L’assunzione ed alcune amare riflessioni

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L’assunzione ed alcune amare riflessioni «Certo, può fidarsi di me signore» gli dissi con l’aria innocente ed un largo sorriso. Lui mi strinse la mano con energia e mi passò tutta la documentazione da firmare. Il direttore del cimitero di C. era un uomo molto raffinato, elegante e vestiva un po’ all’antica; notai che la stessa eleganza era ostentata anche dal direttore delle pompe funebri, il sig. Rodari, e mi chiesi (stupidamente) che bisogno ci fosse di nascondere dietro tanta pomposa apparenza l’ odore sgradevole di quel mestiere. Del resto - pensavo - quando in un paese piccolo come C. fai il becchino oppure diventi guardiano del cimitero comunale, tutti vengono a saperlo in poche ore quindi è proprio inutile sforzarsi di mantenere la benché minima discrezione. Io stesso avrei dovuto abituarmi all’idea dei pettegolezzi altrui, perché, in quel preciso istante, stavo diventando, appunto, il nuovo guardiano del cimitero comunale. Nonostante tutto, ero contento di aver trovato quel posto, perché avevo bisogno di pace e silenzio per scrivere; storie di scheletri e spiritelli vari non mi hanno mai coinvolto più di tanto e non mi avrebbero certo dissuaso dall’accettare quella proposta così vantaggiosa: di giorno avrei dovuto pulire le lapidi, aprire i cancelli, assistere gli operatori delle pompe funebri nelle loro mansioni; di notte dovevo semplicemente attivare l’allarme collegato ai cancelli e tenere il videoterminale acceso, quello in cui era proiettata l’immagine del cancello principale, per controllare che nessun furbo cercasse di entrare scavalcandolo. L’alloggio che mi assegnarono era una piccola casa su due piani, a ridosso del cancello d’ingresso del cimitero: un ricovero umile, ma accogliente. Insomma, quello era un impiego perfetto. Per un po’ di tempo mi vergognai di dirlo agli amici: chissà, forse i retaggi di un’etica comune basata sul pregiudizio presero il sopravvento sul mio coraggio; ci fu il tempo di affrontare quel discorso, però, e con mia sorpresa mi resi conto che le persone di cui mi circondavo colsero con molta serenità la situazione. La stretta di mano sembrò durare un’eternità mentre pensavo a tutti i miei lavori passati, alle case in cui avevo vissuto ed alle persone che non vedevo più da anni. Un gesto che rappresentava uno spartiacque per me: la fine di una vita avventurosa, ma inconcludente e l’inizio di una stagione più posata, solitaria, eppur serena. Firmai tutti i fogli senza nemmeno leggere, perché non provavo più alcun interesse per i miei diritti: avevo tristemente costatato che nessun contratto di lavoro garantiva il diritto alla dignità quindi consideravo quelle firme una pura e superficiale formalità da espletare. Ulteriore stretta di mano, un nuovo sorriso di circostanza e la mia assunzione come guardiano del cimitero di C. divenne la nuova realtà. Il giorno dopo mi sarei trasferito nell’alloggio a me destinato.
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