Un difficile inizio

734 Words
Un difficile inizio Il primo mese fu decisamente movimentato, a tratti perfino stressante: ricordo con precisione i momenti di sconforto in cui pensavo d’essere caduto nella stessa trappola di sempre; - lo sapevo, era troppo bello perché fosse semplicemente vero - mi dicevo, tirando pugni sulle varie lapidi e sbuffando come un bovino incattivito. Il motivo di tanta delusione e rabbia era l’incredibile mole di lavoro che mi stava schiacciando, di giorno in giorno, date le pessime condizioni in cui trovai il cimitero, e l’alto numero di nuovi arrivati proprio in quelle prime settimane. Il vecchio guardiano se n’era andato senza dire niente a nessuno, senza nemmeno presentare le dimissioni e l’ufficio tecnico del Municipio aveva impiegato del tempo a riorganizzare il bando di concorso al quale avevo partecipato io; nel frattempo sterpaglie accompagnate da vento incessante, ma soprattutto la cattiva educazione di alcuni visitatori, portarono il caos fra le lapidi ed io dovetti rimboccarmi le maniche e spaccarmi la schiena per rimettere tutto in ordine. La storia del vecchio guardiano scomparso era, di per sé, pittoresca ed alquanto curiosa: la paga era molto elevata, e non si capisce come mai lasciò tutto senza neanche pretendere l’ultima mensilità. Sparì, e basta. Questo mistero, ovviamente, alimentò la fantasia e la superstizione degli ingenui abitanti di C: dicevano che avesse visto le anime dei defunti vagare liberamente per le lapidi, che i morti bussavano alla sua porta ogni venerdì notte e non lo facevano dormire con i loro lamenti, che vide perfino un cadavere in carne ed ossa uscire dal suo loculo. «Tutto molto, molto suggestivo, non c’è che dire, peccato che gli spettri non esistono, altrimenti mi aiuterebbero a sistemare questo disastro di cimitero» mormoravo e, col sorriso sarcastico che mi caratterizzava prima dell’esperienza di cui sto per raccontare, spazzavo rami e foglie secche dall’ingresso principale. Il vecchio guardiano probabilmente aveva trovato un lavoro migliore e, come me, era allergico alle formalità: preferì perdere l’ultimo stipendio piuttosto che imbarcarsi in noiosissimi contrattempi burocratici legati ad un evidente mancato preavviso. Come dicevo, quel mese ci fu anche un’enorme quantità di nuovi arrivati, almeno due per giorno, ed era difficile gestire tutto con precisione; la sera ero distrutto, e spesso mi addormentavo sul divano ancora vestito, con la radio accesa. Passò quel periodo, e la situazione pian piano sembrava migliorare: i decessi diminuirono, così anche gli ingressi di visitatori e operatori di pompe funebri e, finalmente, avevo più tempo per pulizie ordinarie e manutenzioni giornaliere. Quando chiudevo i cancelli, alle ore 20.00, mi abbandonavo ad un grosso sospiro, acquietandomi, pensando che finalmente era tempo di scrivere un po’. Con la nuova calma, cominciai a rendermi conto che, lapidi a parte, lavoravo in un luogo bellissimo, pieno di alberi e fiori, e soprattutto potevo stare all’aria aperta tutto il giorno: quale miglior regalo per me, che avevo sempre lavorato al chiuso? Al mattino mi svegliavo col canto dei fringuelli, mentre la sera mi facevano compagnia gatti ed allocchi; ero estasiato dal fruscio dei grandi platani che circondavano il cimitero e tutti i versi degli animali notturni mi facevano compagnia, anziché spaventarmi, come accade normalmente alle persone più sensibili e paurose. Finalmente ero sereno. Del resto, un lavoro come il mio, si può affrontare solo ed unicamente con serenità, perché in un ‘campo santo’ si è letteralmente circondati dalla morte. Un fattore psicologico, credo, perché la morte di per sé non vuol dire nulla: esiste solo una condizione di non vita, cioè qualcosa che prima è, per poi cessare di essere. Fiumi di parole ed infiniti di fogli sono stati già sprecati per disquisire sul significato fisico o filosofico della morte, non credo di voler aggiungere il mio inutile contributo a tal proposito. Le lacrime e i lamenti dei visitatori diurni, infatti, sono fastidiosi molto di più delle lapidi stesse: nel mio immaginario tutti quei cadaveri riposavano davvero in pace e la vera negatività era sempre portata dai vivi. Anch’io ho perso delle persone care, ma mi rifiuto di andarle a cercare laddove oggi troverei solo corpi in stato di decomposizione; quando penso a loro, ne sento nostalgia, magari spendo una piccola lacrima, ma la mia liturgia finisce lì: se mi stanno guardando, sanno perfettamente cosa provo per loro; se non mi possono sentire, cosa ci vado a fare al cimitero? Insomma, mi sentivo a mio agio nel cimitero di C. e cominciai a scrivere i miei racconti.
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