Capitolo 2

3639 Words
2 Sara Le lacrime dovute al panico e all’amara frustrazione mi rigano il volto, mentre le ruote del jet si sollevano dalla pista, e le luci del piccolo aeroporto si affievoliscono. In lontananza, vedo i grattacieli di Chicago e i suoi sobborghi, ma presto scompaiono anche quelli, lasciandomi con la schiacciante consapevolezza che la mia vecchia vita è sparita per sempre. Ho perso la mia famiglia, gli amici, la carriera e la libertà. Ho lo stomaco in subbuglio, mentre dei frammenti di vetro mi trafiggono le tempie, con il mal di testa aggravato da qualsiasi cosa Peter mi abbia iniettato. La cosa peggiore di tutte, però, è la soffocante sensazione nel petto, la terribile sensazione di non riuscire a mandar giù aria a sufficienza. Faccio dei respiri profondi per combatterla, ma questo non fa che peggiorare la situazione. La coperta è come una camicia di forza, che mi tiene le braccia inchiodate ai fianchi, e non riesco ad inviare abbastanza ossigeno nei polmoni. Il mio tormentatore ha attuato la sua minaccia. Mi ha rapita, e potrei non rivedere mai più la mia casa. Non è più accanto a me ora—non appena siamo decollati, si è alzato ed è scomparso nella parte posteriore della cabina passeggeri, dove sono seduti due dei suoi uomini—e sono contenta. Non riuscirei a guardarlo, sapendo di essere stata abbastanza stupida da averlo avvisato, quando sapeva già tutto. Quando aveva l’ago pronto e stava giocando con me. Come faceva a saperlo? C’erano telecamere e dispositivi di ascolto dentro lo spogliatoio dell’ospedale, dove Karen si era rivolta a me? Oppure gli uomini che Peter aveva scelto per seguirmi hanno scoperto l’agente dell’FBI e gliel’hanno riferito? Oppure ha delle conoscenze nell’FBI, proprio come quel suo contatto nella CIA? È possibile o sono solo mie supposizioni? Ad ogni modo, non ha importanza ora; il punto è che lo sapeva. Lo sapeva, ma ha finto di esserne all’oscuro, giocando con le mie emozioni, in attesa di distruggermi. Cavolo, come ho potuto essere così idiota? Come ho potuto avvisarlo, sapendo che sarebbe potuta succedere una cosa del genere? Come sono potuta tornare a casa, quando sospettavo—no, quando sapevo—che cosa avrebbe fatto il mio stalker, se avesse saputo del pericolo imminente? Avrei dovuto raccontare tutto a Karen, quando ne ho avuto la possibilità, lasciare che mandasse gli agenti a casa mia, mentre l’FBI mi metteva in custodia cautelare. Sì, forse Peter sarebbe fuggito lo stesso, ma non mi avrebbe portata con sé—almeno per il momento. Avrei avuto più tempo per pianificare, per capire il modo migliore per far sì che io e i miei genitori fossimo al sicuro. Probabilmente sarebbe tornato a prendermi, ma almeno ci sarebbe stata una possibilità che l’FBI ci proteggesse. Invece, sono caduta nella trappola di Peter. Sono andata a casa, e ho lasciato che mi mentisse. Ho lasciato che mi ingannasse, credendo che ci fosse qualcosa di umano—qualcosa di buono—in lui. "Ti amo" mi aveva detto, e io ho abboccato, illudendomi che ci fosse dell’affetto tra noi, che la sua tenerezza significasse che teneva davvero a me. Ho lasciato che l’irrazionale attaccamento all’assassino di mio marito mi rendesse cieca davanti alla realtà, e ho perso tutto. La stretta al petto cresce, i polmoni si contraggono, fin quando ogni respiro non diventa un tormento. La rabbia e la disperazione si mescolano, facendomi venir voglia di urlare, ma tutto quello che riesco a fare è un doloroso sospiro, con la coperta intorno al corpo che mi stringe come un cappio intorno al collo. Ho troppo caldo, sono troppo legata; la testa mi scoppia, e il cuore sta battendo troppo forte. Sto soffocando, sto morendo, e vorrei afferrare la gola e aprirla, in modo da poter mandare giù un po’ d’aria. "Ecco, va tutto bene." Peter è accovacciato davanti a me, anche se non l’ho visto tornare. Le sue mani forti stanno allentando la coperta, togliendomi i capelli dal viso bagnato di sudore. Sono scossa e ho il respiro affannato, nel bel mezzo di un attacco di panico, e il suo tocco è stranamente rilassante, attenuando quella sensazione di soffocamento. "Respira, ptichka" esorta, e lo faccio, con i polmoni che ubbidiscono, invece di ubbidire a me. Il mio petto si espande con un solo respiro, poi un altro, e poi respiro quasi normalmente, con la gola che si apre, lasciando passare ossigeno prezioso. Sto ancora sudando, sto ancora tremando, ma il cuore sta rallentando, con la paura di soffocare che scompare, mentre Peter mi libera le braccia dalla coperta e mi porge una maglietta nera da uomo. "Scusami. Non ho fatto in tempo a prendere un tuo vestito" dice, aiutandomi a infilare l’enorme maglietta dalla testa. "Per fortuna, Anton ha nascosto un cambio di vestiti sul retro. Ecco, puoi indossare anche questi pantaloni." Guida i miei piedi tremanti verso un paio di jeans neri da uomo, mi aiuta a mettere un paio di calzini neri e toglie completamente la coperta, gettandola sul tavolo accanto a noi. Come la T-shirt, i jeans sono enormi per me, ma c’è una cintura nei passanti, e Peter me la stringe attorno ai fianchi, annodandola sul davanti come una cravatta, prima di arrotolare le gambe dei pantaloni. "Ecco" dice, osservando il proprio lavoro con soddisfazione. "Questo dovrebbe essere sufficiente per il volo, e poi ti fornirò un guardaroba nuovo." Chiudo gli occhi, sbarazzandomi di lui. Non riesco a guardare i suoi bellissimi lineamenti esotici, non riesco a sopportare il calore in quegli occhi grigi come l’acciaio. È una bugia, un’illusione. Non tiene a me. L’ossessione non è amore, e questo è ciò che prova per me: una terribile ossessione oscura che rovina e distrugge. Che ha già distrutto la mia vita in tanti modi. Lo sento sospirare, prima di avvolgere le grandi mani intorno ai miei palmi freddi. "Sara..." La sua voce profonda e leggermente accentata sembra una carezza sulla mia pelle. "Andrà tutto bene, ptichka, te lo prometto. Non sarà così male come pensi. Ora dimmi... Vuoi chiamare i tuoi genitori, spiegando tutto?" I miei genitori? Sorpresa, apro gli occhi per guardarlo. Poi, mi rendo conto che l’aveva accennato, solo che l’avevo dimenticato. "Mi lascerai chiamare i miei genitori?" Il mio rapitore annuisce, con un sorrisetto che gli fa piegare le labbra scolpite, mentre rimane accovacciato davanti a me, con le mani che stringono dolcemente le mie. "Certo. So che non vuoi che si preoccupino, a causa del cuore di tuo padre e tutto il resto." Oh Dio. Il cuore di mio padre. Il mal di testa si intensifica a quel ricordo. Avendo ottantasette anni, mio ​​padre è assolutamente sano per la sua età, ma è stato sottoposto a un intervento di triplice bypass pochi anni fa e deve evitare lo stress. E non riesco a immaginare niente di più stressante di—"Pensi che l’FBI abbia già parlato con loro?" Ansimo dall’improvviso orrore. "Hanno detto ai miei genitori che sono stata rapita?" "Dubito che ne abbiano avuto il tempo." Peter mi stringe le mani con fare rassicurante, poi le lascia andare e si alza in piedi. Raggiungendo la tasca, tira fuori uno smartphone e me lo porge. "Chiama, così potrai dar loro la tua versione della storia per prima." "La mia versione della storia? E quale sarebbe questa versione?" Il telefono sembra un mattone nella mia mano, con il peso ingigantito dalla consapevolezza che se dicessi la cosa sbagliata, potrei letteralmente uccidere mio padre. "Che cosa posso dire, in modo da far sembrare tutto questo normale?" Il mio tono è caustico, ma la domanda è sincera. Non riesco a immaginare che cosa potrei dire per ridurre il panico dei miei genitori sulla mia scomparsa, come potrei spiegare quello che l’FBI presto dirà loro—soprattutto perché non so quanto riveleranno gli agenti. L’aereo sceglie quel momento per entrare in una turbolenza, e Peter si siede accanto a me. "Di’ che hai conosciuto un uomo... un uomo di cui ti sei innamorata." Mi copre il ginocchio con il palmo caldo, con lo sguardo metallico che mi ipnotizza per l’intensità. "Di’ che per la prima volta in vita tua hai deciso di fare qualcosa di folle e irresponsabile. Che stai bene, ma che nelle prossime settimane sarai in giro per il mondo con il tuo amante." "Nelle prossime settimane?" Una selvaggia speranza prende vita dentro di me. "Stai dicendo che—" "No. Non tornerai tra qualche settimana. Ma non c’è bisogno che lo sappiano." La speranza si affievolisce e muore, con la schiacciante disperazione che riaffiora. "Non li rivedrò mai più, vero?" "Li rivedrai." Mi stringe il ginocchio. "A un certo punto, quando sarà sicuro." "E quando lo sarà?" "Non lo so, ma lo scopriremo." "Lo scopriremo?" Un’amara risata mi sfugge dalla gola. "Ti sembra che questa sia una sorta di collaborazione? Che abbiamo deciso insieme di rapire me stessa?" Lo sguardo di Peter si indurisce. "Può essere una collaborazione, Sara. Se vuoi che lo sia." "Oh, davvero?" Spingo via la mano dal ginocchio. "Allora, riporta indietro questo dannato aereo, socio. Voglio tornare a casa." "È impossibile, e lo sai." Serra la mascella. "Sì? E perché? Perché ti piace scoparmi? O perché mi ami?" Alzo la voce, mentre salto in piedi, con le mani sui fianchi. Vedo i suoi uomini nei sedili dietro di noi, con i volti impassibili mentre guardano fuori dagli oblò, fingendo di non ascoltare, ma non mi importa. Ho superato l’imbarazzo, ho superato la vergogna; tutto quello che provo è la rabbia. Non ho mai voluto fare del male a una persona quanto vorrei fare del male a Peter in questo momento. Lo sguardo del mio tormentatore è oscuro, con un’espressione dura, quando si alza. "Siediti, Sara" dice con fare rude, afferrandomi mentre l’aereo incontra una nuova turbolenza, e mi aggrappo alla parete trasparente per sostenermi. "È pericoloso." Mi prende il braccio per obbligarmi a rimettermi seduta, e l’altra mano agisce da sola. Con il telefono ancora in pugno, cerco di colpirlo—e non lo manco, perché in quel momento l’aereo si abbassa nuovamente, facendoci perdere l’equilibrio. Con un tonfo udibile, il telefono colpisce il volto di Peter, con l’impatto del colpo che mi scuote le ossa e gli fa girare la testa da una parte. Non so chi sia più scioccato da quel colpo tra me e gli uomini di Peter. Vedo le loro espressioni incredule, mentre Peter lentamente, e molto intenzionalmente, mi lascia andare il braccio e si asciuga il sangue che gli cola sulla guancia. Il rivestimento metallico del telefono deve avergli graffiato la pelle; oppure, la turbolenza inaspettata deve aver dato potenza al colpo, intensificandone la forza. Incrocia il mio sguardo, e il cuore mi salta in gola per l’immensa rabbia che scintilla in quelle profondità argentate. Con cautela, indietreggio, con il telefono che mi scivola dalle dita e colpisce il pavimento con un rumore metallico. Non ho dimenticato di cos’è capace Peter, né quello che mi ha fatto la prima volta in cui ci siamo conosciuti. Riesco a fare solo due passi prima di ritrovarmi con la schiena premuta contro la parete della cabina del pilota, senza più via di uscita. Non posso fuggire da nessuna parte su questo aereo, non posso nascondermi, e la paura mi stringe lo stomaco quando si avvicina, con il furioso sguardo che mi tiene prigioniera, mentre poggia i palmi sulla parete ad entrambi i miei lati, bloccandomi tra le braccia muscolose. "Io..." Dovrei dire che mi dispiace, che non volevo, ma non riesco a dar voce a quella menzogna, così serro le labbra prima di poter peggiorare la situazione, dicendogli quanto lo detesto. "Tu cosa?" La sua voce è bassa e dura. Chinandosi, piega la testa fin quando le sue labbra non mi sfiorano l’orecchio. "Tu cosa, Sara?" Rabbrividisco per il calore umido del suo respiro, con le ginocchia deboli e il cuore che inizia a battere ancora più veloce. Solo che questa volta non è dovuto solo alla paura. Nonostante tutto, quella vicinanza sconvolge i miei sensi, con il corpo che trema in attesa del suo tocco. Solo qualche ora fa è stato dentro di me, e sento ancora i residui del suo possesso, il dolore interno dovuto al duro ritmo delle sue spinte. Allo stesso tempo, sono dolorosamente consapevole dei capezzoli induriti sotto la maglietta presa in prestito e della calda scivolosità in mezzo alle gambe. Pur essendo vestita, mi sento nuda nelle sue braccia. Solleva la testa, fissandomi, e capisco che lo prova anche lui, quel calore magnetico, quell’oscuro legame che fa vibrare l’aria intorno a noi, intensificando ogni momento fin quando i millisecondi non sembrano ore. Gli uomini di Peter sono a meno di quattro di metri di distanza, e ci guardano, ma è come se fossimo soli, avvolti in una bolla di sensuale desiderio e di esplosiva tensione. Ho la bocca asciutta, con il corpo che pulsa dalla consapevolezza, e devo sforzarmi per evitare di spingermi verso di lui, per rimanere ferma, invece di avvicinarmi a lui e cedere al desiderio che mi brucia dentro. "Ptichka..." La voce di Peter si addolcisce, assumendo un tono intimo, mentre il ghiaccio nel suo sguardo si scioglie. Stacca la mano dalla parete e mi sfiora la guancia, accarezzandomi le labbra con il pollice e lasciandomi senza fiato. Allo stesso tempo, mi stringe il gomito con l’altra mano, con una presa delicata, ma inesorabile. "Vieni, siediti" mi esorta, tirandomi via dalla parete. "Non è sicuro stare in piedi in quel modo." Confusa, lascio che mi riporti al sedile. So che dovrei continuare a combattere, o almeno a resistere, ma la rabbia che mi riempiva è scomparsa, lasciando l’intorpidimento e la disperazione nella sua scia. Nonostante quello che ha fatto, lo desidero. Lo voglio tanto quanto lo odio. I miei piedi con i calzini sono freddi per aver camminato sul pavimento gelido, e sono grata quando Peter afferra la coperta dal tavolo e me la mette intorno alle gambe prima di sedersi accanto a me. Tira la cintura di sicurezza sopra di me, allacciandola, e chiudo gli occhi, rifiutandomi di vedere il calore che ora riempie il suo sguardo. Per quanto il lato oscuro di Peter sia spaventoso, l’uomo che sta facendo questo—l’amante tenero e premuroso—è quello che mi terrorizza di più. Posso resistere al mostro, ma con l’uomo è tutta un’altra storia. Delle dita calde mi sfiorano la mano, e un metallo freddo preme nel mio palmo. Spaventata, apro gli occhi e guardo il telefono che Peter mi ha appena dato. Deve averlo preso da dove era caduto. "Se vuoi chiamare i tuoi genitori, fallo ora" dice piano. "Prima che vengano a sapere qualcosa da soli." Deglutisco, fissando il telefono nella mia mano. Peter ha ragione; non c’è tempo da perdere. Non so che cosa dirò ai miei genitori, ma qualsiasi cosa è meglio di quello che gli agenti dell’FBI potrebbero dire. "Come faccio a telefonare?" Guardo Peter. "C’è qualche codice speciale o qualche altra cosa che devo fare?" "No. Tutte le mie telefonate vengono codificate automaticamente. Basta digitare il loro numero come al solito." Faccio un respiro profondo e digito il numero di cellulare di mia madre. È probabile che entri nel panico, ricevendo una telefonata nel cuore della notte, ma ha nove anni in meno rispetto a mio padre e non ha problemi cardiaci. Tenendo il telefono attaccato all’orecchio, mi allontano da Peter e guardo il cielo notturno dall’oblò, mentre aspetto che lei risponda. Squilla una dozzina di volte prima che parta la segreteria telefonica. Evidentemente, mamma sta dormendo troppo profondamente per sentirlo oppure ha spento il telefono. Frustrata, riprovo. "Pronto?" La voce di mamma è assonnata e seccata. "Chi parla?" Tiro un sospiro di sollievo. A quanto pare, l’FBI non li ha ancora avvisati; altrimenti, mamma non dormirebbe così bene. "Ciao, Mamma. Sono io, Sara." "Sara?" Mamma sembra subito più sveglia. "Che cosa c’è? Da dove stai chiamando? È successo qualcosa?" "No, no. Va tutto bene. Sto benissimo." Faccio un respiro, con la mente che lavora alla ricerca della storia meno inquietante. Prima o poi, l’FBI contatterà i miei genitori, e la mia storia si rivelerà essere una menzogna. Tuttavia, il fatto stesso che io stia chiamano, raccontando tale storia, dovrebbe rassicurare i miei genitori che, almeno al momento della telefonata, ero viva e stavo bene, riducendo l’impatto di ciò che gli agenti racconteranno loro. Con voce ferma, dico: "Scusa se ti sto chiamando così tardi, Mamma, ma sto partendo per un viaggio dell’ultimo minuto e volevo avvisarti per non farti preoccupare." "Un viaggio?" Mamma sembra confusa. "Dove? Perché?" "Beh..." Esito e poi decido di seguire il consiglio di Peter. In questo modo, quando i miei genitori verranno a sapere del sequestro, potrebbero pensare che sono andata con Peter di mia spontanea iniziativa. Ciò che penserà l’FBI è tutta un’altra questione, ma risparmierò loro la preoccupazione per un altro giorno. "Ho conosciuto qualcuno. Un uomo." "Un uomo?" "Sì, lo frequento da qualche settimana. Non volevo dire niente, perché non sapevo molto di lui, e non ero sicura facesse sul serio." Sento che mamma sta per lanciarsi in un interrogatorio, così dico in fretta: "Ad ogni modo, ha dovuto lasciare inaspettatamente il Paese, e mi ha invitata ad andare con lui. So che è assolutamente folle, ma avevo bisogno di staccare—lo sai, da tutto—e questa mi sembrava l’occasione giusta. Gireremo il mondo insieme per qualche settimana, quindi—" "Che cosa?" Mamma alza la voce di un tono. "Sara, è—" "Folle? Lo so." Faccio una smorfia, felice che non possa vedere la mia espressione sofferente. Tra la bugia e il continuo mal di testa, mi sento proprio di merda. "Mi dispiace, Mamma. Non volevo che ti preoccupassi, ma dovevo farlo. Spero che tu e Papà capiate." "Aspetta un attimo. Chi è quest’uomo? Come si chiama? Che cosa fa? Dove l’hai conosciuto?" Spara una domanda dopo l’altra, come se fossero dei proiettili. Mi giro per guardare Peter, e lui mi rivolge un breve cenno con la testa, col viso impassibile. Non so se riesca a sentire la mia conversazione, ma interpreto quel cenno come se volesse dire che posso rivelare ai miei genitori qualche altro dettaglio. "Si chiama Peter" dico, decidendo di avvicinarmi il più possibile alla verità. "È una specie di impresario, lavora soprattutto all’estero. Ci siamo conosciuti quando viveva nella zona di Chicago, e ci frequentiamo da allora. Volevo parlarti di lui quando siamo andate a mangiare il sushi, ma non mi sembrava il momento appropriato." "D’accordo, ma... il tuo lavoro? La clinica?" Mi pizzico la punta del naso. "È tutto sotto controllo, non preoccuparti." Naturalmente non è vero—questa stronzata non funzionerebbe con l’ospedale, se Peter mi permettesse di chiamarlo—ma non posso dirlo a mamma senza farla preoccupare prematuramente. Le verrà un attacco di panico molto presto, non appena gli agenti si presenteranno al suo portone. Fino a quel momento, tanto vale che lei e papà pensino che sono impazzita. Una figlia che si comporta male tardivamente è infinitamente meglio di una figlia sequestrata dall’assassino del marito. "Sara, tesoro..." Mamma sembra preoccupata lo stesso. "Sei sicura di questo? Voglio dire, hai detto di non sapere molto di quest’uomo, e ora lascerai il Paese insieme a lui? Non è da te. Non mi hai nemmeno detto dove andrai. Viaggerai con l’aereo o con la macchina? E da quale telefono stai chiamando? Il numero è privato, e la ricezione è strana, come se fossi—" "Mamma." Mi strofino la fronte, con il mal di testa sempre più intenso. Non posso continuare a rispondere alle sue domande, così dico: "Ascolta, devo andare. Il nostro aereo sta per decollare. Volevo solo salutarti per non farti preoccupare, ok? Ti richiamerò appena posso." "Ma, Sara—" "Ciao, Mamma. Ci sentiamo presto!" Riaggancio prima che possa aggiungere qualcos’altro, e Peter mi toglie il telefono, con la bocca piegata in un sorriso di approvazione. "Ottimo lavoro. Hai un vero talento per questo." "Per mentire ai miei genitori sul fatto di essere stata rapita? Sì, un vero talento, certo." L’amarezza trasuda dalle mie parole, e non mi sforzo di trattenerla. Ho smesso di essere carina e gentile. Non starò più al gioco. Peter non sembra arrabbiato. "Hai detto una cosa che eviterà loro inutili preoccupazioni. Non so quanto riveleranno i Federali, ma questo dovrebbe rassicurare i tuoi genitori sul fatto che sei viva e che stai bene al momento. Speriamo che sia sufficiente, finché non li ricontatterai." È quello che ho pensato anch’io, e mi dà fastidio che siamo sulla stessa lunghezza d’onda. È una piccola cosa, ragionare allo stesso modo su questo, ma sembra un terreno scivoloso, un passo verso quella collaborazione che Peter ha menzionato. Verso l’illusione che ci sia un ‘noi,’ che la nostra relazione sia sincera. Non posso—non abboccherò nuovamente a quella bugia. Non sono il complice di Peter, la sua fidanzata o la sua amante. Sono la sua prigioniera, la vedova di un uomo che ha ucciso per vendicare la sua famiglia, e non potrò mai dimenticarlo. Cercando di tenere la voce ferma, chiedo: "Quindi, potrò ricontattarli?" Al cenno con la testa di Peter, insisto: "Quando?" I suoi occhi grigi brillano. "Quando saranno stati avvisati dall’FBI e avranno metabolizzato tutto. In altre parole, presto." "Come farai a sapere quando verranno avvisati—? Oh, non importa. Sorvegli anche i miei genitori, non è vero?" "Tengo sotto controllo la loro casa, sì." Non sembra vergognarsi neanche un po’. "Quindi, sapremo che cosa diranno gli agenti e quando. A quel punto, scopriremo che cosa dovresti dire e come ricontattarli." Serro le labbra. Continua a utilizzare quell’odiosissimo plurale. Come se questo fosse un progetto comune, come l’arredamento di un interno o la scelta di una bottiglia di vino per una riunione di famiglia. Si aspetta che gli sia grata? Che lo ringrazi per essere così gentile e premuroso con la logistica del mio sequestro? Pensa che se mi permetterà di alleviare la preoccupazione dei miei genitori, dimenticherò che si è impossessato della mia vita? Digrignando i denti, mi giro per fissare l’oblò, e poi mi rendo conto che non conosco ancora la risposta ad alcuna delle domande di mia madre. Tornando a guardare il mio rapitore, incontro il suo sguardo freddamente divertito. "Dove stiamo andando?" chiedo, sforzandomi di parlare con calma. "Da dove esattamente scopriremo tutto questo?" Peter sorride, mostrando dei denti bianchi leggermente storti sul retro. Tra quelli e la piccola cicatrice sul labbro inferiore, il suo sorriso dovrebbe sembrare sgradevole, ma le imperfezioni non fanno che evidenziarne il fascino pericolosamente sensuale. "Lo scopriremo in Giappone, ptichka" dice, e si allunga sul tavolo per avvolgermi la mano nel suo grande palmo. "La Terra del Sol Levante sarà la nostra nuova casa."
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