IV

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IV – Ottima cena Anna, davvero – Enzo Roversi… o forse una buona cena, Anna… insomma. – Dovrò proprio sdebitarmi una di queste sere – La Solmi. – Il concept del programma non è male dottor Roversi. – Sì, lo credo anch’io, Anna, e vorrei proprio che la trasmissione la conducesse Bozzo. Anche se dovrò lottare per farlo rinunciare agli impegni che si è preso. E, per condurre le esterne insieme con te, vedo bene un belloccio. – E un po’ scemo, magari. Chi ci mettiamo? – Ha domandato la Solmi e Roversi potrebbe avere allargato le braccia come a dire “ancora non lo so”. – A parte qualche suggerimento, dobbiamo lasciare carta bianca a Bozzo... Se no, mica riesco a portarlo da noi. – Posso dire qualcosa anch’io? – Li ha interrotti così? – Ti abbiamo esclusa, Anna… – Si è scusata, la Solmi? – Dottor Roversi, la ringrazio della proposta e nel caso il programma si dovesse fare… – Si farà, si farà. Devo solo convincere Bozzo a firmare e partiamo presto con la produzione. – In fatto di audience la rete non è un granché. Ma se il programma funziona andiamo a far visita ai grandi. Fascia oraria da trenta per cento. Basterebbe solo limitare gli attacchi a questo governo – Ha aggiunto la Solmi. O qualcosa del genere. – Mi piacerebbe che fossimo d’accordo su alcuni punti per me fondamentali – Ha detto così Anna, fondamentali. – Sarebbero? – Niente cloni di programmi già fatti. E soprattutto con la satira niente zone franche. – Dai, Anna! Lo sai che agli italiani dovrebbero togliere il diritto al voto. Con questa destra, se non ci facciamo sentire noi... – Se non ci facciamo sentire noi! – Ma per favore! – Anna, paura di perdere il posto? – No, paura della banalità. – Sarà, ma a me sembra che tu te la faccia sotto. – Continua a non capire, dottor Roversi. – Enzo, chiamami Enzo. – Bene Enzo, vede, vedi, il difetto di questo tipo di programmi, quelli confezionati da Bozzo intendo, è la mancanza di rigore. Come gli succede spesso. E poi che ti devo dire? Per me la televisione è sicuramente un’occasione, ma non per tirate demagogiche. – Così saremmo tutti dei demagoghi, io, Bozzo... – È molto bravo, lo riconosco, ma non può dare lezioni di politica a nessuno. Non lui. – Bene. E allora? Io voglio Bozzo per questo programma. – Possiamo trovare un punto d’incontro, non credete? – La Solmi invece vuole Anna nella sua scuderia – Anna, stiamo parlando di televisione. È solo televisione. – Ecco vede? Anche per lei è difficile capire. – Anna, io comprendo le tue perplessità, davvero. Parlerò con Bozzo. È molto più disponibile di quanto pensi. – Sempre che riesca a convincerlo a rinunciare agli impegni, dottor Roversi. – Enzo, Anna, Enzo. – Sempre che tu riesca a convincerlo, Enzo. – Ci riuscirò, vedrai. – Non devi gettare al vento pure quest’occasione. A quante hai già detto di no? Lo sai che se funzioni in un programma con Bozzo svolti veramente? – La Solmi, sempre conciliante? – Prima deve tornare a farla, la televisione. – Lascia che ci pensi io. Ti fidi di me Anna? – Ma sì... – Roversi non era convinto della sua risposta. Anna ha insistito – Sì, certo che sì. – E allora mettiti tranquilla. – Ma basta! Basta Santo Dio! La voce risuona forte nella stanza della televisione. Anna, Roversi e Chiara Solmi svaniscono dai miei pensieri. Quando “La sottile linea rossa” impreca in quella maniera è difficile calmarlo. Mi alzo dalla sedia e lo raggiungo. Ci separa solo l’ampia vetrata che divide l’open space dal suo ufficio. Siamo abituati agli sfoghi di Serioli. – Che cosa non va, professor Serioli? – Le stronzate di questo trio d’idioti. Ecco cosa non va. In televisione scorrono le immagini di un omino vestito con un frac giallo fluorescente, enormemente fuori misura, le mani nascoste dalle maniche dai risvolti rossi, di un gruppo di belle ragazze che indossano succinti costumi di scena, di uno studio con alcuni personaggi seduti dietro l’uomo con il frac. E, fuori campo, la voce dei tre autori che fa da contrappunto alle invenzioni, ai deliri e alle ironie dell’omino in frac. Dimmi, Carlo, ti piacciono questi coglioni? Dico, non fanno mica ridere secondo i meccanismi universali della risata. Che so, per esempio quello dello sberleffo vero, in tutte le direzioni, voglio dire. Non si ride più perché ciò che vedi o ascolti fa sganasciare veramente, ma solo perché qualcuno ti impone di farlo. – Così vanno le cose, professore. In televisione si ride, si deve ridere anche perché chi la fa ha una missione pedagogica. Se non si capisce un cazzo non importa, se lo dicono loro significa che la cosa deve far ridere. Per forza. – È proprio questo il punto. Se anche non afferri ti devi fidare della loro intelligenza e della loro ironia, che è vera ironia, se no, che cazzo, mica sarebbero lì! Comprendi Carlo? Dico, hanno escluso l’universalità dell’ironia e stanno creando un linguaggio per iniziati, un mondo di riferimento che è il loro mondo. – È un mondo che disgusta lei quanto me, professore, mi creda. Certi programmi non fanno più ridere. Ma via, no, incazzarmi per questo... – Ti dovresti indignare. – Indignarmi? Non ho tempo né voglia di indignarmi, professor Serioli. La morale cambia con i tempi. Chi era il nemico di ieri è l’amico d’oggi, dove i panni una volta erano sporchi adesso sono puliti. Ma il bene no, il bene assoluto, il senso del mondo, quello è sempre un dono per i soliti noti. I soliti pochi. Cambia la morale, cambia l’ironia e una risata ci seppellirà. No, non mi indigno più. – E manco si fanno vedere. – Questione di stile. – Un cavolo! Quanto più non mi mostro, tanto più sono credibile. Ormai esisti se appari in televisione, ma sei credibile solo se resisti alla sovraesposizione. Quindi non apparire e bruciare i personaggi che inventano li rende attendibili. Non vedi, tanto per capirci, da quanto tempo resiste la striscia del gruppo di Tacchi sulla terza rete? – Beh, insomma, quella è un’altra cosa. – Carlo, lo so anch’io che non è un programma comico, che si tratta di montaggio, ma, santissimo Dio, manipolano i fatti a loro piacimento e diventano credibili anche perché non si fanno mai vedere. Dico, conosci un volto degli autori? – A parte quello di Tacchi? – Ma sì, va bene, lui ogni tanto si firma, gioca all’autoreferenzialità, si diletta come Hitchcock all’amatriciana e si è messo in testa di mostrarci che la semiologia non è solo roba da libri di testo ma anche spettacolo, perfetta identità di teoria e pratica. Narciso non risparmia i più pensosi intellettuali. A parte lui, dico, ne conosci qualcun altro? – Ma lui è il programma. – E va bene. Ma ne conosci altri? – No, direi di no. – È per questo che resistono. Sono un cult per il ceto medio riflessivo, per tutti quelli che s’indignano, perché loro sono artisti del vero, chirurghi del vero in un mondo d’egocentrici del cazzo, ricercatori nel laboratorio della realtà finanziato da lustrini e paillettes. La loro indignazione è giustificata dal successo di pubblico, ma, per dirla con Kant, il successo sancito dalla massa insuperbisce il ciarlatano e fa arrossire il filosofo. – Già. E il vero più vero sparisce con l’esaurirsi del fatto, perché il fatto dura fino a quando ci interessiamo a lui. – Così è la verità, Carlo. La sola realtà è quanto viene mostrato, o detto. Se osservo il fatto cambio il fatto e la realtà non è più quella che osservo. In questa maniera modifichiamo la realtà. Banale ma corretto. – Allora anche lustrini e pailletes fanno parte del vero? – Certo che sì. Che ti credevi? – Mi chiedo, professore, un governo come questo non dovrebbe applicare lo spoil system? Ha vinto? Allora prende tutto. Antidemocratico? Basta stabilire le regole. – Oggi a me, domani a te? Sì, vabbè, Carlo. I famosi intellettuali organici devi anche saperli formare. Te li immagini questi a selezionare i quadri dirigenti? E chi li seleziona? Chi sono i nuovi Alicata, Sereni o Secchia? – Professore, se non hanno neppure il coraggio di troncare alla radice i retaggi di un tempo che dovrebbe essere preistoria, di applicare un metodo che da sinistra hanno fatto funzionare benissimo, come cavolo pensano di sopravvivere? Oggi hanno vinto, ma è un episodio. Li spazzeranno via. E questa volta per sempre. – Il coraggio se uno non l’ha mica se lo può dare, Carlo. Le voce è ormai alterata. Aldo Serioli è il critico televisivo e cinematografico del giornale, titolare della cattedra d’Estetica all’università locale e animatore di diversi circoli culturali. In redazione lo abbiamo soprannominato “La sottile linea rossa”, come il film. Lo prendiamo in giro. Chissà se ne è al corrente? È per via della mania che ha di sottolineare con il pennarello rosso a punta fine – guai a portarglielo via il suo pennarello! – ciò che non gli garba in tutto quello che legge: recensioni, articoli, sceneggiature, che lui chiama “scemeggiature”, pagine di libri e, immaginiamo, tesi di studenti. Vive a Milano. Tre volte la settimana dovrebbe essere qui, al giornale, subito dopo il ciclo di lezioni. Ma in realtà viene quando vuole. Lui fa quello che vuole. È una firma prestigiosa e Luigi lo coccola e lo vizia proprio come un bambino. Ha un’intelligenza brillante, ma non condivido i suoi eccessi caratteriali. Se Aldo Serioli fosse riuscito a controllare la violenza delle sue argomentazioni, avrebbe potuto continuare a scrivere per il “Corriere”. Ma Serioli è uno che non si è mai arreso e si è sempre esposto in prima persona. E forse ora vivrebbe a Roma con ufficio in viale Mazzini. “Fesserie” mi aveva detto quando glielo avevo fatto notare “a Roma uno come me non ci poteva stare. Mi ci vedi raccomandare ogni sorta di guitti?”. – Ma sì, hai ragione tu, Carlo. Non dovrei prendermela. Serioli è calmo, ora. Spegne il televisore e recupera la videocassetta dal registratore. – È che non ci riesco. Non esiste niente che mi fa incazzare più della superficialità e della malafede. E quei tre ne sono un concentrato. I tipici rappresentanti di un gruppo d’opinione molto forte nel nostro paese. – Già. Tutti questi cazzoni che in televisione si appellano ai buoni sentimenti, noi-che-grondiamo-di-bontà-di-umanità-di-speranza-per-un-mondo-migliore, che esaltano la fratellanza e l’uguaglianza contro un mondo d’egoisti che esiste al di fuori delle loro coscienze. – Che schifo! – Se qualcuno ne avesse voglia, se noi tutti ne avessimo voglia, potremmo sconfiggerli con le loro stesse armi. Ironia, ironia e ancora ironia. – Puoi sconfiggere il cancro? Dico, ci devasta e ci uccide lento, bastardo. Sembra scomparso, ma si adatta alle mutate condizioni dell’ambiente, riproducendosi in un numero illimitato di cellule assassine. Con “La sottile linea rossa” mi trovo bene. Giallista appassionato, mi ha sedotto con autentiche chicche, come i casi dell’avvocato Gavin Stevens di Faulkner o Il Minotauro di Tammuz. Adora Dürrenmatt, che considera “il perfetto scrittore e killer di gialli”. Una volta mi ha pure tenuto una lezione privata per dimostrarmi come la studiata metafisica di Prima del calcio di rigore di Peter Handke non valga nulla in confronto alla “metafisica appassionata”, come la chiama lui, di Dürrenmatt. – Se tutto è a posto io torno al mio lavoro. – Ma sì certo, ci mancherebbe. A presto Carlo. Le indagini sulla morte del regista Sandro Ferrara sono ad un punto morto. L’uomo è stato sventrato in casa sua davanti alla televisione. Davanti alla tv: solo un caso? Regista televisivo di successo, Ferrara ha firmato fiction come Bresci l’anarchico, Un caso di coscienza, Gioacchino Murat, tutti realizzati entro il 1996, data che coincide con l’anno di separazione dalla ex moglie Chiara Solmi, agente di note star del cinema e della televisione, e con l’inizio di un lungo periodo d’inattività, intervallato da due sole regie nel corso di sette anni. Un ostracismo da parte della tv difficile da spiegare, tenuto conto dei consensi di pubblico riscossi dai suoi precedenti lavori. Secondo gli inquirenti Ferrara non aveva nemici. La polizia cerca di ricostruire i suoi ultimi giorni di vita. È stata interrogata anche la nuova moglie di Ferrara, Gisela Cruz, una ballerina cubana ora residente a Milano. A suo carico pare non siano emersi indizi. Alla donna è stato chiesto di restare a di­sposizione ma non le è stato ritirato il passaporto. Nei prossimi giorni si procederà all’interrogatorio di Chiara Solmi. La Solmi, che al momento dell’omicidio di Ferrara si trovava all’estero per una breve vacanza, è rientrata precipitosamente in Italia per partecipare al funerale dell’ex marito. Appariva scossa ed era accompagnata dal suo nuovo compagno, il produttore cinematografico Enzo Roversi. Carlo Messina – Nient’altro? – Luigi è perplesso. – Che ti devo dire? È quanto si sa fino ad ora. – Ohi, Carlo! Non voglio le veline della polizia! Ci arrivo da solo e risparmio centosessanta euro. Portami notizie! E se non ci riesci, inventale, cazzo! – Non sono capace ad inventare, Luigi. – E io non sono capace a non incazzarmi. Dove metto il tuo articolo? Nella pagina degli annunci funebri? Me lo paghi tu lo spazio? È un pezzo senza coglioni. Guarda qui, Gisela Cruz... ma che ballerina e ballerina! Fa le marchette? E allora scrivilo! E vaffanculo le prove! Insinui, fai intendere, ma non specifichi, vedo e non vedo. Che cazzo siamo? Un giornale che deve vendere o un ente di protezione della giovane? Vai a leggere cosa scrivono gli altri. E con la Solmi che fai? Trova un collegamento tra l’ex marito e Roversi. Esisterà pure qualcosa. – Stiamo parlando di un omicidio, non di corna. – E allora fuori l’assassino! Ma basta puttanate! Anche se faccio finta di niente, detesto i suoi modi. Trascina il suo enorme culo lontano da me. È la grassa caricatura di un direttore di giornale popolare. – Signora Cruz? Buongiorno, mi chiamo Carlo Messina. Sono un giornalista. – Lei vuole sapere de Sandro. Non è el primo. La voce all’altro capo del telefono è gentile, un po’ triste. – Mi dispiace disturbarla in questo momento signora Cruz. – Gisela Ferrara. Me chiami Gisela Ferrara. Ma non sono señora. Non ho l’età e nemmeno i modi – Dolce Gisela. – Gisela potrei farle qualche domanda? Le ruberò poco tempo. – Me ne hanno fatte tante de domande in questi giorni. Non se preoccupi, venga quando vuole.
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