei.
Compongo il suo numero.
– Ciao.
– Ciao.
– Perché non rispondi al mio sms?
– Ho acceso solo adesso il telefono.
– Che fai?
– Che vuoi che faccia?
– Posso venire da te stasera?
– No, stasera no, ho gente a cena.
– Vengo dopo.
– Non so a che ora finisco. Viene Roversi con la Solmi.
– Roversi?
– Mi vuole in un programma.
– Che fanno? Ti prendono nella rete?
– Carlo, lo sai che se entri con Roversi…
– Lavorerai con loro?
– Carlo, non lo so. Fammi capire cosa mi offrono.
– Ci vediamo domani?
– Domani potrebbe andare bene… meglio.
– Devi guardare sull’agenda per fare l’amore con me?
– Non dire scemate Carlo.
– Non dico scemate. Dammi una risposta.
– Ci sentiamo domani e ci mettiamo d’accordo, va bene? Ora devo andare.
– Mi ami Anna?
– A domani, scemo.
Anna. Ho sempre pensato che fosse speciale. Era stato a Genova la prima volta. Lei recitava al Teatro della Corte, in trasferta con la sua compagnia. Io dovevo intervistarla. Quel giorno, nella hall dell’albergo, pensai che mi sarebbe piaciuto portarla a letto. Mi avevano eccitato i suoi seni, piccoli ma sodi, costretti dal golfino color avorio e anche il sedere, scolpito in rilievo da una mano amica; ma soprattutto mi avevano attratto gli occhi, lievemente sporgenti, dello stesso colore scuro dei capelli tagliati a caschetto, giacché quella piccola imperfezione costringeva Anna a qualcosa di fragile, d’incerto. La osservavo mentre parlava ad un mio collega. Non facevo caso alla marmellata che colava dal croissant e m’impiastricciava la mano.
Anna, fregandosene del collega, mi aveva abbordato.
– Lo finisco io così, poi, riuscirai a parlarmi.
Aveva sorriso. Forse, se lei non lo avesse fatto, togliendomi da ogni imbarazzo, quella volta non avrei tentato di sedurla. Non sono timido. Neanche un po’. Non si era trattato di timidezza allora. Semplicemente, avevo temuto di restare deluso. Di solito le donne sono l’oggetto del mio “non è possibile”, la speranza di un’inarrivabile felicità, la seduzione del mio ego, e così, è la norma, quando terminava il rapporto sessuale moriva l’interesse per la mia compagna. Invece, con Anna non esiste nulla di prevedibile. Anna è affascinante come tutti i mondi sconosciuti. Con lei tutte le certezze, i luoghi comuni, le consuetudini vanno a farsi benedire. È di sicuro la migliore per viverci insieme. Forse tutta una vita, o forse solo fino a quando non diventeremo prevedibili. Anna ha imparato a rispettarmi ed è perfettamente attrezzata per restare indipendente.