Lo sconosciuto
La prima volta accadde due mesi dopo quel funerale che tanto m’aveva impressionato.
Erano le 23.30, mi stavo concedendo una delle mie pause mentre mi alzavo per prendere un pentolino e scaldare dell’acqua: tutti i miei gesti erano delicatamente suggeriti dalla naturale calma che caratterizzava la mia routine.
Mi voltai distrattamente verso il videoterminale, ma questa volta c’era qualcuno davanti al cancello: il cuore cominciò a battermi sempre più forte, perché, dopo ben nove mesi di custodia al cimitero di C., quella era la prima presenza che intravedevo nei pressi dell’area a quell’ora. Rimasi impietrito, col pentolino dell’acqua ancora in mano; fissavo lo schermo e quell’uomo pareva altrettanto fermo davanti al cancello.
Guardava verso l’interno, anzi avrei giurato che stesse fissando qualcosa; ciò che più mi rendeva nervoso era l’immobilità di quello sconosciuto.
«Ma che fai?» dissi sotto voce e mi accorsi che stavo letteralmente tremando.
Passarono diversi minuti, quattro o forse cinque, dopodiché l’uomo abbassò lo sguardo, si girò lentamente e se ne andò da dove era probabilmente venuto, uscendo dal campo visivo della telecamera.
Io, fino a quel momento statua di sale, mi destai di colpo: corsi verso il soggiorno, aprii la finestra e guardai il cortile davanti all’ingresso principale; il piazzale era vuoto, nessuna automobile stava lasciando i parcheggi, nessun passante, nessun uomo a vista d’occhio.
Tirai un sospiro.
Chiusi la finestra.
Tornai in cucina e misi sul fuoco il pentolino d’acqua: quella sera decisi di lasciare il videoterminale acceso, anche dopo la mezzanotte, perché quella strana visita mi aveva turbato e volevo tenere tutto sotto controllo.
Nulla si mosse e, dopo più di un’ora, mi addormentai sul divano.
Il giorno dopo mi ritagliai del tempo libero per riavvolgere il nastro registrato quella sera e cercai la sequenza della visita: ricordavo in parte l’orario in cui era comparso lo sconosciuto, ma non riuscii a trovare nulla. Vidi gran parte della registrazione a velocità accelerata e, con mio grande stupore, mi fu impossibile ritrovare il segmento che cercavo; dissi a me stesso che non avrei assolutamente dovuto farmi sopraffare dalla suggestione: col mestiere che facevo, sarebbe stato piuttosto sconveniente.
Avere paura di fatti inspiegabili e vivere in un cimitero come custode sono due condizioni non conciliabili fra loro e mi sforzai di trovare una logica in ciò che mi stava accadendo. Mi convinsi, quindi, che non trovavo il filmato cercato con ansia perché la videocamera aveva smesso di funzionare per un po’, casualmente proprio nel momento in cui quell’uomo si era presentato davanti al cancello.
La mia superbia intellettuale e raziocinante venne meno, però, quando la sera dopo si ripeté la medesima scena: stesso orario, stesso uomo davanti al cancello immobile con lo sguardo fisso verso le lapidi, stessa occhiata verso terra prima di andarsene. La mattina seguente la seconda visita fu terribile, perché, ancora una volta, ciò che vidi con i miei occhi al terminale non era stato registrato su nastro.
L’uomo che si presentava al cancello pareva anziano, ben vestito, con un cappello elegante e l’andamento deciso: che fosse un ladro era da escludere assolutamente, piuttosto pensai fosse un abitante del paese con qualche rotella fuori posto che passava le sue sere in giro fra cimiteri. Quella spiegazione era plausibile, ma di sicuro non mi rasserenò; le mie notti, infatti, cominciarono a essere più agitate e talvolta restavo sveglio fino all’alba, con gli occhi fissi sul video.
L’uomo tornò una terza volta e una quarta, ripetendo in modo addirittura maniacale gli stessi movimenti; purtroppo, però, la quinta sera cambiò gesto, ma quella novità non mi piacque per niente. Se ne stava lì, immobile come sempre, a guardare verso il nulla; il mio orologio scandì la mezzanotte, quando lo sconosciuto alzò il braccio sinistro facendo cenno ad un saluto.
Ormai avevo il cuore in gola, ed ero totalmente incapace di muovermi.
Lo sconosciuto si tolse anche il cappello, fece in breve inchino, poi rimise il cappello e con un gesto desueto della mano, mandò un bacio verso l’aria, davanti a lui; io ero praticamente attaccato allo schermo per guardarlo, anche perché non avrei mai avuto il coraggio di andare alla finestra e vedere tutto dal vivo.
Dopo il gesto del bacio, lo sconosciuto si girò, ma solo parzialmente: adesso guardava dritto nella telecamera e, attraverso lo schermo, nei miei occhi.
Deglutii, mentre sentivo una goccia di sudore scendere dalla mia fronte verso la guancia; passò qualche secondo e, dopo essersi voltato verso il buio oltre il piazzale, lo sconosciuto si incamminò.